Iunge et impera
di Antonino Trotta
Ennesimo appuntamento di successo per la rassegna MITO SettembreMusica: Martha Argerich, Ricardo Castro e la Neojiba Orchestra insieme sul palcoscenico del Teatro Regio di Torino in un concerto che per intensità emotiva prevarica la serata inaugurale.
Torino, 05 Settembre 2018 – Lei è la leggenda vivente del pianoforte, loro il frutto di un encomiabile progetto civile, insieme sul palcoscenico del Teatro Regio di Torino in un concerto che per intensità emotiva prevarica la serata inaugurale. La danza, filo conduttore dell’intera rassegna, diventa adesso l’accento di un colloquio musicale sincero, la cornice di un quadro artistico dai colori esotici, il tratto somatico peculiare di una fisionomia culturale sfaccettata. L’atmosfera creatasi è straordinaria, l’empatia con la sala palpabile in ogni istante, persino l’ascolto rifiuta la solitaria ricerca estetizzante e si lascia suggestionare dalla volizione di aggregazione dei giovani musicisti dell’Orchestra Giovanile dello Stato di Bahia che nella musica hanno trovato un rifugio e un’occasione.
È un privilegio per il pubblico torinese poter ascoltare Martha Argerich nel concerto in la minore per pianoforte e orchestra op. 54 di Robert Schumann, viepiù in vista l’imminente forfait nella replica milanese (sostituita al pianoforte dal direttore Ricardo Castro). Il pianismo della Argerich è schietto e governa incontrastato nello scorrere dei tre movimenti con un tocco asciutto che non rinuncia alle variegature timbriche più sottili. L’interpretazione non si crogiola nel languoroso materiale melodico del più “romantico” tra i concerti romantici, anzi, la lettura della pianista argentina è impetuosa e tiene fede agli stilemi esecutivi a cui ella ci ha abituati. La cadenza di sortita è vigorosa e nel vorticoso moto ondivago degli arpeggi nell’Allegro Affettuoso spesso annega l’orchestra, sacrificando di conseguenza la possibilità di inseguire tutte le peregrinazioni del tema iniziale. La cadenza del primo movimento è superlativa, con dinamiche mutevoli e tempi prepotenti: proprio qui si misura la grandezza di quest’immensa artista, capace di intrecciare un fraseggio limpido ed esibire una musicalità quasi istintiva anche nelle pagine di oneroso impegno virtuosistico. La Argerich protegge da melliflue vezzosità il garbato tema dell’evocativo Intermezzo, isola amena tra i fuochi del primo e terzo movimento, intavolando con l’orchestra – a onor del vero non sempre precisa – un dialogo aggraziato senza però abbandonarsi all’intangibilità dell’idealismo tedesco. L’Allegro vivace è un fiume in piena, un’esplosione di colori e sonorità che la pianista domina con una cantabilità dispiegata e un tocco dalla fluidità impressionante. Tra le ovazioni del pubblico e le numerose chiamate in scena, Martha Argerich regala una magnifica esecuzione del Widmung op.25 no.1 di Schumann trascritto da Liszt, l’ultima occasione della serata per perdersi nei bagliori di un pianismo senza eguali.
L’anima dell’intera rassegna prende però forma nella seconda parte del concerto, dove si susseguono l’Overture da West Side Story di Bernstein, Sonhos Percutidos di Wellington Gomes – una prima esecuzione italiana come di consuetudine al MITO – la Cuban Overture di Gershwin e la Danzón no. 2 di Arturo Marquez. La Neojiba Orchestra nasce all’interno del programma educativo NEOJIBA e ha lo scopo di porre la musica classica in prima linea tra i giovani provenienti da realtà svantaggiate. Fondata nel 2007, è oggi – come confidato dal direttore all’inizio della seconda parte – già alla terza generazioni di strumentisti: all’interno di questa architettura la musica non si insegna, si tramanda. Tramandare per diffondere, diffondere per moltiplicare, moltiplicare per vincere. Dinnanzi a un messaggio così nobile, di fronte all’entusiasmo esaltante dei giovani artisti che cantano, applaudono, danzano con gli strumenti – fantastici in questo frangente i contrabbassisti – e vivono la musica come un mezzo di comunione, si sorvola su alcuni aspetti che avrebbero altrimenti penalizzato la performance di un’orchestra di professionisti e se ne apprezza oltremodo la freschezza esecutiva nelle pagine che trasudano latinità da ogni nota. Ricardo Castro più che un direttore è un mentore e nell’ultimo brano, la Danzón, fa un passo indietro per lasciare i ragazzi suonare da soli. Dalle parole proferite prima di ogni brano, nella concertazione attenta e consapevole, dall’umiltà con cui egli stesso introduce l’orchestra, traspare un’affezione paterna, una dedizione indefessa e una toccante commozione che non lascia indifferente il foltissimo pubblico. Cori da stadio alla fine del concerto, generosi tributi, due bis - Aquarela do Brasil e Tico-Tico no Fubá – e tutti, estasiati, verso l’uscita ballando ancora il samba.