I volti del sacro
di Roberta Pedrotti
Programma pervaso dal senso del sacro per l'inaugurazione della stagione sinfonica del Comunale: l'ispirazione elevata, ma non priva di intime illuminazioni, di Schubert si confronta con il tormentato misticismo di Bruckner, le soluzioni poliedriche del primo non mancheranno di influenzare il linguaggio frastagliato del secondo. Sotto la guida attenta di Michele Mariotti, i complessi del Comunale figurano meglio nella messa schubertiana, denunciando ancora qualche fatica nell'assimilare la scrittura di Bruckner.
BOLOGNA, 13 gennaio 2017 - Un programma importante, impegnativo, come si conviene a un’inaugurazione; un programma severo, introspettivo, come i tempi suggeriscono. Così si apre la stagione sinfonica del Comunale di Bologna sotto la guida di Michele Mariotti, ancora nella sala del Manzoni che, inutile negarlo, mantiene il vantaggio acustico della consuetudine e del conseguentemente calibrato equilibrio sonoro rispetto alla densità rigogliosa del Bibiena aumentato, ossia arricchito della camera lignea.
Conforme alla struttura della Missa Solemnis, la Messa n. 6 in Mi bemolle maggiore D 950 di Schubert importante, impegnativa, severa e introspettiva lo è senz’altro, anche se nell’ampiezza e nel rigore dell’architettura s’insinua un respiro più dolce e arioso, come piccole finestre aperte nell’immensità di una cattedrale gotica. Nell’opera estrema, eseguita postuma, dell’autore della Winterreise si condensa una visione complessa ma non contraddittoria del sacro, in cui la grandezza del divino, e con esso una tradizione che va almeno da Bach a Beethoven, si misura sempre con uno sguardo umano, con la dolcezza della speranza, con lo stupore del finito di fronte all’infinito; la freschezza delicata quanto salda dell’invenzione melodica schubertiana si fa spazio e interloquisce con la complessità retorica dei testi sacri articolati in uno straordinario ventaglio armonico e timbrico, con sapienti accostamenti e soluzioni che non passeranno inosservate ai posteri.
L'ampiezza di pensiero intessuta fra pieni e vuoti, luci e ombre in questa limpida ariosità d’intimo sentimento religioso deve aver sedotto Michele Mariotti, particolarmente ispirato e a proprio agio nel penetrare le sfaccettature del sacro schubertiano, calibrandone i contrasti in un fluido dialogo. Decisamente lussuoso, poi, è il quintetto vocale scritturato per una partitura che ai solisti concede veramente poco, giusto qualche verso là dove i pochi possono concentrare la parola e l’armonia meglio della moltitudine corale. Musicisti prima di tutto, senza bisogno di appariscenti lusinghe, si confermano Michele Pertusi con la sua arte preziosa, Alessandra Marianelli, con quel timbro fragrante e angelico che vedremmo bene in una Quarta di Mahler, Raffaella Lupinacci e i tenori Alessandro Luciano e Anicio Zorzi Giustiniani, tutti perfettamente amalgamati per timbri, volumi, intenzioni.
Il coro del Comunale s’impegna assai nel dar colore e nel cantar piano: mordente, nettezza ed estremi di tessitura (specie nei soprani) non saranno sempre ideali, ma la prova è comunque convincente sul piano musicale ed espressivo, così come per l’orchestra.
Dopo questa bella lettura della Messa di Schubert, è la volta del cimento, anch'esso pervaso da una personalissima religiosità, con la Prima sinfonia di Bruckner, per di più proposta – ed è questo uno degli elementi di maggior interesse della serata – nella rara versione viennese, l’ultima tappa di un tormentato lavoro di rielaborazione.
Il compositore di Linz non è presenza troppo inconsueta nei cartelloni bolognesi, prova significante dell’interesse dei complessi del Comunale ad approfondirne il linguaggio, che tuttavia risulta ancora ostico per l’orchestra. Non si tratta di qualità specifica dei singoli, delle sezioni e dell’insieme, come ha dimostrato, per esempio, l’ottimo esito del concerto mahleriano di pochi mesi fa [leggi], ma piuttosto di un’effettiva difficoltà nel rendere la scrittura di Bruckner, nell’entrare in familiarità con i suoi intrecci tematici, le sue densità e i suoi accostamenti timbrici, la sua articolazione di motivi e fraseggio. Insomma, sembra un autore ancora da conquistare appieno e questo concerto non ha fatto eccezione: dopo un buon inizio, la tensione è man mano calata e le difficoltà sono emerse soprattutto negli ultimi due movimenti, non perfettamente a fuoco. D’altra parte lo stesso Mariotti non ha in Bruckner l’autore al momento più frequentato (tornerà, però, a breve a questa stessa sinfonia con i Münchner Symphoniker) e quindi se da un lato si avverte in nuce uno studio accuratissimo della partitura, un’interpretazione chiara e consapevole, una debita valorizzazione del linguaggio e delle peculiarità della scrittura, dall'altro manca forse ancora quell’esperienza pragmatica che possa tramutare l’ideale in concreto là dove l’orchestra lascia trasparire la scarsa confidenza con l’autore. Lettura, insomma, in potenza assai interessante, esecuzione che conferma come Bruckner sia ancora un territorio da conquistare per i complessi del Comunale.
L'accoglienza per la Sinfonia risulta infatti piuttosto tiepida, mentre la Messa aveva suggellato la prima parte del concerto fra più convinte approvazioni.