L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Markus Werba e Michele Mariotti

Mahler, o dell'esattezza

 di Roberta Pedrotti

Programma tutto dedicato a Gustav Mahler per la ripresa della stagione sinfonica del Teatro Comunale di Bologna dopo la pausa estiva. Markus Werba sigla un'interpretazione toccante ed esemplare dei Kindertotenlieder, Michele Mariotti guida con cura analitica un'orchestra concentratissima nella prima sinfonia Il titano.

BOLOGNA 2 ottobre 2016 - Markus Werba canta Mahler e non si poteva dare un miglior bentornati per la ripresa, dopo la pausa estiva, della stagione sinfonica nella rinnovata sala del Bibiena (e bisogna dirlo: queste nuove poltrone offerte dai coniugi Golinelli sono davvero comode, oltre che più propizie all’acustica). 

Werba e Mahler: un binomio perfetto al punto che tutti i superlativi che si propongono insistentemente sulla tastiera suonerebbero ridondanti, perfino banalizzanti rispetto alla semplice e naturale sensazione di esattezza che questi Kindertotendlieder compiutamente comunicano. Artista sensibile e raffinato, il baritono austriaco coglie, infatti, sempre il perfetto equilibrio in ogni dettaglio: il timbro ha la franchezza di una virilità nel fiore degli anni, la dolcezza paterna e il fiele del dolore, si piega con facilità superiore alle dinamiche espressive senza perdere mai di qualità, omogeneo, riconoscibile, ma mai monotono o uniforme. La parola vibra nel canto con un’intima verità, senz’ombra di leziosaggini, bensì facendo vivere l’anima più profonda della scrittura mahleriana in una tornitura musicale sopraffina, così poeticamente sobria e sincera. Del ciclo poetico di Friedrich Rückert coglie l’aspetto contingente, intimo e personale, il dolore privato che ha ispirato la composizione così come il suo riverberarsi in un male universale, quasi un esito ultimo, in mutata temperie, della poetica leopardiana. E la voce del padre che osserva il procedere della quotidianità, l’intatto ciclo della natura dopo che il suo mondo è stato sconvolto dalla scomparsa dei figlioletti somiglia un po’ a quella di Pascoli che osserva le Lacrime di S. Lorenzo con la morte del genitore nel cuore.

La profondità intellettuale, l’immediatezza poetica, il gusto e l’intelligenza musicale, in una parola l’esattezza ammaliante di Werba dialogano in perfetta sintonia con la bacchetta di Michele Mariotti, attentissimo – benché la sala del Comunale con la nuova camera acustica tenda a un suono estremamente pastoso – alla dimensione essenziale, liederistica appunto, della partitura.

L’ascolto è con il fiato sospeso a ogni nota di Mahler, a ogni fonema del testo, reso così denso di significati anche per chi non intenda troppo il tedesco; l’entusiasmo al termine dei Kindertotenlieder caldissimo. Già attendiamo con ansia di riascoltare Werba a Bologna, questa volta in un’opera italiana, sempre con la direzione di Mariotti il prossimo anno [leggi la la stagione 2017 del Teatro Comunale].

Dopo l’intervallo l’Orchestra del Comunale si ripresenta al gran completo per la seconda parte di un programma mahleriano splendido quanto impegnativo: la prima sinfonia Il titano è un banco di prova per ogni complesso e i musicisti bolognesi non si sono fatti trovare impreparati, sfoggiando tutte le loro qualità con la miglior concentrazione. Da tempo non sentivamo legni e ottoni del Comunale così ben a fuoco, ma in generale il lavoro sul suono, minuzioso e analitico, di Mariotti raggiunge in quest’occasione uno dei suoi risultati migliori in campo sinfonico. Basterebbe, in tal senso, ascoltare la cura del fraseggio e delle arcate dei contrabbassi all’attacco della marcia funebre del terzo movimento, con quel pizzico di molle lamentosità ad anticipare e contrastare il successivo, ironico, sviluppo. Nondimeno l’attenzione ai richiami tematici tende a restituire una rete di riferimenti incrociati come struttura portante dell’intera sinfonia.

Mariotti non pare porsi sulla scia di Bernstein e della sua esplorazione dell’umore ambiguo della psiche di Mahler e del suo rapporto con le proprie radici; viceversa emerge maggiormente il confronto con la grande tradizione sinfonica, per esempio nella chiarezza del primo movimento, immagine della Natura erede di quella solo apparentemente idilliaca e pittorica della Sesta di Beethoven, o della presenza pregnante dell’ambiente nel Guillaume Tell e nella Donna del lago rossiniani. Più ancora che la trattazione di Frère Jacques/Bruder Jakob con l’irrompere di sonorità e ritmi klezmer, nel terzo movimento, a colpire come uno dei nuclei fondamentali è, dunque, la dialettica delle danze nel secondo, fra il vitalismo grassoccio di quelle popolari (si potrebbe ammiccare alla sinfonia Renana di Schumann?) e l’elegante nostalgico languore del walzer viennese. Non manca l’attenzione ai contrasti fra l’aspetto elegiaco, estatico o melanconico, e quello lo streben energico e ansioso, che la bacchetta controlla sempre nella gestione dei tempi e nella valorizzazione dei piani, anche quando l’acustica generosa enfatizza un po’ i volumi. Ma, d’altra parte, la coda formidabile dell’ultimo movimento è un trionfo nel quale qualche decibel in più è dovuto e Mariotti mantiene saldo il controllo perché non si perdano i fili del discorso e tutto non si trasformi in una cavalcata senza freni.

Poi, i decibel che esplodono liberamente sono quelli degli applausi: l’accoglienza è festosissima e premia l’impegno di tutti gli interpreti, oltre a esprimere con forza l’affetto verso il teatro anche in tempi d’inquietudini e incertezze. Un comunicato sindacale – accompagnato da una manifestazione in forma esibizioni fuori programma dei professori d’orchestra nel foyer prima del concerto e da un intervento del maestro Mariotti al termine della serata – conferma che per i nostri teatri non sembra esserci mai pace e che il lavoro artistico si accompagni sempre all’apprensione per il futuro amministrativo e legislativo del comparto culturale nel nostro Paese.

foto Rocco Casaluci


 

 

 
 
 

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