L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Paganini fra le dita

di Roberta Pedrotti

In ogni piazza, dietro ogni angolo e ogni portone di Bologna può celarsi una sorpresa, un concerto, un momento di teatro o di arte, piccole iniziative coraggiose, grandi progetti o avventure personali.

Fra il Conservatorio e l'Università si cela l'Oratorio di Santa Cecilia, che rende onore alla sua intitolazione ospitando un piccolo festival musicale, nell'ambito del quale si è esibito il chitarrista Eugenio Della Chiara.

 

BOLOGNA, 8 marzo 2014 - Sabato 8 marzo un bel sole tiepido si affaccia su Bologna. È una di quelle giornata in cui ritroviamo quei fioristi che nei ricordi d'infanzia gestivano piccoli negozi profumati e variopinti, scrigni di magie vegetali e allegre composizioni di vimini e carta colorata, e che ora sembrano materializzarsi solo in una manciata di feste comandate. È una giornata di manifestazioni, di feste e rivendicazioni, di anacronismi e nervi ancora scoperti. È un sabato pomeriggio di famiglie a passeggio per il centro, di giocoleria e di teatro di strada.

È anche un pomeriggio in cui si trova aperta la porta dell'Oratorio di Santa Cecilia nella chiesa di San Giacomo Maggiore, in via Zamboni, accanto al Conservatorio, e si scopre come la comunità agostiniana che la regge abbia assunto seriamente la missione di onorare l'intitolazione dello spazio alla santa musicante.

L'acustica non è delle migliori, se non per l'uditorio, che vede amplificato ogni colpo di tosse, ogni sussurro, ogni fruscio, ma la chiesetta, tramutata in oratorio in travagliate e affascinanti vicende architettoniche, compensa ogni rilievo con un'atmosfera davvero suggestiva, e la volontà di ospitarvi un piccolo festival [San Giacomo Festival] è senz'altro da encomiare e incoraggiare.

Nel nostro caso è Scarlatti ad accoglierci e aprire il concerto, ma le corde pizzicate non sono quelle di un clavicembalo, bensì quelle di una chitarra e al meccanismo cristallino e scattante comandato da una tastiera si sostituisce il tocco diretto, meno netto ma più morbido, delle dita umane.

Il chitarrista è Eugenio Della Chiara [Ileggi l'intervista], giovanissimo pesarese che si sta caparbiamente ritagliando un proprio spazio nel panorama di uno strumento apparentemente fra i più popolari, in realtà ancora di nicchia per quel che concerne il repertorio classico o contemporaneo cosiddetto colto.

Pure abituato a frequentare e commissionare prime esecuzioni assolute, in questo caso volge il suo sguardo alla storia dei secoli passati e dopo Scarlatti propone l'amato Paganini con la Grande Sonata per chitarra sola op.39, già incisa nel suo CD Rossinimania [leggi la recensione], e la Sonata n. 33, che invece è tale di nome ma non di fatto, componendosi solo di due movimenti (Minuetto e Andantino) che nulla hanno a che fare con la forma classica codificata. Ma proprio in questo risiede anche il fascino della produzione chitarristica del virtuoso genovese, nel suo carattere intimo e informale, per questo più autentico e perfin sperimentale, nell'invenzione melodica e nello spirito poetico che ribadiscono costantemente l'inesausto rapporto dialettico il linguaggio della musica vocale.

Proprio nella sensibilità al canto, nel senso del colore e dell'espressione si riconosce, peraltro, la qualità distintiva e più interessante di un interprete molto attento all'esplorazione e alla costruzione del repertorio. Così, rispetto all'iconografia quasi mistica di un virtuosismo diabolico fine a se stesso (come fine a se stesso era ritenuto, con il mutare dell'estetica, anche il canto d'agilità di marca barocca o rossiniana), si può approfondire il valore più complesso del linguaggio musicale paganiniano, legato al gusto del melos e a un codice ben più aperto, mobile e articolato di quanto non si sia abituati allorquando ci si arrocchi nella pigrizia della classificazione rigida fra generi non comunicanti: opera a numeri chiusi, dramma musicale, sinfonismo e musica da camera d'oltralpe, Lied tedesco, romanza da camera italiana...

In quest'ottica, l'ultimo pezzo in programma, il Capriccio diabolico composto da Castelnuovo-Tedesco per Segovia, risulta particolarmente indicativo, perché l'omaggio dichiarato a Paganini nel titolo e nella scrittura ricca di citazioni e contrasti potrebbe facilmente prestarsi alla riproposta del cliché esteriore, se non fosse che, appunto, un esecutore cresciuto nella concezione moderna e consapevole del canto e del belcanto può illuminare questa sfaccettatura preziosa anche del Paganini filtrato attraverso lo sguardo di Castelnuovo-Tedesco.

Chiude il cerchio inevitabilmente un ritorno a Genova per il bis, uno dei quarantatré Ghiribizzi. Come suggeriscono il titolo e lo strumento (il violino resta il re della sala da concerto, la chitarra l'amica più riservata), un altro frammento creativo del Paganini più intimo e lirico.

Applausi, l'oratorio pian piano si svuota, in attesa del prossimo appuntamento musicale, fuori Bologna volge dolcemente alla sera.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.