Frammenti di percezione
di Roberta Pedrotti
Il Festival OperaInCanto, con IUC e Nuova Consonanza, lancia online una produzione di The man who mistook his wife for a hat (1986) di Michael Nyman. Sia il titolo sia la realizzazione interpretano e sfruttano al meglio i disagi e le necessità attuali.
Streaming da Terni, 13 febbraio 2021 - Non è scontato nemmeno post mortem, giacché non tutti i defunti lasciano bei ricordi, ma di Paolo Donati, scomparso nel 2019, si sente sempre parlar bene da chi l’ha conosciuto. Forse anche perché cresciuto fra i teatri - era figlio del sovrintendente Pino e del soprano Maria Caniglia - era un tipo concreto, che amava sviluppare idee dietro le quinte. Poi, ci sono idee che appassiscono senza la guida del primo ispiratore, ma ce ne sono anche altre che, già germogliate, ha aiutato a crescere e che continuano a fiorire anche ora, come il Festival OperaInCanto di Terni, dedito a rarità barocche e degli ultimi decenni.
E, ora che il teatro si può fare, ma non ci si può andare, per non fermarsi l’unica soluzione resta la tecnologia. Ma bisogna scegliere bene, affinché non si tratti solo dell’ennesimo spettacolo ripreso e caricato su una piattaforma online. The man who mistook his wife for a hat (1986) di Michael Nyman, coprodotto con IUC (Istituzione Universitaria dei Concerti) e Nuova Consonanza, è il titolo giusto al momento giusto.
In primo luogo, è un’opera che tratta di un disturbo neurologico. Ispirata agli studi di Oliver Sacks, si concentra sull’incontro fa un medico e un musicista affetto da agnosia visiva. Siamo in tanti a non essere fisionomisti, cosa che ci causa gaffe o ad altre gaffe può fornire alibi, ma qui si tratta di vera e propria patologia che porta a confondere persone, parti del corpo, perfino oggetti inanimati. Si parla, insomma, di alienazione e frammentazione del rapporto con la realtà esterna e con sé stessi, tema che anche al di là dell’episodio clinico appare di stringente attualità.
È, in secondo luogo, un tema particolarmente adatto a svilupparsi in musica, sia perché il paziente è proprio un cantante - e nella drammaturgia clinica un Lied di Schumann ha importanza fondamentale - sia perché la trasposizione dell’agnosia visiva sul piano sonoro calza come un guanto allo stile minimalista di Nyman. L’incalzare perpetuo delle iterazioni dalle varianti quasi impercettibili nell’immediato ripercorre il meccanismo frenetico dei sensi, degli impulsi nervosi in cui qualcosa non va, e si accavallano microtemi mutevoli, l’ancora di salvezza costituita da Schumann si intreccia ai rumori della strada, al brulicare delle sinapsi, fra l’indagine del medico e l’ansia di negare, minimizzare della moglie.
Infine, se consegue inevitabile l’attitudine innata dell’opera di Nyman a una rappresentazione atipica, mediata, destrutturata nelle sue componenti. Alienata. I solisti e l’ensemble strumentale sono incasellati in un impianto semplicissimo, isolati dietro i loro leggii, alle spalle dei tre personaggi solo delle finestre per luci, colori, proiezioni. Lo schermo si divide fra riquadri di dettagli e primi piani. Nel centro di un ipotetico palco vuoto, in uno spazio completamente reinventato da quello teatrale, la regia di Carlo Fiorini proietta i fantasmi dell’azione, si sovrappongono filmati tridimensionali, frammenti di pensieri, ricordi, visioni e realtà. La proiezione della musica che è a sua volta proiezione di una concezione sensoriale e mentale e della sua indagine e comprensione. Fabio Maestri tiene salde le fila di un discorso complesso ma dalla logica ferrea e mantiene viva la tensione con il ben affinato ensemble InCanto. Il tenore Roberto Jachini Virgili, il medico, il basso Federico Benetti e il soprano Elisa Cenni, il paziente e sua moglie, non sono solo precisi nell’intreccio - a tratti diabolico, delle parti vocali, ma rendono il senso specifico, e quindi l’espressione, del linguaggio di Nyman, perché l’opera non è solo il codice ottocentesco predominante nei cartelloni.
foto Giulia Gennari e Federica Bartalini