È sogno, o realtà?
di Irina Sorokina
Un matrimonio fallito alle spalle per Tosca e Scarpia, lui l'ama ancora mentre lei si inebria nella relazione con un artista più giovane che si fa mantenere dalla diva ma tresca con altre. Il regista Dmitry Bertman riscrive la vicenda del dramma pucciniano in maniera discutibile, ma con indubbia capacità e coerenza. Ottima la prova del cast capitanato da Irina Oknina, Shota Chibirov e Alexey Dedov.
Mosca, 12 settembre 2021 - Se pensate di conoscere bene la storia della cantante romana Floria Tosca, vi sbagliate di grosso. Non abbiamo dubbi che siete a conoscenza non soltanto della celeberrima opera di Giacomo Puccini, un diamante nella corona delle prime donne, ma anche della sua fonte letteraria, il dramma di Victorien Sardou. Tuttavia, se andate a Mosca, in via Bol’šaja Nikitskaja, dove si trova un teatro lirico tra i più belli e originali del mondo con la sala grande sotto terra e il palco centrale che altro non è che un ingresso accuratamente restaurato di una casa nobile del Seicento, vi verrà concessa l’opportunità di conoscere una Tosca completamente diversa, come diversi sono i due uomini che l’affiancano, il pittore Mario Cavaradossi e il capo della polizia romana barone Scarpia. Vi potrà piacere come vi potrà disgustare, ma, senza dubbio, sarete stupiti. Avremo già capito che quel teatro si chiama Helikon-Opera.
Perché tutto questo? La risposta è semplice: il teatro unico al mondo in pieno centro della capitale russa e vicinissimo al Bol’šoj è il regno indiscusso del regista Dmitry Bertman, amato e odiato, compiaciuto e rinnegato. È lui che spesso cancella le storie scritte da vari Cammarano e Piave, Illica e Giacosa e, pur non cambiando una nota nella partitura, racconta faccende ben diverse. E così la sua Tosca.
Nella versione di Bertman, Tosca è più vecchia di Cavaradossi e somiglia a una zia ricca che nutre dei sentimenti per un ragazzino mentre lui la sopporta per delle mance generose e per la possibilità di fare la bella vita. Colpisce la scena a Sant’Andrea della Valle dove la diva dell’opera si presenta elegantissima in un cappotto rosso dal taglio particolare e dove il pittore cerca di tenere a bada la propria noia e non vede l’ora di mandare via l’amante. Tosca e Scarpia hanno un passato in comune: una volta erano sposati e se ora la cantante sta inseguendo il sogno d’amore per un giovane, il barone continua ad amarla. Il suo studio è una specie di tempio dedicato all’ex moglie: non solo un pianoforte a coda – e lui sa suonarlo – , non solo la foto del matrimonio e un manichino coll’abito da sposa, chiari riferimenti alla loro storia d’amore, ma una parete intera occupata dai vestiti di Tosca. Costringe la donna tanto desiderata a fare il sesso sul gran piano e sul gran piano viene assassinato da lei. L’atto conclusivo, invece, è un incubo, frutto della mente ormai malata della cantante impazzita in seguito dell’omicidio dell’ex consorte: vede dei prigionieri incappucciati che le girano attorno, assiste al supplizio del suo giovane amante, tira colpi della pistola senza avere la mira precisa. Il finale? Sprofonda insieme all’ex marito sotto il palcoscenico.
Hanno un certo fascino, le fantasie del regista Dmitry Berman; infatti, lo spettacolo risulta snello, coinvolge pienamente e non ha un punto morto. Ma ci sono anche delle cose che non quadrano. Se Cavaradossi è solo un mantenuto della diva, un ometto degno di disprezzo, che nella scena d’apertura si diverte con la marchesa Attavanti - nello spettacolo di Bertman si materializza e appare come una leggiadra fanciulla - perché resiste alla tortura, sacrifica la sua vita per salvare quella di un prigioniero politico? Non abbiamo risposte convincenti a queste domande, ma bisogna ammettere che l’approccio del regista, da sempre discutibile e per molti addirittura odioso, conquista e trascina senza lasciar spazio a giudizi negativi. Caso mai, vengono dopo.
Può sembrare incredibile, ma per questa Tosca andata in scena il 10 febbraio 2021 l’Helikon-Opera aveva preparato ben cinque cast di protagonisti ed eravamo in piena pandemia. A noi non è capitato di ascoltarne il primo e non ne abbiamo nessun rimpianto: i tre protagonisti della serata, Irina Oknina, Shota Chibirov e Alexey Dedov, se la sono cavata con onore, soprattutto il soprano ha dominato la scena per tutta la durata dello spettacolo come richiede il capolavoro pucciniano.
