Il ritorno di Jan
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è ben felice di accogliere nuovamente, dopo il suo applaudito esordio nel maggio 2014, il giovanissimo Jan Lisiecki, allora enfant prodige, oggi dalla carriera internazionale saldamente avviata. Il programma è ben condito e articolato: la Partita n. 3 in la minore BWV 827 di Johann Sebastian Bach; i Klavierstücke op. 32 di Robert Schumann; lo Scherzo in si minore op. 20 e i Due notturni op. 48 di Fryderyk Chopin; e, infine, i Quattro improvvisi op. 142 D 935 di Franz Schubert. Ove la tecnica cristallina è certamente migliorata, l’incursione in opere più rare (lo Schumann dei Klavierstücke) e di più profonda interpretazione (la bachiana Partita e i Quattro improvvisi di Schubert) attestano certo ampi margini di miglioramento nella lettura interpretativa del pezzo.
ROMA, 13 febbraio 2017 – Torna a esibirsi all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia il talentuoso Jan Lisiecki, che aveva stupito il pubblico – giovanissimo enfant prodige – in un recital qualche anno fa (maggio del 2014). Torna forte di una carriera internazionale sempre più solida, di una fama sempre più consolidata e di riconoscimenti internazionali di grande prestigio. Il concerto presenta un programma complesso, interpretativamente parlando tutt’altro che agevole, che spazia da Bach a Schumann, con brani che spesso presentano anche intime connessioni fra loro. È il caso delle prime due opere. S’inizia con Bach: la Terza partita è un’articolata suite che mette l’interprete di fronte a difficoltà non solo puramente tecniche, ma anche squisitamente interpretative. Lisiecki dimostra fin dal principio le sue incredibili doti: sopraffino suo della velocità esecutiva, della sgranatura del suono, che rimane turgido e pieno senza l’appesantimento della pedaliera, la sensibilità volumetrica, la vividezza del colore sonoro. Stupisce, in tal senso, la spedita velocità della Corrente. Ma, considerando anche qualche altra celebre interpretazione della suite (ad esempio, A. Schiff), si vede come Lisiecki sia meno attento al dato interpretativo, a scontornare talune sfumature delle danze, taluni colori nei cambi di ritmo: il suo è un Bach eminentemente tecnico, a tratti ginnico, in ogni caso affascinante soprattutto per alcuni passaggi, ma meno profondo di altri. I Klavierstücke op. 32 di Schumann sono, per molti versi, un omaggio alla musica di Bach, con cui intrattengono una forte liaison strutturale («una vera e propria Suite in stile barocco» scrive G. Barbieri, nelle note di sala). Nello Scherzo è ammirevole il repentino cambio di colore che Lisiecki riesce a imprimere, eppure è forse, dei quattro, il pezzo più tirato via, benché non manchi di una sua vitalità e immediatezza; della Giga esalta soprattutto la velocità e il senso coreutico; nella Romanza si scorge quella dose di malinconia e di un tono vagamente belliniano; la miglior esecuzione è soprattutto la Fughetta, fulmineo omaggio al genio bachiano. Al confronto di versioni come la magistrale di Gilels – che, val bene ricordarlo, vi arrivò a età avanzata, quando aveva acquisito certo un bagaglio interpretativo imparagonabile a quello di Lisiecki – quella del giovanissimo canadese appare certo vagamente immatura e un po’ esornativa: va in ogni caso notato e apprezzato il talento tattile e sonoro, caratteristiche somme di Lisiecki. Il primo tempo è concluso da un’incredibile esecuzione dello Scherzo in si minore op. 20 di Chopin, l’autore feticcio, il prediletto di Lisiecki, che ha sangue polacco nelle vene. Tutto è un tripudio di eccitamento chopiniano: ottimo uso del rubando, eccellente pulizia sonora, caldi colori, impressionante velocità d’esecuzione delle agilità, col trio centrale stupendamente sognante, ripetuto con impercettibili variazioni, dalle lattiginose atmosfere che preludono alla ripresa in galoppo del tema principale. Applausi calorosi chiudono la prima parte del concerto.
Il secondo tempo si apre ancora con Chopin, col sognante Chopin dei notturni: Due notturni op. 48, certamente cavalli di battaglia del canadese. Il primo in do minore è suonato con apprezzabile pulizia sonora – caratteristica regina del pianismo di Lisiecki – ma forse con agogica troppo rutilante per esprimere la consona atmosfera notturna, languida. Sul secondo, in fa diesis minore, fa cantare bene il tema portante e in qualche momento abbiamo aperture e sospensioni, ma ancora in qualche passaggio troppe accelerazioni. Si conclude con i magnifici Quattro improvvisi op. 142 D 935 di Schubert. Lisiecki è attentissimo al dato sonoro, alla squisitezza fisica del suono, e incontra un colore autenticamente schubertiano nei due improvvisi centrali: quello in la bemolle maggiore, col suo procedere per accordi trasognati (squisite le terzine del trio); e quello in si bemolle maggiore, il tema con variazioni, forse il meglio eseguito dei quattro. Nel primo (fa minore) forse manca un po’ di lavoro di cesello sui vari piani dell’insieme; nel quarto (stessa tonalità: a Ringkomposition) manca del mordente (s’ascolti, a paragone, l’esecuzione di Zimerman). Fra applausi scroscianti Lisiecki regala al pubblico un bis a lui molto caro: Träumerei (Kinderszenen op. 17, n. 7) di Schumann, inciso anche nel suo fortunatissimo CD con Pappano e i complessi dell’Accademia (Deutsche Grammophon, 2016). Caldissimi applausi accompagnano l’uscita di Lisiecki e palesano il grande amore del pubblico romano per questo giovanissimo talento della tastiera, capace di una sensibilità sonora straordinaria. Gli auguro, negli anni, di migliorar sempre più l’approfondimento complessivo dello spartito.