L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Incertezza e godimento

di Irina Sorokina

Riapre al pubblico anche il Filarmonico di Verona con l'atto unico mascagnano abbinato a un'antologia di pagine sinfoniche della Giovane scuola. Non tutto è perfetto, ma la gioia del ritorno all'opera dal vivo compensa ogni possibile riserva.

Verona, 9 maggio 2021 - Finalmente in teatro! – la frase iniziale dell’articolo sembrava inevitabile, visto che il teatro Filarmonico di Verona, pur con le dovute precauzioni, ha aperto pe proprie porte al pubblico. Finalmente in teatro, dopo il tormento di seguire l’opera in streaming, impossibilità di godersi la musica dal vivo, scambiare due parole con gli amici e colleghi. Tuttavia il ritorno a vedere ad ascoltare l’opera dal vivo ha portato non solo gioie, ma anche qualche dolore. Tranquilli: un dolore che non ha portato a un esito letale.

A concludere una stagione particolare assai – in assenza del pubblico, più particolare di così! – è stata fatta la scelta golosa, anche se non in tutto. Per uno spettacolo di breve durata, soli quarantadue minuti, si è scelto come protagonista il livornese Pietro Mascagni, compagno di studi di Giacomo Puccini e autore di uno dei titoli più popolari al mondo, Cavalleria rusticana, destinato a rimanere il suo unico capolavoro universalmente noto, nonostante la lista delle opere di Mascagni sia tutt’altro che breve.

Mascagni: chi non si è innamorato della sua passionalità, delle sue melodie che a volte, invece di cantare, urlavano? Poche persone diremmo. Insieme, a Ruggero Leoncavallo consacrò una nuova formula: opera breve, spesso ambientata in Meridione, una storia d’amore e gelosia che finiva con un assassinio. I rappresentanti della cosiddetta Giovane scuola, però, furono più di due, e di cui soprattutto aspiriamo a vedere in scena capolavori quali Andrea Chènier di Umberto Giordano e Adriana Lecouvreur di Francesco Cilèa. Ed ecco al gentile pubblico Antologia verista, una parata dei brani sinfonici celebri di Mascagni e i contemporanei, che, oltre i compositori soprannominati, presenta anche un brano di Alfredo Catalani, toscano come Mascagni e Puccini, dedito, però, a nebbiosi drammi di carattere nordico. La sua Wally, che contiene delle pagine di valore, è quasi completamente dimenticata; anche uno dei cavalli di battaglia della Callas e la Tebaldi, “Ebben ne andrò lontano”, si ascolta oggi più di rado, ed è un peccato. Questa breve Antologia verista al Filarmonico colma un po’ questa lacuna.

Un programma costruito saggiamente, tre brani di Mascagni - Sinfonia dalle Maschere, pressappoco sconosciuta, Intermezzo dal terzo atto da Guglielmo Ratcliff noto come Il Sogno e l’immancabile Intermezzo da Cavalleria rusticana - “diluiti” dal Preludio al terzo atto della Wally e dall'Intermezzo dal secondo atto di Adriana Lecouvreur. Il pubblico è stato invitato a godersi dei pezzi noti e conoscere qualcosa di nuovo: l’impresa in gran parte è riuscita.

È riuscita, in gran parte, grazie all’orchestra della Fondazione Arena di Verona, che ha dimostrato una grande voglia di suonare e sensibilità notevole; soprattutto il gruppo di archi ha donato dei preziosi momenti di godimento grazie a sonorità rotonde e ricche di colori. Particolarmente languidi e dolorosi nell’Intermezzo da La Wally, pieni e sensuali nel breve brano orchestrale da Adriana Lecouvreur, perfetti nelle reminiscenze pucciniane del Sogno da Guglielmo Ratcliff e quasi religiosi nell’Intermezzo da Cavalleria rusticana. Chapeau ai musicisti che, sembra, abbiano avuto dei problemi col direttore Valerio Galli dal gesto leggero e disinvolto ai limiti dell’impalpabile come se volesse lasciare all’”esercito” a lui affidato la piena libertà. E difatti, il brano d’apertura si è distinto per l’estrema insicurezza e sonorità esageratamente caute nella quasi assenza del direttore che si è limitato a battere il tempo.

