L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Noi siamo amanti e giovani

 di Roberta Pedrotti

Un cast giovane, una buona bacchetta e la reinvenzione di uno spettacolo storico e intramontabile: così torna in scena, per il Festival Verdi, Un giorno di regno nel mini teatro di Busseto.

Leggi la recensione della compagnia alternativa: Busseto, Un giorno di regno, 13/10/2018

BUSSETO, 3 ottobre 2018 - Se Un giorno di regno sta riuscendo a scrollarsi di dosso la fama ingiusta di opera poco riuscita (con tutto l'apparato più o meno arbitrario di ipotetiche correlazioni fra l'insuccesso alla prima e i lutti familiari del giovane Verdi), il merito è anche della produzione che ventuno anni fa il Teatro Regio realizzò con un cast di tutto rispetto (Antonacci, Gasdia, Coni, Antoniozzi, Praticò, Catani) e la messa in scena felicissima di Pier Luigi Pizzi. Uno spettacolo che è diventato meritatamente un classico, fra ironia danzante, eleganza, splendore cromatico di costumi sgargianti su fondi neutri neoclassici, goderecce ricorrenze gastronomiche.

Per riapparire sul palcoscenico in miniatura del Teatro Verdi di Busseto, il capolavoro di Pizzi deve essere reinventato negli spazi e se ne occupa il fido discepolo Massimo Gasparon, a tutti gli effetti titolare in locandina di regia scene costumi e luci “da un progetto originale” del Maestro. La sostanza c'è tutta: le scale componibili, gli archi, le coreografie, l'esposizione gloriosa di prosciutti e forme di parmigiano. Certo, nel dettaglio del gesto, nella precisione tersicorea, la mano di Pizzi conservava una classe che è difficile emulare, soprattutto con una compagnia di giovani e giovanissimi alle prese con scene che ormai abbiamo scolpite nella memoria con i volti e le figure di magnifici cantanti attori (basti fare il nome di Alessandro Corbelli come Belfiore o di Paolo Bordogna tesoriere in riprese successive). In uno spazio così ridotto, se si gode dell'espressione più sottile, se si coglie ogni sguardo e ogni sensazione di chi sta sul palcoscenico, si finisce, però, anche per condividere, in franca empatia, anche l'emozione di una pupilla che cerca l'attacco del direttore, di un gesto ancora più timido che sicuro.

Si prova istintiva simpatia per il cast giovane e di chiarissima dizione che comprende alcuni interpreti già noti fra le nuove leve e altri pressoché esordienti, selezionati anche fra i partecipanti al Concorso Voci Verdiane Città di Busseto. Per esempio Tsisana Giorgadze, ventiquattrenne, offre una Giulietta tenerissima, candida e timida anche, si presume, per la comprensibile emozione, eppure, man mano che lo spettacolo prosegue, afferma non solo qualche accento più piccante nel duetto con Edoardo, ma anche una voce di bello smalto e piacevole rotondità, interessante e promettente. Un po' più in difficoltà con la tessitura della parte della Marchesa del Poggio – forse la figura centrale della commedia – appare Perrine Madoeuf, tuttavia, dopo una cavatina giocata in difesa, nel secondo atto si rinfranca con suoni più saldi e squillanti. Parallelamente cresce in corso d'opera, mettendo in mostra un bel colore baritonale chiaro ed elegante, il Belfiore di Alessio Verna.

Levent Bakirci rende con efficacia e grande partecipazione attoriale la sulfurea alterigia del barone di Kelbar, mentre Matteo Loi è un tesoriere La Rocca garbatamente ironico.

Interessanti i mezzi di Carlos Cardoso, nei panni insidiosi di Edoardo, tuttavia ci si sente di consigliare al giovane tenore di prestare attenzione alla gestione del passaggio e a non allargare i centri: ora la natura, specie in spazi così raccolti, lo sostiene, ma vale davvero la pena di assicurarsi il più affidabile bagaglio tecnico per il futuro.

Rino Matafù è Delmonte e Andrea Schifaudo un simpatico Conte di Ivrea.

Tutti seguono con grande attenzione il gesto sicuro di Francesco Pasqualetti, che convince per la verve autentica conferita alla partitura. Nessuna pesantezza, nessuna soperchieria sonora, ma un bel senso pieno e verdiano della commedia, con un'attenzione all'insieme che rende giustizia all'edizione critica eseguita integralmente, a tutto vantaggio del godimento della partitura pur con un impegno maggiore richiesto ai solisti. A ranghi inevitabilmente ridotti, l'orchestra e il coro del Comunale di Bologna gli rispondono assai bene.

Lo scrigno bussetano in cui il pubblico e gli interpreti si affollano a distanza ravvicinata sembra dar ragione al concreto, burbero Peppino: sì, questo teatro d'opera è un'assurdità. Ma l'opera stessa non è di per sé una sublime assurdità? E per tale ce la godiamo a Busseto, assaporando la situazione intima e surreale, fuori dal tempo e compressa nello spazio. Gli spettatori internazionali applaudono a scena aperta con entusiasmo anche l'apparizione di prosciutti e formaggi, come in un divertente gioco metateatrale in cui noi stessi diveniamo parte della celebrazione di Verdi e delle sue terre, anche sfidando il luogo comune in nome dell'esaltazione dei sensi.

foto Roberto Ricci


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