Minimal Butterfly
di Alberto Ponti
L'opera pucciniana al Regio ha il suo punto di forza nell'ottima direzione di Daniel Oren. Suggestivo ma oleografico l'allestimento scenico.
leggi anche la recensione della seconda recita interrpetata da Karah Son, Massimiliano Pisapia e Fabio Maria Capitanucci Torino, Madama Butterfly, 11/01/2019
TORINO, 10 gennaio 2019 - A chi, punzecchiandolo, gli chiedeva che cosa avrebbe fatto se avesse smesso di comporre opere, il livornese Pietro Mascagni rispondeva che si sarebbe messo a scrivere sinfonie. La circostanza non si verificò (tralasciamo gli esperimenti giovanili) e non sappiamo se la storia della musica abbia perso qualche capolavoro oppure no. Giacomo Puccini, lucchese sanguigno e passionale non meno del suo conterraneo, non azzardò mai in pubblico un'affermazione del genere. Eppure, proprio la sua scrittura rivela sempre intuizioni e abilità tali che non l'avrebbero fatto sfigurare di fronte ai grandi autori di musica strumentale della sua epoca. In Madama Butterfly la rapinosa introduzione contiene, in un minuto e mezzo, già tutto il senso del dramma: la folata dirompente degli archi sorprende e aggredisce l'ascoltatore, affascinandolo con enfasi non meno che straussiana nell'infittirsi della furia contrappuntistica fino all'esplosione dell'intera orchestra.
Il ritorno della bacchetta esperta di Daniel Oren sul podio del massimo teatro torinese dopo un'assenza di oltre vent'anni (tra le sue ultime apparizioni La bohème del centenario nel 1996 con Luciano Pavarotti e Mirella Freni) consente di assaporare in sommo grado questa ed altre prelibatezze del Puccini sinfonico. La direzione del maestro israeliano è fedele al dettato della partitura, non concede nulla ai personalismi e non prevarica mai le voci dei cantanti ma ogni gesto in orchestra ha un suo peso specifico nell'economia della vicenda, dall'erotismo soffuso e ricercato, intriso di ombre del Tristano, dell'esteso duetto 'Viene la sera' in chiusura del primo atto, agli accordi in pianissimo che precedono la rivelazione della tragedia finale, passando per una lettura del celebre Interludio assai convincente per misurata ed antiretorica eleganza. In questo senso Oren, a cui durante la prima sono state riservate le ovazioni più calorose, è degno prosecutore, nella valorizzazione degli ottimi complessi del Regio, del lavoro intrapreso nelle ultime stagioni da Gianandrea Noseda con La bohème, Manon Lescaut, Turandot.
Rebeka Lokar, chiamata per la serata d'esordio a sostituire la prevista Karah Son, è una protagonista quantomai indovinata. Avevamo avuto modo lo scorso anno di apprezzarla come Turandot sul medesimo palcoscenico e il personaggio di Butterfly, tra i più temibili e impegnativi dell'intero repertorio (Cio-cio-san è sempre presente adeccezione del quarto d'ora iniziale) è sviluppato con intelligenza, versatilità, tenacia. La sua natura di soprano spinto, ombrosa nel registro più grave ma sicura e piena nella tessitura acuta, dall'intonazione poco netta nel vibrato ma eccezionale per smalto e lucentezza, emerge soprattutto nell'esteso secondo atto, facendosi ammirare non solo nei vertici dell'espansione lirica (le due arie 'Un bel dì, vedremo' e 'Che tua madre dovrà prenderti in braccio') ma anche nel rapporto drammatico con gli altri personaggi: esemplare per intensità e potenza espressiva è il duetto 'Scuoti quella fronda di ciliegio' con la fedele ancella Suzuki dell'ottimo mezzosoprano Sofia Koberidze.
Più convenzionale è il Pinkerton di Murat Karahan, privo di grande slancio nella sezione introduttiva con Goro e il console Sharpless (impersonati da Luca Casalin e Simone Del Savio, tenore e baritono sempre sul pezzo per precisione nel canto ed esattezza scenica). Il tenore turco si riscatta nel duetto di seduzione con Butterfly, adattando con abilità il suo timbro gradevole e contenuto alle sottigliezze e sfumature disseminate da Puccini, salvo apparire nuovamente un po' sottotono in conclusione d'opera dove il rimorso e la pena per il proprio tradimento trovano solo in parte corrispondenza di accenti e di sentire. Note positive per i comprimari Paolo Maria Orecchia (principe Yamadori), In-Sung Sim (zio bonzo), Marco Tognozzi (commissario imperiale), Roberta Garelli (Kate Pinkerton), Franco Rizzo (zio Yakusidé), Giuseppe Capoferri (ufficiale del registro), Claudia De Pian (madre di Butterfly), Rita La Vecchia (zia) e Ashley Milanese (cugina) così come per il coro istruito da Andrea Secchi (applausi a scena aperta, e non poteva essere altrimenti, dopo il meraviglioso brano a bocca chiusa) e per il ruolo mimato di Sofia La Cara (figlioletto di Butterfly).
A suscitare più di una perplessità è invece l'allestimento, proveniente dall'Associazione Arena Sferisterio Macerata, curato da un mostro sacro e indiscusso della regia d'opera come Pier Luigi Pizzi. L'idea di una scenografia fissa, pulita e funzionale nella sua semplicità molto giapponese, è buona e coerente con il libretto nonostante un certo oleografismo da cartolina d'antan. Pregevole ed originale è poi l'esibizione di due ballerini (Francesco Marzola, curatore anche della coreografia, e Letizia Giuliani) sulle note dell'Interludio che divide prima e seconda parte del secondo atto. Convincono meno i movimenti dei personaggi, eccessivamente statici anche nelle situazioni di maggior vivacità (su tutte la scena del matrimonio), le luci, i colori e i costumi improntati a un'uniformità cromatica molto minimal dove predomina, pur con numerose e suggestive gradazioni, il grigio/marrone/bianco con un effetto finale in cui predomina la freddezza.
Un pubblico attento, con affluenza buona a fronte di una sala tuttavia non gremita, tributa al termine dieci minuti di applausi per uno spettacolo riuscito sul piano musicale grazie alla coppia Oren/Lokar.
foto Ramella Giannese