Oknina è una vera primadonna, per bellezza, voce e doti d’attrice; portamento fiero, capacità di indossare abiti impegnativi come il già nominato cappotto rosso, soprano lirico spinto ampio e squillante, una buona tecnica ed è pure un animale da palcoscenico. La sua Tosca bella e capricciosa, narcisista e appiccicosa, amante sessualmente irresistibile e donna fedele, assassina e eroina, potrebbe fare onore a qualsiasi teatro europeo. Il suo “Vissi d’arte” ha fatto trattenere il respiro anche a un ascoltatore disattento grazie all’abbandono totale, alla purezza della linea e a chiaroscuri sottili.
Shota Chibirov ha tutte le carte in regola per la parte di Mario Cavaradossi: è un giovane uomo decisamente attraente, attore credibile e cantante ben preparato che vanta una buona comprensione dello stile e un fraseggio ben elaborato. In “Recondita armonia” il timbro ha rivelato una certa legnosità e gli acuti sono risultati leggermente “sparati”, tuttavia il tenore ha sempre fatto una buona impressione. Se l’è cavata piuttosto bene anche in “E lucevan le stelle”, grazie a una gran quantità di sfumature e a un’indiscussa espressività.
Alexey Dedov è stato magnifico nel ruolo di Scarpia; a dir il vero, è un basso che, però, fa propria la parte di baritono. Simile a Oknina, ha disegnato il personaggio in tutta la ricchezza umana; il capo della polizia romana non è stato solo un prepotente, un vigliacco, un sadico, ma anche una persona dotata di una gran classe, un marito nostalgico e addirittura un pianista capace che si è messo al piano per accompagnare il canto disperato della ex moglie ormai innamorata folle di un altro. “Tre sbirri” è risultato un po’ frettoloso e poco imperioso e ha rivelato troppa tensione; come per farsi perdonare il cantante ha regalato un “Ella verrà… Ha più forte sapore” di tutto il rispetto.
Dmitry Bertman ha pensato pure a tutti personaggi di contorno, donato a ognuno una faccia inconfondibile. Il sagrestano (Dmitry Ovchinnikov) furbo e bonario, Spoletta (Vitaly Fomin) ruffiano disgustoso, Angelotti (Aleksandr Kiseliov) un violento capace di aggredire il povero pittore e con un gusto per il travestimento grottesco. Hanno completato il cast Andrey Orekhov (Sciarrone) e Sofia Diatleva (un pastorello). La marchesa Attavanti - che non appare nell’opera pucciniana, ma fa compagnia a Cavaradossi nella versione di Bertman - ha avuto il volto leggiadro di Julia Gorelova.
Lo scenografo Igor Nezhny ha disegnato ambienti scuri e soffocanti, le parole di Ford in Falstaff verdiano, “È sogno o realtà?”, servirebbero da descrizione perfetta: ambienti da incubo, in perfetta sintonia con gli incubi inventati dal talentuoso e discutibile regista. Tatiana Tulubieva ha pensato ai costumi senza un riferimento a un’epoca precisa, mescolando abiti da taglio moderno e colori sobri per gli uomini con vestiti dai colori decisi per le donne; per Tosca costumi decisamente impegnativi, come il cappotto rosso sangue nel primo atto e il vestito nero e giallo nel secondo. Il light designer Damir Ismagilov ha creato una vera partitura di luci, elaborata e suggestiva al massimo, dalle atmosfere realmente eccitanti.
Sul podio, Valery Kiryanov ha preferito sonorità brillanti e a tratti aggressive, da “thriller musicale”; l’amplificazione eccessiva ha conferito una sfumatura artificiosa piuttosto fastidiosa. Il coro dell’Helikon-Opera, già noto per le sue capacità attoriali, ha fornito una grande prova e così il coro dei bambini della Scuola Musicale Accademica presso il Conservatorio di Mosca (maestri del coro Evgheny Ilyin e Marina Tsaturyan).
Subito dopo la prima alcuni presentatori televisivi ignoranti hanno parlato della Tosca bertmaniana pronunciando il nome della protagonista con l’accento sull’ultima vocale: Toscà. Pronunciata così, la parola in lingua russa significa “ansia”: stranamente e inaspettatamente ha dato una definizione perfetta all’allestimento dell’Helikon-Opera. La versione di Dmitry Bertman provoca ansia, tiene sospesi, desta amore e odio, approvazione e contestazione, ma, senza dubbi, è un fenomeno del teatro vivo.