L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

gilda fiume norma

Passione al femminile

 di Luigi Raso

Si impongono le due protagoniste femminili, Gilda Fiume e Teresa Iervolino, nella Norma al Teatro Verdi di Salerno, concertata con passionalità corrusca da Daniel Oren

SALERNO, 20 ottobre 2017 - Passione distruttrice, sete di vendetta, odio, perdono, menzogna, desiderio di libertà di un popolo oppresso sono i temi posti alla base di Norma, un’opera di transizione tra un crepuscolare neoclassicismo e il grande melodramma romantico. A Milano, quando fu rappresentata per la prima volta alla Scala il 26 dicembre 1831, c’erano gli austriaci: è facile intuire chi si celasse dietro lo schermo dei romani, e a chi fosse rivolto il marziale coro “Guerra, guerra!”. Dopo anni di mitizzazione, in primo luogo nelle arti, della “romanità”, dell’Impero, i discendenti di Enea si ritrovano a essere effigiati quali “barbari”, oppressori di un popolo depositario di una sua cultura, di propri riti. Contrapposti ai romani, i Druidi e una loro sacerdotessa che dimostra magnanimità e capacità di perdonare. La porta verso il Risorgimento e patriottismo musicale verdiano (e non solo) in musica è dunque aperta. Benché Nabucco sia di là da venire (Milano, 1842), il popolo/coro già in Norma diventa uno dei protagonisti del melodramma.

La stagione del Teatro Verdi di Salerno riprende, dopo la pausa estiva, con il capolavoro di Bellini; una produzione all’insegna della “tradizione”, scenica e musicale. Le eleganti scene di Flavio Arbetti, con il richiamo a tronchi di querce, erme romane abbattute, croci celtiche, atmosfere lunari, nella loro suggestione sono fedeli allo spirito del libretto e all’ambientazione dell’opera. In questo contesto si inseriscono i bellissimi vestiti disegnati da Giusi Giustino, che marchiano Norma con il rosso della sua passione amorosa, Adalgisa con il bianco della sua (apparente) purezza e Pollione con armature e tunica da “barbaro” conquistatore.

La regia e le luci firmate da  Giandomenico Vaccari, nel ristretto spazio del palcoscenico salernitano, riescono a ben incastonare e a dare dinamismo al coro e protagonisti, senza rinunciare a dipingere un inquietante bozzetto familiare all’inizio dell’atto II.  

Daniel Oren, alla guida della sempre affidabile Orchestra Filarmonica Salernitana “Giuseppe Verdi”, crea da par suo coesione e intesa tra palcoscenico e orchestra, stende levigati arpeggi orchestrali nell’accompagnare le melodie vocali “lunghe, lunghe, lunghe” (il copyright al Cigno di Busseto) delle quali è disseminata l’opera, imprime una narrazione sempre appassionata, senza cedimenti, che raggiunge nella progressione melodica e armonica del finale dell’Atto II un’acme di emozione non comune. Una lettura di Norma, quella del maestro israeliano, poco neoclassica e molto (pre)verdiana: le passioni sono accentuate, le sonorità corrusche e belluine, la narrazione serrata.

Dispiace solo per qualche taglio “di tradizione” di troppo, quale, tra i vari, l'eterea codaal coro “Guerra, guerra!”, inaspettato contrasto all'impeto precedente.

Quanto al versante vocale, i panni della sacerdotessa druidica sono vestiti da Gilda Fiume, debuttante a Salerno, la quale possiede voce ricca di armonici, dal bel colore pastoso. La buona tecnica vocale le consente un appropriato controllo del fiato e ottimo legato. Un’interpretazione di Norma intensa ma allo stesso tempo composta: la Fiume è a proprio agio nei momenti drammatici e in quelli belcantistici, al netto di alcune note nei passaggi di agilità toccate con glissato. Il soprano farcisce il suo canto con gli acuti finali di tradizione, tutti ben emessi, ad eccezione di quello conclusivo del finale dell’Atto I, leggermente calante; nel complesso un’eccellente prova vocale e interpretativa per un'artista i cui sviluppi di carriera sono da seguire con interesse.

Un’intesa Teresa Iervolino dà vita alla giovane Adalgisa: timbro affascinante, dalla screziata brunitura, sempre convincente vocalmente e scenicamente. Perfetta la fusione tra le voci della Fiume e della Iervolino nei duetti che Bellini assegna a Norma e Adalgisa, con punte di intensa elegia nel sospirato “Oh! Rimembranza”, magnificamente accompagnato da Oren, o nel cinereo incedere di “Mira, o Norma”.  

Decisamente non all’altezza di quello femminile è il settore vocale maschile di questa produzione: l’Oroveso di George Andguladze ha timbro anonimo e cavernoso, voce troppo frequentemente indietro e mal appoggiata. Un’interpretazione poco autorevole e sbiadita del capo dei Druidi, uno dei ruoli che preludono alle imponenti figure dei bassi verdiani.

Discorso analogo può valere per il Pollione di Gustavo Porta, il quale ha voce dal volume notevole, ma emessa senza grazia, spesso e volentieri spoggiata, con evidenti di difficoltà a smussare i suoni senza renderli sfuocati e sbiaditi. L’interpretazione del proconsole romano risulta, così, generica, forse in linea con il personaggio, ma comunque improntata a uno stile vocale troppo rétro per gli ascoltatori d’oggi.

Completano il cast vocale la Clotilde di Miriam Artiaco e il Flavio di Vincenzo Peroni, ben amalgamanti con i protagonisti.

Preciso e professionale il coro diretto da Tiziana Carlini, il quale contribuisce ad apportare una notevole dose di tensione emotiva al finale dell’opera, così come a immergere nella rarefatta atmosfera notturna la lunare melodia di “Casta diva”.

Al termine il folto pubblico tributa convinti applausi a tutti gli artefici dello spettacolo, con punte di ovazione per protagonista e per Daniel Oren.

 


 

 

 
 
 

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