La prima volta
di Sergio Albertini
La prima opera di Giacomo Puccini non era mai stata rappresentata finora al Lirico di Cagliari. Il debutto è festeggiato dal pubblico e soddisfa nel complesso con una direzione appassionata e consapevole, una regia chiara, un cast con buone frecce al suo arco.
“Al Dal Verme di Milano abbiamo avuto finalmente un buon spettacolo ed un successo genuino, pieno: l'opera-ballo in un atto del giovane e simpatico maestro Giacomo Puccini - Le Willis - non potea davvero sortire esito migliore. Non un pezzo passò inosservato, senza sollevare applausi o fruttare chiamate al proscenio all'autore. Il libretto delle Willis è del chiaro poeta Ferdinando Fontana, ed è un lavorino grazioso, riuscito. la musica di cui lo rivestì il bravo Puccini è scorrevole, nervosa, né racchiude un frammento che possa produrre senso di noja nel pubblico. Nelle Willis predomina in generale l'istrumentale, e ciò talvolta a danno delle voci, dello svolgimento del canto - ma il primo è così ricco di colori, di effetti da far perdonare questi difetti al giovane maestro.”
Così, su «Il Teatro Illustrato» anno IV n° 42, giugno 1884.
Qualche passo indietro. L'anno prima, 1883, Puccini ha ottenuto il suo diploma con la composizione Capriccio sinfonico. Il primo aprile di quello stesso 1883 proprio la rivista «Il Teatro Illustrato» annuncia un concorso per compositori esordienti per un'opera inedita. Puccini partecipa con Le Villi. Il giovane Giacomo, che pure ha lavorato frettolosamente, non teme l'esito della commissione esaminatrice; la presiede infatti Ponchielli, suo insegnante al Conservatorio, e tra gli altri membri Arrigo Boito (che aveva diretto con successo il suo Capriccio sinfonico, Franco Faccio (direttore e compositore, e grande amico di Boito), Amintore Galli (altro suo insegnante di Conservatorio). Ma...la vittoria venne assegnata a Zuelli e Mapelli; e quest'ultimo ha proposto un'opera, Anna e Gualberto, su libretto di quel Fontana che ha scritto per Puccini il testo di Le Villi.
Le Villi, finalmente, arriva – ed è la prima volta – al Lirico di Cagliari. Quattro recite all'aperto, quattro recite dedicate alla memoria di Graham Vick, scomparso lo scorso 17 luglio, uno dei grandi nomi della regia operistica contemporanea che a Cagliari firmò le regie di Opričnik di Čajkovskij (2003) e di Oedipe di Enescu (2005), due inaugurazioni di stagioni che ebbero grande successo di pubblico e di critica.
Il Lirico cagliaritano ha fatto le cose per bene. Con la consueta cura, ormai diffusa, dei necessari protocolli anti-Covid (ancora una volta il coro è fuori scena, in un lungo palco laterale, ciascun artista posizionato tra pareti di plexigas), ha affidato la regia a Renato Bonajuto (al suo debutto cagliaritano). I suoi anni di apprendistato come assistente di Beppe De Tomasi si notano nel rispetto assoluto per la drammaturgia, che viene risolta con grande efficacia ed eleganza; su una pedana mobile circolare posta al centro della scena, tra fondali dipinti che ritraggono le silhouette di lunghi e cupi alberi (a rappresentare la Foresta Nera: e qui, le scene di Danilo Coppola potevano tuttavia essere più accurate, a partire da una più precisa tensione dei veli del fondale), quasi ad evocare quel vortice da cui i protagonisti verranno inghiottiti, con sicurezza si muovono non solo i tre protagonisti ma anche il corpo di ballo. Luigia Frattaroli ha curato le coreografie che spesso divengono teatro nel teatro, come i fermo immagine di tutte le 'doppie' della protagonista; con quel spettacolare 'lancio' nel vuoto (meno convincono gli uomini, con i loro movimenti simil-tribali). I costumi di Marco Nateri, di foggia ottocentesca, sottolineano ulteriormente l'atmosfera cupa e gotica della vicenda, come le luci, dai tagli gelidi, di Emliano Pascucci.
Sul podio, fa piacere rivedere e riascoltare Giuseppe Grazioli, che affrontò Le Villi parecchi anni fa. Il suo gesto, sempre così ampio e passionale, sembra quasi rapire l'orchestra cagliaritana (in forma smagliante, con una resa microfonica curata e analitica) nel vortice pucciniano che alterna l'abbandono lirico all'atmosfera tragica della Tregenda. Un Puccini 'sinfonico', che pur se influenzato da Catalani, sembra già preannunciare una modernità novecentesca, quella modernità novecentesca cara a Grazioli e che ben conosce. Le modeste proporzioni dell'opera non consentono al giovane Puccini di definire e mettere a fuoco i caratteri dei personaggi; nella Preghiera che conclude il primo atto, nell'intenso recitativo in cui pensa all'innocente figlia morta per colpa di un seduttore, nella richiesta di perdono a Dio, Andrea Borghini, nella parte di Guglielmo Wulf, definisce con un bel timbro baritonale un padre disperato a tutto tondo, con un canto rifinito e raffinato. Piacevole sorpresa il Roberto di Raffaele Abete, che intona la romanza “Torna ai felici dì” – la pagina più celebre, e la più felice, dell'opera – con un misto di malinconia e di sensualità nostalgica di indubbia qualità. Anna era Monica Zanettin; se indubbiamente il timbro pieno, corposo dona uno spessore tragico alla sua interpretazione, se il “Se come voi piccina io fossi” possiede un controllo del fiato e del legato di ottima scuola, una migliore articolazione renderebbe più comprensibile il testo. Perfettibile. La narrazione, affidata alla voce di Simeone Latini, pecca, come spesso accade, di ridondante retorica.
L'ampio successo (ho assistito alla terza replica) di un pubblico generoso di applausi finali dimostra che la scelta delle Villi sia risultata azzeccata.
Nota in margine: nel rigore e nella compostezza del coro, vedere un elemento, per un'ora, agitare i suoi fogli bianchi a mo' di ventaglio, vederlo alzare (magari per una emergenza fisiologica, chissà) e rientrare dopo un po' è stato motivo di distrazione continua. Peccato.