L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tre assi e un paio

di Roberta Pedrotti

Sfida superata per OperaLombardia con l'allestimento della Fanciulla del West partito dal Teatro Grande di Brescia. Carte vincenti, i tre protagonisti (Rebeka Lokar, Angelo Villari e Devid Cecconi) con il paio concertatore/regista (Valerio Galli e Andrea Cigni), ma anche il folto gruppo di comprimari ben assortiti.

BRESCIA, 22 settembre 2021 - Nel timore di fallire al botteghino proprio ora che, capienze permettendo, bisogna riportare il pubblico in sala, molti teatri sembrano ritrarsi nella scelta dei soliti due o tre titoli di sicuro impatto. Ecco allora valanghe di Barbieri, maree di Traviate, overdose di Bohème. Per fortuna c'è anche chi riprende in mano progetti lasciati in sospeso per ovvie ragioni e affronta con coraggio la sfida di titoli che fan tremare le vene e i polsi a fondazioni blasonate. Sì, perché La fanciulla del West sarà pure figlia di uno dei compositori più amati dell'universo conosciuto, ma fatica a imporsi nei cartelloni: tre parti principali di gran fatica e poca soddisfazione in termini di effetto melodico (giusto al tenore si concede, a fine serata, la brevissima “Ch'ella mi creda”, che è poi l'unico pezzo davvero popolare dell'opera), uno stuolo di comprimari da cui si esige puntuale caratterizzazione e assoluta precisione, coro e orchestra che pure devono essere meccanismi a orologeria che fanno sudare sette camicie ai direttori. Il tutto, come si diceva, senza l'ancora di salvezza di qualche romanza strappa applausi su cui puntare. Aggiungiamo una messa in scena non semplice, facile a scivolare nel kitsch e popolata da una folla di personaggi distinti, e non ci stupiremo se Minnie, Johnson e Rance non contendono a Tosca, Cavaradossi e Scarpia, o a Mimì, Rodolfo e Marcello il cuore dei melomani tradizionali. Ed è un vero peccato, come dimostra chi, invece, non ha paura di mettere in cartellone La fanciulla del West, anche in provincia, anche a pandemia non debellata, come avviene per il circuito OperaLombardia.

Innanzitutto, se anche il cast ideale non s'incontra a ogni angolo di strada, vediamo che i cantanti adeguati si possono trovare eccome, anche fuori dallo star system. Rebeka Lokar è una Minnie impeccabile, dalla voce morbida e ben proiettata, senza che una parte tanto lunga e ponderosa paia affaticarla o impensierirla. Anzi, sa esprimere l'autorevolezza del personaggio, donna indipendente e sicura di sé, capace di ribaltare i ruoli e salvare il suo uomo in pericolo indicandogli il loro destino, ma anche la sua delicatezza di sognatrice, fanciulla in trepida attesa del primo amore come in una fiaba. Forse la più complessa e affascinante delle eroine pucciniane, la più vera, la più concreta, la più donna. Angelo Villari si conferma una certezza per questo repertorio scabroso: tenore robusto, dallo squillo ampio e sicuro, dalla tenuta solida, pronuncia chiara e giusta intenzione, ha tutte le carte in regola per un Ramerrez/Johnson convincente. Nondimeno, Devid Cecconi è un Jack Rance dall'emissione pulita e dall'articolazione nitida, cinico, sgradevole, ma senza mai trascendere dal buon gusto. Assai ben assortito è anche il microcosmo che ruota fra la Polka e le miniere: Didier Pieri valorizza al massimo, per canto e recitazione, la parte di Nick e ne fa un vero coprotagonista; Andrea Concetti è un lusso come Ashby, né si può trascurare l'ottimo Sonora di Valdis Jansons; Gaetano Triscari e Candida Guida riescono ad affrancare per quanto possibile da sospetti di macchietta Billy Jackrabbit e Wowkle; Trin è Antonio Mandrillo, Sid Federico Cavarzan, Bello Ramiro Maturana, Harry Marco Miglietta, Joe Giuseppe Raimondo, Happy Matteo Loi, Larkens Maurizio Lo Piccolo, Jack Wallace Alessio Verna, José Castro Marco Tomasoni, Un postiglione Alessandro Mundula.

I distanziamenti e le necessità di trasferta di una produzione nata per transitare in quattro teatri (Brescia, Como, Cremona, Pavia) impongono di optare per la riduzione orchestrale curata da Ettore Panizza. Riduzione storica, approvata da Puccini, non è mal così grave, soprattutto se è affidata a un esperto di questo repertorio come Valerio Galli, che difatti si sobbarca l'onere delle proverbiali sette camicie da sudare, ma fa quadrare tutti i conti. Soprattutto, però non si limita a questo, perché una sbavatura potrebbe sempre capitare fra esseri umani, ma quello che non deve mancare e non manca mai è la visione d'insieme, la tenuta teatrale, il senso del fraseggio e dei rapporti interni alla partitura, l'equilibrio fra scena e buca, fra i solisti, il coro OperaLombardia e l'orchestra dei Pomeriggi musicali.

L'ultimo scoglio sarebbe quello del bozzettismo scenico o di una definizione superficiale dei personaggi. Per fortuna, la regia è firmata da Andrea Cigni, che conosce il mestiere, conosce il testo e il repertorio, cura il dettaglio, rifugge la banalità. Niente Far West turistico, ma la comunità derelitta di minatori che entra ed esce dal sottosuolo, cerca un misero sfogo alla Polka fra un whisky, una partita a carte, un giro di valzer fra uomini e una lezione di catechismo. Relitti sradicati e sconquassati dal destino, esattamente come Rance, che nessuno ha amato e che non ha amato mai nessuno, come Johnson, che si ritrova all'improvviso a capo di una banda menando una vita non sua, come Minnie che avrebbe voluto studiare e che invece si sente “oscura e buona a nulla”. Per una via di redenzione che, forse, si apre, troppe altre vite tornano uguali a se stesse nell'oscurità. Le scene di Dario Gessati sono veramente di gran classe, ben illuminate da Fiammetta Baldiserri, dicono tutto con semplici botole, rampe, tettoie, il tronco di sequoia sospeso e pronto a diventare forca. Azzeccati pure i costumi di Tommaso Lagattolla.

L'anteprima dedicata agli studenti nel teatro Grande di Brescia, capofila della produzione, è applaudita con calore nonostante il pubblico a ranghi ridotti. Dal debutto ufficiale, in apertura di stagione, giunge pure un'eco di piena soddisfazione.


 

 

 
 
 

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