L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ricomporre i frammenti

di Roberta Pedrotti

Proseguono, seppure in un inevitabile percorso a ostacoli, i Recital d'opera del Teatro Grande di Brescia. #2021 DestinazioneTauride è uno spettacolo ideato da Bruno Taddia che raccoglie frammenti del progettato e differito allestimento dell'opera di Gluck per offrire una riflessione sul mito, il teatro e l'attualità. Anna Caterina Antonacci, paradigmatica Clytemnestre e Iphigenie, condivide la scena con Mert Süngü ed Enrico Maria Marabelli, che sostituisce proprio Taddia assente per motivi di salute.

BRESCIA, 23 ottobre 2020 - Assistere a uno spettacolo solo tre giorni dopo l'annuncio da parte del regista, autore e interprete ha annunciato di essere ricoverato, colpito da quello stesso virus che aveva determinato la nascita dello spettacolo stesso: l'assenza di Bruno Taddia (a cui vanno i nostri migliori auguri e che viene egregiamente, e a tempo di record, sostituito nel canto da Enrico Maria Marabelli) è quell'imponderabile granello di realtà che scivola nel meccanismo teatrale, non lo inceppa, ma ne condiziona in quale modo il movimento e la percezione. Ci ricorda quanto ci sia della vita in quel che si rappresenta su un palcoscenico, soprattutto quando l'oggetto di #2021 DestinazioneTauride è proprio quello che ora non si può rappresentare e dunque quel che nel teatro conta davvero, quel che aspettiamo, quel a cui oggi ci aggrappiamo, per cui il teatro continua a esistere, quello per cui esisterà ancora poi.

In questo autunno 2020, OperaLombardia avrebbe dovuto proporre Iphigenie en Tauride di Gluck. Non si può, è ovvio. Però si può guardare avanti, si può intraprendere con la mente e lo spirito un viaggio verso l'auspicata normalità in cui l'opera di Gluck sarà in scena con tutti i crismi. E ne cominciamo a intravedere frammenti, a seguirne le vicende su piani diversi, quello del mito, dell'opera, della contemporaneità. Taddia costruisce una nuova drammaturgia che si fa riflesso e rielaborazione della tragédie lyrique: compaiono, in abito da sera, i cantanti e le luci sul palco li trasfigurano in Agamennon, Achille, Clytemnestre, Oreste, Pylade, Iphigenie; compare l'eco della danza a condurci di Aulide in Tauride con Silvia Giuffré; la musica dal vivo di Gluck, con Alessandro Trebeschi al pianoforte, incontra il piano immateriale di registrazioni di canti greci o della stessa musica di Gluck per piena orchestra oggi negata; l'analisi dotta e accademica nella voce fuori campo di Valerio Magrelli; la figura sopra le righe di un drammaturgo (l'attore Simone Tangolo) che prima sciorina spavaldi luoghi comuni e fulminanti intuizioni che legano mito opera e attualità, poi, man mano, s'innamora quasi candidamente dell'essenza di Gluck e si lancia in una dichiarazione d'amore per il teatro e speranza per il futuro. Magari esagera anche un po', ma lo perdoniamo volentieri: la passione infiamma e non fa male ricordarlo lasciandosi anche andare a qualche volo pindarico, altrimenti che passione, che speranza sarebbe?

E, d'altra parte, tutta la serata è costruita con buon equilibrio di forme e tempi, fra lo spazio per le parole e quello per la musica, l'analisi storico letterarie dello scrittore e le divagazioni interpretative e attuali del drammaturgo, la prima parte del mito e l'Iphigenie en Aulide, l'intermezzo danzato, il seguito l'Iphigenie en Tauride, ma non l'epilogo, ché il finale deve rimanere aperto, per ritrovarci poi qui, in teatro, ancora una volta. Ciascuno ha il suo spazio, la recitazione, l'arte tersicorea, il canto declamato e quello spiegato. Il baritono Marabelli, prima come Agamemnon diviso fra amor paterno e inflessibile dovere di Re dei re, poi come turbato, ma fedele Oreste; il tenore Mert Süngü alle prese con l'impervia tessitura da haute-contre nell'eroismo amoroso di Achille e in quello amicale di Pylade, in evidenza soprattutto nell'aria "Divinité des grandes âmes"; e, poi, naturalmente, la primadonna, che non sottrae spazio nell'equa distribuzione dell'impegno con i colleghi, ma giustamente si fa attendere e fa la sua entrata a effetto, prima come Clytemnestre e poi come Iphigenie taurica: Anna Caterina Antonacci. La maledizione degli Atridi che sembra rinnovarsi nel ricorrere degli stessi interpreti per diverse generazioni (Agamemnon diventa Oreste, Clytemnestre Iphigenie, mentre al tenore resta una figura virtuosa libera dall'incubo) assume in lei un vigore ancor maggiore, ché pare riecheggiare il fremito del naufrago assalito dalle Erinni che non riconosce la sorella, ma nel vederla nota la somiglianza con la comune genitrice da lui stesso assassinata ed esclama "Ma mère! Ciel! [...] Quels traits!" ["Mia madre! Cielo! Quell'aspetto!"]. Antonacci è l'immagine stessa della tragédienne, per l'autorità scenica che emana al suo solo apparire, senza quasi bisogno di gesti, per la compenetrazione formidabile della fonetica e della prosodia francese, per quel timbro purpureo, velato da un indicibile e prezioso mistero, da una mestizia arcana che lo scorrere del tempo non ferisce, ma arricchisce nell'espressione della rabbia disperata di una madre che non può salvare la figlia condannata dal padre, la sofferenza profonda della fanciulla che da vittima sacrificale è divenuta in terra ostile la ministra di nuovi sacrifici umani, che apprende della rovina della sua famiglia maledetta da generazioni. Antonacci è Clytemnestre e Iphigenie: è il mito e la tragedia, è la sofferenza, è la lacerazione di chi si vede strappare i propri cari, l'innocenza condannata, è il dolore della perdita di umanità, è il riscatto, il riconoscere un'altra umanità, riscoprire legami, contatti, una fratellanza non solo di sangue ma universale e ripartire sovvertendo l'ordine della barbarie per quello della civiltà. Intorno a questo cardine stanno i turbamenti e i dubbi del baritono, la fiducia e i sentimenti del tenore, il corpo della danzatrice, la cultura dello scrittore, lo sguardo inquieto e focoso del drammaturgo. Ci siamo anche noi. Pochi, invero, fra distanziamenti, limiti orari, ma ci siamo, a raccogliere frammenti di Iphigenie, intorno a Iphigenie per ritrovarci qui, fra un anno, e lasciare la Tauride.


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