L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Orchestra Mozart, Bernard Haitink, Isabelle Faust

L'eco e il ritorno

 di Roberta Pedrotti

Rimasta orfana del suo fondatore, Claudio Abbado, l'Orchestra Mozart cerca una rinascita che ne riaffermi identità, ruolo, risorse. Frattanto si ripresenta, per la prima volta dopo la scomparsa del Maestro, con un concerto straordinario, diretto da Bernard Haitink, solista Isabelle Faust.

BOLOGNA, 6 gennaio 2017 - L’attesa dell’evento si fa palpabile nel pigia pigia all’ingresso dell’Auditorium Manzoni. Chi aspetta di entrare, chi deve ritirare i biglietti, chi cerca di ravvisare un ordine e delle code riconoscibili in quella marea umana imbacuccata per il gran freddo sceso su Bologna, ma ardente per l’appuntamento tanto atteso.

Età diverse, eleganze diverse, consapevolezze e aspettative diverse. Si celebra l’Orchestra Mozart, che dopo tre anni torna a prender posto sul palco di quella che era la sua casa. Lo fa con calma, alla spicciolata, aureolata da un applauso infinito che è molto più del consueto benvenuto ai musicisti.

Fra le creature di Claudio Abbado forse la più sfortunata, si è trovata orfana troppo giovane e fragile, mentre le sue sorelle avevano avuto modo di imparare a reggersi sulle proprie gambe, erano autonome già da tempo, forti di progetti e istituzioni che ne garantivano sorti e ruolo. Al pari dell’Orchestra di Lucerna, la Mozart si è costituita come un consesso eccellentissimo di musicisti raccolti all’occasione, là il Festival principalmente qui principalmente la stagione retta da Abbado nei suoi ultimi anni: gli svizzeri possono, però, contare su un’attività molto più ristretta e su risorse economiche superiori, mentre a Bologna il prestigio assoluto dell’istituzione di riferimento – l’Accademia Filarmonica – è tutto artistico e intellettuale, mentre dopo la scomparsa del maestro e fondatore mecenati e finanziatori non hanno assicurato il medesimo, costante appoggio, in qualche caso ridistribuendosi fra altre realtà cittadine.

Erede del maestro milanese come tutore e mentore della Mozart, l’Accademia si è impegnata nel raccogliere sostegno anche materiale per il sogno di una rinascita dell’ultima orchestra di Abbado anche dopo Abbado.

Ed eccoli ancora qui, in un clima sospeso, come un rito fuori dal tempo, a metà fra la rievocazione di un passato prossimo irripetibile e l’auspicio di un futuro dai contorni difficili da delineare con chiarezza. Il rito si celebra a dovere e, anche se non sono presenti tutti i pezzi da novanta dell’organico storico, riprende forma fisica quel suono non perduto, ma come custudito in una sorta di limbo. L’Orchestra Mozart suona bene, splendidamente bene, è composta da musicisti di primissimo ordine e non delude le aspettative. È come il monumento di se stessa, in senso etimologico di memoria fisica e non deperibile di un suono e di una tecnica. E di uno spirito soprattutto quando si ripresenta in formazioni cameristiche (nello scorso marzo, per esempio: leggi la recensione), mentre sa farsi strumento collaborando, in formazione sinfonica, con un direttore. Questi è, a completare il senso ciclico del ritorno, Bernard Haitink, che aveva sostituito Abbado nell’ultimo concerto, Pollini solista, nel dicembre del 2013.

Non si ricalcano le ombre multiformi di Abbado, ma si persegue la via maestra caratteristica del direttore olandese. Fin dalle prime battute dell’ouverture per l’Egmont s’impone una sostanza timbrica volutamente massiccia, terrigna, perfino ruvida a tratti, che va di pari passo con una scelta di tempi che saranno per tutta la serata decisamente dilatati, con un ferreo controllo del fraseggio, con un gesto rigoroso quanto essenziale. Peraltro, Haitink lo sa bene, basta tracciare una linea interpretativa e la Mozart la seguirà e svilupperà suonando benissimo per sua costituzione genetica, sicché l’involo fantasioso e la ricerca son compensati dall’affiatamento di un organico capace di dipanare con souplesse tutte le difficoltà tecniche – sia nella singola parte sia nell’intreccio delle voci.

Lo spirito cameristico abbadiano balugina allorché, nel Concerto per violino e orchestra di Beethoven, Isabelle Faust libera con dolcezza un suono particolarmente morbido e levigato, come avvolto intorno a una calda anima lucente. Questo suo vero e proprio canto strumentale, esaltato nel bagaglio poetico di trilli infiniti, messe di voce e quant’altro un violino possa condividere con una voce, giustifica allora l’anelito ad arrestare l’attimo fuggente dei tempi di Haitink, si pone in rapporto dialettico con i colleghi dell’orchestra e li conduce a smussare spigoli, levigare superfici per cantare insieme.

Precipita una nuova cascata di applausi di rito, non perché immeritati, ma perché risuonano sempre così, massicci, interminabili, inevitabili, come una parte integrante della serata, al pari del programma musicale, al pari perfino di quei timidi battimano che punteggiano le pause fra un movimento e l’altro, vuoi per incontenibile entusiasmo consapevole di chi è lì per la musica, vuoi per automatismo inconsapevole di chi è lì per l’evento. Inutile negarlo, il ritorno della Mozart non è solo un concerto, è questo e molto altro: nostalgia, speranza, piccola grande mondanità, maschere intellettuali e autentiche passioni.

Intanto, Isabelle Faust attacca il suo bis: un Amusement pour le violon seul di Louis-Gabriel Guillemain. Ci ricorda, con quel legato danzante, elegantissimo e spiritoso, con quella musicalità così tersa e soave, che quel che conta, quel che resta è semplicemente la musica.

Dopo l’intervallo l’ottantottenne Haitink scandisce serio e concentrato la sinfonia Renana di Schumann, la Mozart la suona da par suo, senza temerne le difficoltà strutturali.

Ancora applausi a non finire, poi un fiume densissimo, riconquistati i cappotti, si disperde nel gelo cittadino, l’eco dei commenti si mescola all’ultima eco della musica. Se da quest'eco altre prenderanno forma, in un ciclo di ritorni sempre più frequenti è una domanda che resta aperta.

foto Marco Caselli Nirmal


 

 

 
 
 

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