Ravel e Puccini spalla a spalla
di Antonino Trotta
Ravel e Puccini convolano a nozze nel circuito di OperaLombardia: dopo il debutto al Teatro Grande di Brescia, l’insinuante dittico L’heure espagnole/Gianni Schicchi approda con meritatissimo successo al Teatro Fraschini di Pavia.
Pavia, 6 ottobre 2019 – Ravel e Puccini spalla a spalla: il primo alle prese con una gustosissima pochade dalla scrittura strumentale raffinata, appena animata dal prurito intimo di una femme fatale tutto pepe che smuove gli ingranaggi di un ambiente quasi sonnolento; il secondo con una commedia frizzante dal sapore squisitamente italiano, e nella sceneggiatura che tradisce una certa affinità con la commedia all’italiana, e nell’irresistibile carica melodica che le sue pagine più famose ora esprimono, ora celebrano. Si ride e si sorride, qui tra gli snodi del circuito OperaLombardia, ed è tutto merito del dittico L’heure espagnole/Gianni Schicchi che dopo il felice debutto al Grande di Brescia approda al Teatro Fraschini di Pavia. Senza creare antagonismi, né forzando somiglianze in due lavori così differenti seppur pressoché coevi – nove anni li separano –, Carmelo Rifici lavora amplificando i punti di forza, dunque i pregi, di ciascuna delle due opere.
In L’heure espagnole l’atmosfera musicale inquieta e meccanicistica è perfettamente resa da una messinscena tanto stramba quanto fascinosa, costruita all’interno della cassetta di un grande pendolo in cui i personaggi s’accodano in un treno di ruote dentate, appena messo in moto dall’inesorabile ticchettio delle lancette che scandisce i movimenti degli attori e carica, come un orologio a molla, l’insaziabile Concepcion di un’irresistibile energia erotica – e il pensiero vola immediatamente alla bambola di Les contes d'Hoffmann –. Adoperando un linguaggio che ritrae bonariamente i caratteri senza mai deriderli, anzi presentandoceli quasi nella loro affabile ingenuità, Carmelo Rifici, con il sostegno prezioso di Guido Bonanza (scene), Margherita Baldoni (costumi) e Valerio Tiberi (luci), si presta con eleganza al sottile gioco della commedia francese, retto dalla profonda complicità che si instaura nel parterre vocale. Antoinette Dennefeld ha timbro sensuale e luminoso, è aggraziata e precisa nel porgere, disinvolta e ammiccante nel declamato, si muove con malizia sul palcoscenico e rende a dovere il carattere vizioso della bella protagonista. Al suo fianco e nei panni dello stralunato Gonzalve, Didier Pieri sfoggia uno strumento ben educato e s’impone per l’accurata musicalità dal fraseggio. L’aitante Ramiro di Valdis Jansons, il vorace Don Inigo Gomez di Andrea Concetti e l’orologiaio Torquemada di Jean-François Novelli completano quindi egregiamente il quintetto.
Abbandonati gli intellettualismi della parte raveliana della serata, in Gianni Schicchi Rifici si sposta al di là e al di qua del grande schermo per stressare e confondere il crinale che separa la realtà dalla finzione cinematografica. Ancora uno spettacolo ben argomentato, ricco di boutade di buon gusto che mai appesantiscono la narrazione né si lasciano minacciare dal ridicolo, e a cui certo giova la carica istrionica di gran parte del cast. È infatti un piacere ritrovare Agostina Smimmero, avvezza agli abissi di Azucena e Ulrica, fare tesoro della verve partenopea che le scorre nelle vene per confezionare una Zita scoppiettante sulla scena e sontuosa nel canto. Serena Gamberoni, Lauretta, non ha certo bisogni di presentazioni, né di troppe precisazioni: l’interprete è raffinata, la vocalista ineccepibile. L’altra romantico tra gli avidi è lo squillante e baldanzoso Pietro Adaini, Rinuccio aitante per la sicurezza con cui si staglia in acuto ed encomiabile per il senso della misura che trapela dal fraseggio composto e rispettoso. Gianni Schicchi è l’autorevole Sergio Vitale, baritono dalla bella voce brunita che ha il pregio di tratteggiare il rôle-titre investendo più sulla sapidità della sua arguzia che sull’umorismo spicciolo. Di valore il comprimariato: Didier Pieri (Gherardo), Marta Calcaterra (Nella), Andrea Concetti (Betto), Mario Luperi (Simone), Valdis Jansons (Marco), Cecilia Bernini (La Ciesca), Nicolò Ceriani (Maestro Spinelloccio/Messer Amantio di Nicolao), Zabulon Salvi (Pinellino), Marco Tomasoni (Guggio).
Alla guida dell’orchestra I Pomeriggi Musicali, Sergio Alapont ben si destreggia nei due universi paralleli. In Ravel, tra carezzevoli passi di valzer e allucinanti figurazioni puntate, il dettato strumentale è servito a dovere da un concertazione puntuale e attenta. Puccini invece risuona un tantino ordinario, o quantomeno al di sotto delle possibilità che la partitura potrebbe offrire.
Serata tutto sommato squisita: ecco un altro trofeo, se non d’oro, d’argento, che la “provincia” può esporre orgogliosa nel proprio palmarès.