Viva Vivaldi
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha da sempre un’attenzione particolare per la musica barocca, tanto che da una costola dell’orchestra principale è nata (nel 2005) l’Accademia Barocca, che tiene regolari concerti all’Auditorium Parco della Musica. Dopo quello del 2016 su Lully (leggi), i complessi barocchi tornano quest’anno a proporre un concerto monografico su Antonio Vivali, con musiche sacre e profane. La direzione è sempre dell’istrionico Federico Maria Sardelli. La barocchista Ann Hallenberg interpreta la parte vocale, confermandosi eccellente interprete vivaldiana.
ROMA, 11 aprile 2018 – L’Accademia Barocca dei Complessi di Santa Cecilia torna a esibirsi nella sua ‘casa’: l’Auditorium Parco della Musica, più precisamente la più contenuta sala Sinopoli. Alla guida dell’ensemble il vivaldista di vaglia Federico Maria Sardelli, che prepara un programma fitto e interessante: tre composizioni sacre di diverso genere (uno Stabat, un mottetto e un’antifona) sono intervallate da alcuni brani di musica profana, di cui uno in particolare, come vedremo, desta non poche attenzioni e non poco stupore.
I complessi barocchi suonano con strumenti d’epoca, il cui inconfondibile timbro è certo affatto diverso rispetto a quello che si è abituati a sentire nelle sale da concerto. La serata si apre con il Concerto in re maggiore RV 781 per due oboi, archi e basso continuo (in realtà la sinfonia da una più antica versione dell’Orlando furioso del veneziano): Sardelli è ancora un po’ freddo, diciamo, e gli orchestrali faticano un pochino, dando il destro a una certa monotonia (soprattutto nell’Allegro iniziale) e a qualche dissonanza di troppo. Tutto cambia, però, all’ingresso di Ann Hallenberg, che si esibisce nello Stabat Mater RV 621 per contralto, archi e basso continuo: una lunga melopea, mesta e gemente, dove la svedese sfrutta abilmente le sue abilità di colorista della voce (lo s’è sentito nell’inziale «Stabat Mater»), la sua propensione alla pulizia delle fioriture, che usa con florida accortezza (si pensi a «O quam tristis» o all’«Amen» finale), la sua precisione tecnica nei filati come pure nelle messe di voce, proponendo, in generale, un fraseggio lamentoso e solenne, adatto all’ethos del brano. La direzione di Sardelli rende giustizia alla bella scrittura vivaldiana. Il primo tempo si chiude con il Vestro Principi Divino RV 633. Mottetto per contralto, archi e basso continuo, che incastona un recitativo in due arie, con un successivo finale virtuosistico. La Hallenberg entra subito nell’atmosfera tripudiante e operistica della scrittura, scandendo con pulizia il fraseggio e le fioriture generose della prima aria («Vestro Principi Divino»), come pure quelle della seconda aria («Quid loqueris») e, soprattutto, del finale «Alleluja»; i complessi la seguono benissimo e Sardelli dirige, come aveva già fatto con lo Stabat, come meglio non si potrebbe, valorizzando i differenti sentimenti dell’orchestra vivaldiana.
Il secondo tempo inizia con l’esecuzione del concerto in do maggiore RV 554 per violino, oboe, organo, archi e basso continuo: certamente la qualità esecutiva è migliore del ‘fratello’ che aveva aperto il primo tempo, facendoci gustare un Vivaldi meno conosciuto, sì, ma non certo meno talentuoso. Ciò che si lascia apprezzare del concerto è certamente l’impasto timbrico dato dalla presenza di brevi parti solistiche di così diversa natura. In tal senso, la successiva Sonata in sol maggiore RV 820 per violino, violoncello e basso continuo lascia a dir poco stupefatti, non solo perché era praticamente sconosciuta fino a che, non molto tempo fa, Sardelli stesso l’ha riesumata (come ricorda al pubblico in un breve intervallo), datandola ai primi esperimenti del giovane Vivaldi; ma anche per la struttura davvero interessante: si tratta, infatti, sostanzialmente di due sonate consecutive per violino e violoncello. I solisti dell’ensemble regalano una squisita esecuzione: Paolo Piomboni (violino) emerge per la pulizia degli arabeschi e l’intonazione del suono, argentino e caldamente vibrato; Francesco Di Donna propone con agilità una difficile serie di virtuosismi per il violoncello, che testimoniano la mano freschissima del giovane Vivaldi. Il concerto è chiuso dal Salve Regina RV 616, antifona per contralto, flauto traverso, due flauti dolci, archi e basso continuo, dove la Hallenberg torna a essere protagonista. La svedese ci fa gustare, ancora, la sua abilità di fraseggiatrice e le sue messe di voce nell’incipitario «Salve Regina», nell’«Et Jesum», come pure nella sezione «Ad te suspiramus», dove il patetismo della scrittura è acuito dal dialogo, pregno di accenti, fra la voce del mezzosoprano e il flauto traverso, che incornicia il caldo lamento della voce: Sardelli ci fa qui gustare le sue abilità di traversiere. La Hallenberg virtuosa della voce emerge invece nelle sezioni dell’«Ad te claramus» e nel finale, che si vela di una certa malinconia, l’«O clemens, o pia».
Dopo gli applausi, giusti e meritati, del pubblico, Sardelli e la Hallenberg propongono l’aria «Transit aetas, volant anni» dalla vivaldiana Juditha Triumphans: su un velo trapunto di archi pizzicati con basso continuo di mandolino, la voce della Hallenberg emerge nella sua dolcezza e nella sua abilità di fraseggiare e di rendere naturalmente i virtuosismi. Dopo gli applausi, Sardelli e la svedese, prima di congedarsi, propongono ancora una volta l’«O clemens, o pia» dal Salve Regina.
foto Musacchio e Ianniello