Quant'è bella giovinezza
di Emanuele Dominioni
Capolavoro indiscusso dell'arte musicale e teatrale germanica, Hänsel und Gretel ritorna al Teatro alla Scala, dopo più di cinquant'anni di assenza e per la prima volta in lingua originale, in un allestimento magniloquente e a tratti toccante firmato da Sven-Eric Bechtolf, con protagonisti i giovani e promettenti complessi dell'accademia scaligera.
MILANO, 8 settembre 2017 - Il 1854 viene ricordato negli annali della storia dell'opera per il trionfo della Traviata. Mentre in Italia, infatti, la penna del cigno di Busseto otteneva il suo giusto e atteso riscatto veneziano, nel nord della Renania nasceva Engelbert Humperdinck, autore di Hänsel und Gretel. I due fatti, apparentemente lontani e probabilmente forzosamente accostati, acquistano particolare interesse all'occhio dell'ascoltatore moderno partendo da questo semplice presupposto: se volgiamo lo sguardo al numero delle rappresentazioni, Hänsel und Gretel si può considerare La traviata d'oltralpe. Secondo questo parametro, i due capolavori, infatti, compaiono al primo posto nei rispettivi paesi natale, ed è singolare constatare come di questa fiaba in musica, perla luminosa del panorama musicale di fine Ottocento, si contino in Italia solo sporadiche e isolate apparizioni.
Non si può che plaudire quindi all'iniziativa del Teatro alla Scala, che ha scelto di affidare ai propri complessi accademici (solisti, coro di voci bianche, e orchestra) il difficile onere di riportare sotto i riflettori un'opera e un autore di cui lo stesso Richard Strauss (direttore della prima assoluta di Weimar) ebbe ad affermare «A dire il vero, ecco un capolavoro di prima categoria. Da molto tempo un'opera non mi faceva una tale impressione. Che spirito piacevole, che incanto, che semplicità nella melodia, che arte e che abilità nella conduzione dell'orchestra, che trionfo nella struttura generale. Mio caro amico, voi siete un grande maestro».
Pur mantenendo e, anzi, sfruttando appieno la caratura fiabesca del soggetto - tratto dai fratelli Grimm e rimaneggiato in parte dalla sorella di Humperdinck, Adelheid - la regia di Bechtolf immette all'interno dello spettacolo scaligero tematiche contemporanee che rimandano al disagio sociale delle periferie urbane, in una cornice favolistica che non rinuncia, quindi, a parlarci di ciò che quotidianamente di circonda e interroga. Gli angeli non sono altro che dei clochard che ottengono un riscatto e una dignità aiutando Hänsel e la sorella ad affrontare la notte nel bosco. In questa operazione Bechtolf è aiutato dal carattere umano e popolare del soggetto, nonché dall'intensità della scrittura di Humperdick, che non dà tregua alcuna all'ascoltatore dall'inizio fino all'atteso lieto fine.
Le scene curate da Julian Crouch, si mantengono spesso su un carattere bidimensional, come nel caso della casa di Peter e in quella della strega, ma offrono altresì squarci eloquenti e potentissimi mediante l'uso brillante delle luci e alcune soluzioni visive azzeccatissime. Su tutte la presenza della metropoli sullo sfondo che contrasta con la favela da cui compare la strega durante l'ouverture, il materializzarsi degli angeli alla fine del secondo atto, e la simpatica apparizione dei bambini-biscotti nel finale.
Il lavoro fatto coi e sui giovani interpreti dell'Accademia da parte di Bechtolf ha dato vita a un dinamismo scenico che nella sua cura e vitalità drammatica rasenta il teatro di prosa. In questo senso il regista tedesco si avvale di una compagnia di canto che nella recita dell'8 settembre annoverava un parterre di voci invero molto interessanti. La coppia dei protagonisti offre al pubblico scaligero un simpatico duo sostenuto da Anna-Doris Capitelli (Hänsel) e Francesca Manzo (Gretel), giovani cantanti dotate entrambe di una presenza scenica pressochè perfetta per i rispettivi ruoli. Ci permettiamo di lodare in particolar modo la pastosità e colore vocale della prima, accompagnati pure da un peso non indifferente, e l'ottimo bagaglio tecnico della seconda, sia nell'ascesa all'acuto sia nei numerosi duetti accompagnati spesso da danze e movimenti rocamboleschi. Peter è Gustavo Castillo, baritono venezuelano dal timbro brillante e gradevolissimo, nonché dalle spiccate doti attorali.
Efficace anche Chiara Isotton come Gertrud e, nella parte della strega, Mareike Jankowski. Quest'ultima ha saputo tenere testa sia alla difficile scrittura vocale, spesso ai limiti del parlato, sia all'impegnativo e ingombrante costume, disegnato per lei da Kevin Pollard.
Degne di nota, inoltre, le prove di Enkeleda Kamani ( il mago Sabbiolino) e Céline Mellon ( il mago Rugiardino).
Un particolare plauso va rivolto, però, all'orchestra dell'Accademia del Teatro alla Scala di cui abbiamo già celebrato i meriti nella breve tournè lombarda lo scorso luglio, e che qui si ripresenta in grande spolvero. Merito forse anche della pregevole bacchetta di Marc Albrecht, nei giovani musicisti avvertiamo comunque una vitalità e qualità sonora che non sempre ci è dato ascoltare nel tempio scaligero, e che risultano quindi commoventi e insieme sorprendenti a fronte del difficile titolo proposto in questa occasione. Lo stesso dicasi per la pregevole prova offerta, anche sul piano scenico, dal coro delle voci bianche diretto da Marco De Gaspari.
Grande è il successo tributato loro come a tutti gli altri protagonisti, nonostante una platea colma solo a metà. Si replica fino al 24 settembre.
foto Brescia Amisano