Muti tra i Templi
di Antonino Trotta
Nell’eccezionale cornice dei templi di Paestum, Riccardo Muti guida i complessi dell’orchestra giovanile Luigi Cherubini e della Syrian Expat Philharmonic Orchestra lungo le vie dell’amicizia.
PAESTUM, 5 luglio 2020 – Un lungo, compìto, rispettoso silenzio si frappone tra l’abbassamento delle luci di palcoscenico e l’ingresso del Maestro ai piedi del colonnato del Tempio di Nettuno, imponente nelle sua grandiosa struttura, elegante nell’abito rosso che indossa al calar del sole. Gli occhi avidi possono trovare conforto in ogni scorcio ma è in quel preludio silente che lo spirito riesce a carpire l’essenza dell’evento. Nel crocicchio dove le “vie dell’amicizia” di Riccardo Muti intercettano quelle della bellezza la musica onora totalmente il suo impegno: parlare sì, con linguaggio sublime, dei valori cultura, ma anzitutto e soprattutto porre l’attenzione, ora per ricordare, ora per invitare a non dimenticare, su tematiche etiche, morali, civili, insomma tutte quelle sfaccettature dell’intelligenza in cui l’uomo in quanto tale smette purtroppo spesso di riconoscersi. Con i complessi dell’orchestra giovanile Luigi Cherubini e della Syrian Expat Philharmonic Orchestra intessuti sul palcoscenico come fili di trama e ordito, Palmira e Paestum, già annodate dal ricordo di un passato remoto comune, tornano a stringere un legame di vicinanza e solidarietà: sull’altare di Poseidone si celebra la memoria della giornalista Hevrin Khalaf, voce libera e coraggiosa vittima di un barbaro agguato, e dell’archeologo Khaled Al-Asaad, martire dell’arte e valoroso alfiere del sito di Palmira sfregiato dalle unghie affilate del terrorismo.
Ecco allora che dopo l’esibizione profondamente coinvolgente e atmosferica di Aynur e Zehra Doğan – l’una cantante, l’altra artista e giornalista, entrambe chiamate a testimoniare i dolori della guerra in Siria – l’Eroica,in cui Beethoven riversa ideali illuminati di eguaglianza, libertà, fraternità, si eleva solerte con l’impeto di un monito. Riccardo Muti non concede terreno agli eccessi della vanagloriosa retorica né trae compiacimento alcuno dalla maestosità del dettato beethoveniano, piuttosto fa della drammaturgia musicale una cassa di risonanza per le ragioni della serata. Severa ma non austera in quanto animata da idee che non pescano nell’idealismo ma si affacciano sulla tragicità del quotidiano, la lettura di Muti sorprende per la scelta di tempi marcatamente distesi nei quali scolpire un fraseggio lucido e tornito dove poter osservare arcate di grande colore e legato. Così lo scherzo (Allegro vivace), ad esempio, pare rifiutare quella forza e quella prorompente vitalità sconosciuta agli altri movimenti delle Terza anzi, nell’intavolare argomentazioni di evidente leggiadria, si dimostra non dimentico delle sofferenze del secondo movimento. Se la foggia del sommo direttore si rivela ovunque, è la Marcia funebre (Adagio assai) l’episodio cardine dell’intera interpretazione: plumbeo, vigoroso, freddo e determinato, il secondo movimento non prova a commemorare i caduti ma si sforza di imporre al pubblico gli orrori del sonno della ragione, senza concedere la possibilità di rivolgere altrove lo sguardo, cosicché dalla consapevolezza del male possa nascere il desiderio di rinascita – lo stesso che ha unito tutti durante la pandemia – inneggiato dall’ Allegro molto conclusivo.
Perché è vero, come non manca di sottolineare il maestro nel suo breve discorso di introduzione, la terra rischia di diventare un atomo opaco del male, ma è un atomo opaco su cui è ancora possibile ammirare riflessi di luce.