Il demone di Antonii
di Roberta Pedrotti
Antonii Baryshevskyi torna a Bologna e lo fa in grande stile, con un ricco recital per Musica Insieme in cui impone un'acuta forza interpretativa e una personalità in continuo affinamento.
BOLOGNA, 30 ottobre 2017 - Era l'estate del 2013, la prima edizione del Festival Pianofortissimo (e seguì una fra le primissime recensioni uscite sull'Ape musicale: leggi) quando un giovane, semisconosciuto Antonii Baryshevskyi debuttava a Bologna mettendo subito in luce un pianismo incisivo, una personalità forte.
Lo ritroviamo oggi e lo ritroviamo affinato, maturo per i suoi ventinove anni, senza aver perso l'energia giovanile con cui scolpisce gli accenti e sgrana le note anche nelle arcate legate di Debussy (La terrasse des audiences du clair de lune e Feu d'artifice dal secondo libro dei Préludes) e Chopin (Scherzo n. 2 in si bemolle minore op.1), che rivelano un mordente perfino demoniaco in quello scontornare caparbio del dettaglio in un'atmosfera cupa, perturbante, ma non plumbea, bensì a tratti perfino vaporosa. Lo si avverte chiaramente nell'amato Skrjabin, della cui Sonata n. 5 in fa diesis maggiore op.53 domina le atmosfere visionarie ed esoteriche con il cipiglio dell'esperto stregone, dopo aver dipanato con cura gli effetti armonici che, nell'essenzialità della scrittura di Vers la flamme op. 72, evocano all'opposto e bagliori di fiamma e un incedere smarrito nella neve fresca.
Di fronte a un programma che prevede composizioni disseminate nell'arco di novantadue anni, ha un bel daffare Carla Moreni, che introduce la serata, per tracciare fili conduttori strutturali (il ricorrere della Sonata) ed espressivi (il fuoco e le atmosfere lunari, Dioniso e Apollo). Tutte suggestioni ben presenti in un concerto che si coagula comunque intorno alla personalità dell'interprete come autentico fil-rouge; benissimo così, dato che nessuna norma può stabilire a priori il valore di un programma in base alla presenza più o meno riconoscibile di un tema, al suo elettismo, ai suoi contrasti, alla sua omogeneità. Ben vengano allora, in apertura rispettiva della prima e della seconda parte anche Beethoven (Sonata n. 31 in la bemolle maggiore op. 110) e Schumann (Sonata n. 2 in sol minore op. 22), se anche nel piegarsi a stili differenti Baryshevskyi resta Baryshevskyi, calibra con misura oculatissima la scelta dei tempi, ombreggia il fraseggio, fa scaturire le idee musicali sgranandole e articolandole sempre con consapevole incisività.
Anche i bis rivelano, con autori lontanissimi nel tempo, come il pianista ucraino non sia semplciemente eclettico, ma un musicista completo e intelligente, dotato di un suo demone peculiare: bella la resa di Fem (Metallo) di Ligeti, così come la Sonata K159 di Scarlatti, che con la sua resa pià giocosamente indiavolata che filologica sembra ispirarsi ai celebri fuori programma di Martha Argerich.
Applausi vivaci e meritatissimi che trovano eco nel rimbalzare di commenti positivi che accompagna l'uscita del pubblico dal Teatro Manzoni.