Notturno e pathos dalla penombra
di Luigi Raso
Il secondo appuntamento, prima visione ma non diretta, con gli streaming del Teatro di San Carlo guadagna dal punto di vista tecnico, mentre musicalmente la lettura di Juraj Valčuha resta una garanzia di qualità in Martucci come in Čajkovskij. Se il pubblico fosse stato in sala, non c'è da dubitare che sarebbe esploso in lunghi applausi.
Streaming da Napoli, 19 novembre 2020 - Ha il vago sapore di una sequenza cinematografica l’aleggiare melanconico delle note del Notturno, op. 70 (1901) di Giuseppe Martucci all’interno della maestosa sala del San Carlo, vuota, in penombra e con il trionfante stemma borbonico posto al di sotto dell’arcoscenico sapientemente illuminato. È la sensualità crepuscolare e ammaliante di questa celebre composizione ad aprire il secondo concerto in streaming del Teatro di San Carlo: non una diretta, ma una “prima visione” che ha il vantaggio, rispetto al precedente concerto (leggi la recensione), di consentire di affinare la regia video e di migliorare la qualità dell’audio della ripresa.
È un Notturno che scivola con levità tra le mani nude di Juraj Valčuha, procedendo con garbo deciso, innervato da una palpabile inquietudine venata di nostalgia: direttore e orchestra - in forma non buona, bensì ottima, per precisione, colore e calore del suono e dominio delle dinamiche - lavorano di cesello: gli incisi del primo violoncello e dell’ottimo primo clarinetto ottengono il giusto risalto; ma è il complessivo impasto timbrico ad avere i colori di un paesaggio notturno dipinto ad acquerello, screziato da languidi riflessi lunari, una notte incerta tra mistero e saudade, profumata dall’odore delle zagare. Sì: l’orchestrazione di Martucci del proprio originario Notturno per pianoforte sembra profumare, così come “profumano” certe composizioni di Debussy e Ravel.
Cambia radicalmente la temperie emotiva e sonora con la successiva Sinfonia n. 6 in si minore, op. 74 “Patetica” (1893) di Pëtr Il'ič Čajkovskij, canto estremo e disperato dell’animo tormentato del grande compositore russo. La lettura di Valčuha è perfetta nell’esaltare quella contrapposizione fra stati d’animo che tiene insieme la costruzione per episodi musicali dell’intera sinfonia: in questo capolavoro Čajkovskij analizza e mette a nudo il proprio Io, dilaniato dalla macerazione. E così il viaggio del compositore russo nella sublimazione del soggettivismo musicale parte dalla cupa introduzione del fagotto, appena rischiarata dalla dolcezza del successivo e celebre tema introdotto dagli archi.
In Čajkovskij la lotta tra fato e uomo vede quest’ultimo soccombere: e così la poderosa deflagrazione orchestrale - quasi una metafora sonora del naufragio esistenziale del compositore - del primo movimento è perfettamente preparata da Juraj Valčuha serrando sapientemente i tempi, rendendo più incisive le sonorità, imprimendo alla conduzione un tratto via via febbrile, quasi allucinato.
Segue il secondo tempo, Allegro con grazia, un valzer in 5/4, tanto malinconico quanto irreale, diretto da Valčuha con aristocratico distacco, con suono levigato, morbido come il velluto quello dei violoncelli. Tuttavia è solo un’oasi di apparente serenità: l’Allegro molto vivace del terzo movimento, nella sua scintillante contrapposizione tra archi e fiati, nasconde un alone mefistofelico. Valčuha e la sua orchestra esaltano lo scintillio timbrico dei vividi contrasti orchestrali e il frenetico crepitio ritmico dell’intero movimento, in una prova che mette in luce lo smalto e l’ottima tenuta della compagine strumentale.
L’Adagio lamentoso che apre l’ultimo movimento è lancinante nell’iniziale affondo orchestrale, incisivo come una ferita: l’exitus dell’intera Sinfonia è già scolpito nei primi accordi.
Di crescente intensità è il successivo Andante del secondo tema: gli archi sono dominati da una mestizia disperata e coinvolgente: l’esperienza soggettiva di Čajkovskij quasi viene a coincidere con quella del suo pubblico. Si viene giocoforza coinvolti emotivamente.
Anche in questo caso, come nel precedente primo movimento, la Spannung dell’episodio musicale è preparato con cura e lentamente da Valčuha: la tensione è rapidamente crescente, ma non improvvisa. Arrivati all’acme, l’orchestra respira, si distende; Valčuha allarga i tempi, per poi far terminare il capolavoro estremo di Čajkovskij tra i cupi rantoli finali dei contrabbassi e dei violoncelli in pianissimo che accendono il silenzio.
Se ci fosse stato il pubblico in sala, avremmo ascoltato un uragano di applausi - ne siamo sicuri -, per l’innegabile pregio dell’esecuzione, la sintonia sempre palpabile tra direttore musicale e orchestra, e, soprattutto, per l’affetto che lega il pubblico al suo teatro, ora più che mai.
Stasera ci accontentiamo di ascoltare, in sottofondo e nel finale della ripresa, lo scambio di complimenti e il parlottio tra i professori d’orchestra.
Ci rivedremo presto. Tutti insieme, a teatro.