Beethoven, il rivoluzionario
di Roberta Pedrotti
Dopo il Novecento storico di Ghedini e una prima assoluta di Solbiati, Beethoven nella lettura incisiva, logica e incalzante di Asher Fisch rivendica il suo sempiterno primato anche nella rassegna, benemerita, Bologna Modern.
BOLOGNA, 26 ottobre 2019 - Si chiama Bologna Modern, e da qualche anno è un mese (ottobre) in cui il Teatro Comunale in collaborazione con altre istituzioni cittadine, dà spazio alla riflessione sulle musice contemporanee. E, quel che è più importante, non le isola in una riserva, ma le mette in circolo, in dialogo nella programmazione corrente, a stretto contatto con quei classici che non dobbiamo mai dimenticare essere stati contemporanei, rivoluzionari, audaci.
Ecco, allora, che si commissiona una prima assoluta ad Alessandro Solbiati (1956), Sinopia, ma non la si lascia sola soletta in compagnia di coetanee o quasi. Apre il programma il Concerto dell'Albatro di Giorgio Federico Ghedini 1892-1965), a ricordare la stagione non troppo frequentata della musica strumentale italiana stretta fra la Generazione dell'80 e il secondo Novecento dall'Avanguardia in poi. Conclude Beethoven, e la Settima sinfonia, così contestualizzato non è affatto il contentino al grande pubblico che taluno potrebbe ipotizzare: anzi, è la conferma della modernità spiazzante del compositore di Bonn. Ascoltando questa Settima ci si chiede davvero come avranno dovuto sentirsi disorientati ascoltatori avvezzi ancora alle strutture haydniane. Si dice che Weber avesse definito Beethoven “pronto per il manicomio” e anche Fétis fece riferimento a un cervello “malato” a proposito della Settima, apoteosi del metro e del ritmo elevati a dignità tematica e fatti assi portanti della costruzione musicale. Così ce li rende Asher Fisch, in una lettura notevolissima per la sua concezione essenziale e propulsiva, per il suo scontornare l'essenza della pulsazione beethoveniana e della sua articolazione. Proprio lavorando in questa essenza il maestro israeliano definisce, più che l'impasto timbrico, la texture, la sostanza, la chiara stratificazione degli elementi, il loro alleggerirsi, intersecarsi, dialogare quasi senza soluzione di continuità, in un unico flusso incalzante, ma non privo del debito respiro, come dimostra il fascino dell'Allegretto del secondo movimento.
Un perfetto esempio di intelligenza, rigorosa libertà e audace sperimentazione cui anche le composizioni più recenti, questa sera, finiscono per doversi inchinare.In effetti il Concerto dell'Albatro per violino, violoncello, pianoforte, orchestra e voce recitante (1945) di Ghedini e Sinopia (2019) di Solbiati hanno in comune il rapporto con il mistero, un incontro mistico e drammatico con la natura che si fa trascendenza, l'uno ispirato a un episodio di Moby Dick (e a Germano Maccioni è affidata la lettura di passi di Melville), l'altro al biblico profeta Elia. In Ghedini, l'atmosfera sospesa anche armonicamente dell'Oceano Antartico si ancora letteralmente al concertino (l'ottimo Ars Trio di Roma) che disegna il volo, reale o vagheggiato, dell'albatro, delinea pensieri ossessivi, riferimenti diatonici sfacciatamente, deliberatamente elementari, eco della ragione di fronte al miracolo inafferrabile della natura. Dal canto suo, Solbiati mostra tutta la sua padronanza della scrittura orchestrale e dell'armamentario tecnico espressivo maturato negli ultimi centocinquant'anni: basti ascoltare le piccole frasi sbalzate dai fiati, gli accontamenti timbrici con arpe e celesta, i glissandi, le sospensioni e i repentini addensamenti, la dialettica armonica emancipata ma senza perdere il contatto con il tardo romanticismo. Fisch offre anche in questa prima parte del concerto prova della sua lucida intelligenza musicale, si applaude e si fsteggiano autore ed esecutori. Alla fine, però, bisogna dirlo, il boato sarà per Beethoven. Non il classico rassicurante, ma, ancora, il più moderno fra i moderni.