La Carmen del ritorno
di Giuseppe Guggino
Ripresa di stagione del Massimo di Palermo con il ritorno dell’orchestra in buca e della Carmen di Bieito. In piena sintonia con lo spettacolo sia la direzione di Wellber che la prova di Ketevan Kemoklidze.
Palermo, 18 settembre 2021 - Per la prima volta dopo più di sedici lunghi mesi il Massimo di Palermo programma per la ripresa autunnale di stagione il ritorno all’opera nell’assetto abituale con l’orchestra in buca. E non poteva scegliere titolo migliore di Carmen, capace di coinvolgere tutte le masse del teatro, nonché un giovane torero-tersicoreo (il bravo Gaetano La Mantia) che il felice allestimento ormai storico spettacolo di Calixto Bieito – coprodotto dal Massimo dieci anni or sono e fortunatamente circuitato in numerose riprese – prevede impegnato in una danza propiziatoria davanti al toro da sfidare in corrida, sull’entr’acte al terzo atto. Inutile soffermarsi sulla coerenza dello spettacolo divenuto ormai un classico della regìa, che conserva la sua forza e la sua modernintà nonostante il trascorrere degli anni e, soprattutto, nonostante qualche piccolo adattamento alle contingenze sanitarie con cui avrà dovuto fare i conti il responsabile della ripresa Alexander Edtbauer, attenuando qua e là gli affronti fisici e rivedendo complessivamente i movimenti delle masse. Nell’ambientazione collocabile in una remota provincia spagnola negli ultimi anni del regime franchista, articolata sugli squallidi costumi di Mercè Paloma e sugli essenziali elementi totemici di Alfons Flores (la cabina del telefono, l’asta per l’alzabandiera, le mercedes anni ’70, il toro) illuminati dalle luci – ora soffuse, ora violente – di Alberto Rodriguez Vega, tutto sembra scivolare inesorabilmente verso il finale drammatico, in una visione tanto coerente dalla quale pare impossibile sottrarsi. Si rileva allora ancora una volta la piena partecipazione scenica del Coro e del Coro di voci bianche che, sotto la guida rispettivamente di Ciro Visco e Salvatore Punturo, raggiungono esiti musicali di tutto riguardo. Non demeritano nemmeno i comprimari, a partire da Hila Baggio e Sofia Koberidze, rispettivamente Frasquita e Mercédès, per proseguire più o meno in ordine di freschezza con Carlo Bosi (Remendado), Tommaso Barea (Moralès), Nicolò Ceriani (Dancaïre) e Giovanni Battista Parodi (Zuniga). Sui quattro protagonisti il discorso si fa più sfumato, giacché Bogdan Baciu è Escamillo sfrontato e sicuro dal principio alla fine mentre la Micaëla di Ruth Iniesta sembra partire con una certa circospezione, per approdare poi ad un terzo atto decisamente più convincente. Specularmente, invece, il Don José di Sébastien Guèze si segnala per la plausibilità scenica mentre musicalmente sconta una certa muscolarità dell’emissione che ne rendono monocorde e poco varia la prestazione, mentre Ketevan Kemoklidze esibisce una grande varietà di accenti, frutto di una vocalità duttile e ben manovrata, che sa piegare alle intenzioni interpretative, per disegnare una Carmen di sicura presa, forte anche di una presenza scenica dirompente, come il ruolo eponimo esige.
Sul podio Omer Meir Wellber, già impegnato in passato con lo stesso allestimento alla Fenice di Venezia, pare aderire con grande convinzione alla cifra dello spettacolo di Bieito, connotando chiaramente il titolo di Bizet sul versante del dramma naturalista e attenuando i pallidi rimandi agli stilemi dell’opéra-comique. I dialoghi parlati, anche in questa ripresa, sono ridotti alla più breve sutura possibile fra i vari numeri che, sin dal Prélude iniziale, sono pervasi da sonorità sinistre e staccati sovente con agogica bruciante e inesorabile. L’orchestra risponde benissimo e, eccettuata qualche lieve imprecisione fra i legni, ritrova quella compattezza di suono nell’assetto in buca che la distribuzione distanziata degli ultimi tempi aveva talvolta messo in discussione; anche gli equilibri acustici con il palcoscenico fanno di questo ritorno di Carmen un ritorno alla normalità: ci si augura irreversibilmente.