Antologia verista è stata accoppiata con Zanetto, opera in un atto di Mascagni su libretto del collaudato duo Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci (gli stessi di Cavalleria) tratto dalla commedia francese Il Passant (Il Viandante) di Francois Coppé; fu uno dei cavalli di battaglia della celebre Sarah Bernhardt. Mascagni amò assai la sua creazione per due voci femminili, soprano e mezzosoprano. Dopo il successo inaudito di Cavalleria, fu interessato al decadentismo europeo e si rivolse a un argomento completamento diverso, la storia d’amore impossibile tra il menestrello Zanetto e la cortigiana Silvia, in una Firenze rinascimentale; questa scelta gli diede una preziosa possibilità di lavorare sul declamato libero e su effetti orchestrali raffinati. Rappresentata alla Scala nel 1896, l’operina ebbe poi un certo successo soprattutto grazie a prima donne quali Rosanna Carteri, Renata Scotto, Denia Mazzola, anche se rimase pressappoco sconosciuta dal grande pubblico. Su di lei è caduta la scelta, perfettamente comprensibile, della direzione artistica della Fondazione Arena nei tempi difficili del coronavirus: un atto unico di breve durata con sole due interpreti. Possiamo comprendere anche la voglia di esplorare i nuovi orizzonti, offrendo al pubblico qualcosa di poco conosciuto. Tuttavia non è stata una scelta molto felice: l’operina di Mascagni è apparsa “magra” e fiacca, nonostante la valida prestazione di Donata D’Annunzio Lombardi e Asude Karayavuz.

Le scene di Michele Olcese sono state ridotte all’essenziale, una pedana inclinata, un fondale dai colori cangianti, la luna, una figura nuda femminile, qualche fiore, un liuto, al centro un grande letto. La maggior colpa della poca resa dello spettacolo sarebbe attribuibile alla regia pressappoco inesistente di Alessio Pizzech che, apparentemente, si è affidato alla bravura e l’esperienza scenica di due cantanti. All’apertura del sipario è stato presente l’amante di Silvia, comparsa mezza nuda dal fisico scolpito, illustrazione vivente del mestiere della protagonista. Il bel ragazzo è apparso agli applausi finali con l’aria evidentemente turbata garantendo così un effetto comico. La messa in scena è stata ridotta ai continui spostamenti delle cantanti attorno la donna nuda dipinta e il letto.

Se in tre quarti d’ora abbiamo sentito una scossa elettrica e siamo stati coinvolti nel dialogo tra il menestrello e la cortigiana, lo dobbiamo alle due signore, Donata D’Annunzio Lombardi e Asude Karayavuz: hanno cantato e recitato con vero abbandono, eppure la resa vocale è stata diversa. La D’Annunzio Lombardi, con una grande esperienza nel repertorio pucciniano e dei compositori della Giovane Scuola, ha sfoggiato voce salda, capace di trasmettere la grande tensione emotiva e la notevole espressività del declamato tutt’altro che facile; ha disegnato un personaggio degno di disprezzo e compassione in tutte le sfaccettature, ma la nota dolente è stata il registro acuto, aspro e biancastro. La Karayavuz è stata molto credibile nel ruolo en travesti, sciolta ed elegante, dal sorriso irresistibile e ha cantato in modo omogeneo, accarezzando le orecchie con timbro scuro, morbidezza d’emissione e una piacevole varietà di chiaroscuri. Nel caso di duello tra soprano e il mezzosoprano, la lotta è stata tra la tensione drammatica e asprezza vocale da un lato, scioltezza fanciullesca e disinvoltura vocale dall'altro. La lotta si è trasformata in un meritato trionfo.

Per quanto riguarda la direzione di Valerio Galli, è andata un po’ meglio: maggior sicurezza, maggior coinvolgimento. Il coro dell’Arena è stato preparato da Vito Lombardi.

Sono stati piuttosto essenziali i costumi disegnati da Silvia Bonetti, il déshabillé bianco di Silvia e l’abito blu di Zanetto e le luci di Paolo Mazzon hanno puntato alla creazione delle atmosfere incerte e inquietanti.

Antologia verista e Zanetto è stata l’ultima produzione della difficile stagione lirica della Fondazione Arena al Filarmonico prima della ripresa autunnale, un po’ sotto tono, ma anche godibile. La città è in attesa dell’inaugurazione del novantottesimo festival dell’Arena di Verona: mancano sei settimane.


 

 

 
 
 

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