MITO: Missione possibile
di Antonino Trotta
L’elettrizzante bacchetta di Sesto Quatrini e il pianismo al fulmicotone di Giuseppe Albanese assicurano un fantastico concerto di chiusura al MITO SettembreMusica.
Torino, 18 settembre 2020 – Il concerto conclusivo di un’importante rassegna è sempre un momento di grande celebrazione. Quest’anno, poi, che la meta si raggiunge tirando un sospiro di sollievo, la gioia nel taglio del traguardo si avverte ancora più esaltante. In questa serata finale, in effetti, di roba da festeggiare ce n’è a iosa: l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, in magnifica forma, torna a suonare nel suo teatro, per il suo pubblico; il bilancio, a festival concluso, sembra essere assolutamente positivo e per la qualità garantita durante il percorso, e per la risposta degli spettatori registrata in questi quindici giorni di instancabile attività concertistica; la musica, e ciò conta più di ogni altra cosa, ha sconfitto le incertezze generate dalla pandemia e riguadagnato la sua posizione di centralità nel microcosmo culturale cittadino. Non a caso l’ultimo appuntamento di MITO SettembreMusica, Cinema, mette in programma quel repertorio radicato nella memoria comune grazie al grande schermo e che, talvolta inconsapevolmente, è divenuto patrimonio genetico della collettività musicale che MITO ha risvegliato.
Sesto Quatrini, promessa ormai mantenuta della classe direttoriale nostrana, conduce i complessi del Regio con piglio sicuro e grande padronanza tecnica. Tra le sue mani la suite Souvenir de Florence, nata per sestetto ma proposta in chiusura di serata nella versione per orchestra d’archi,di Čajkovskij ruggisce e canta. Se l’Adagio cantabile e con moto in seconda posizione, oasi di puro lirismo, mette in luce un fraseggio ispirato e rigoglioso, ricamato su un velluto sonoro dalle mille sfumature e tutto teso a valorizzare i preziosismi cameristici della partitura – le prime parti sono ineccepibili –, la concertazioni di Quatrini sa farsi incendiaria là dove la scrittura si increspa e scalpita. È il caso dell’Allegro vivace conclusivo o ancora del mozzafiato Allegro con spirito iniziale, sorretto da un’agogica pugnace e incalzante che porta alle estreme conseguenze espressive la drammaticità quasi tragica del dettato.
A Čajkovskij, comunque, si arriva già con l’adrenalina alle stelle perché il concerto per pianoforte con accompagnamento di orchestra d'archi e tromba op. 35, in scaletta dopo l’incoativa danza ungherese n. 5 d Brahms e il lunare Notturno dal quartetto per archi n. 2 di Borodin, è più eccitante di un film d’azione. La vertigine virtuosistica, il crepuscolo melodico, l’invenzione ritmica spericolata, il citazionismo velatamente sagace: nel capolavoro di Šostakóvič tutto concorre a innervare un discorso musicale istrionico, a tratti irriverente, che riceve assoluta giustizia dall’incontro dell’elettrizzante bacchetta di Quatrini con il pianismo al fulmicotone di Giuseppe Albanese. Quest’ultimo, in particolare, riesce a trasferire qui nel tocco, asciutto e cristallino, lì negli accenti, magnetici e imprevedibili, tutta la teatralità che invero si ravvisa anche nel gesto, senza però sacrificare la bellezza delle miniature nascoste in sottofondo – sono udibilissime, ad esempio, tutte le filigrane danzerecce –, né l’opulenza di dinamiche che purtroppo passano spesso in secondo piano – come nell'esposizione del secondo tema dell’ultimo movimento, poi ripreso a mo’ di fanfare dalla tromba, eseguita in pianissimo –. Tanto di cappello anche Sandro Angotti, immacolata prima tromba dell’orchestra del Regio. La platea in visibilio impone e ottiene il bis dell’ultimo movimento.
Serate come queste, alla fine dei conti, sono la dimostrazione che è possibile fare musica, ottima musica, anche in sicurezza. Grazie MITO.