Una Norma di tutto rispetto
di Irina Sorokina
La sfida di Norma è vinta in modo credibile, anche se non tutto risulta perfetto, nella produzione che da Piacenza è approdata a Modena, protagonista Angela Meade.
MODENA, 31 ottobre 2021 - Crediamo che da qualche parte nel cuore di ogni melomane viva l’attesa di sentire Norma in teatro. Il capolavoro assoluto del maestro catanese composto nel 1831, cavallo di battaglia di tutte le dive ottocentesche e novecentesche, nel secolo in corso (e son passati già ben ventun anni!) sta vivendo nella speranza di trovare un soprano adeguato per le spaventose difficoltà tecniche della parte e per la capacità di vestire i panni del mitico personaggio. Se Norma appare in cartellone, i ricordi di Maria Callas, Montserrat Caballè e Joan Sutherland sono inevitabili. Si va in teatro e all’incontro con la Coraggiosa, cioè il soprano che in questo momento calca la scena, si emette, pur col rispetto, un sospiro: “Non è lei”.
La Norma coprodotta dalle Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena e Fondazione Teatro Reggio di Parma, fa cessare questi sospiri. Finalmente “è lei”, e parliamo di Angela Meade arrivata dagli Stati Uniti (un inchino rispettoso ai teatri emiliani che sono riusciti a compiere una tale impresa). Il soprano americano è in possesso di molte qualità necessarie per il mitico ruolo e miete un successo grandioso pienamente meritato. Ma prima vediamo la cornice in cui viene inserita.
L’allestimento sobrio ed elegante di Nicola Berloffa arriva in Italia dopo una tournée europea e non è una ripresa, come sostiene lui stesso, ma un riadattamento dovuto alle regole sanitarie imposte dall’emergenza Covid. Il regista piemontese ha voluto lasciare la Gallia del libretto di Romani per un’ambientazione più vicina ai nostri tempi, ma non ha optato per la contemporaneità. La vicenda che include una serie di caratteristiche tipiche del melodramma viene spostata nell’Ottocento senza definire un periodo determinato: potrebbe trattarsi delle guerre risorgimentali. E, com i fantasmi delle mitiche cantanti, vengono in mente i lavori cinematografici come Senso di Luchino Visconti o, se vogliamo parlare dei tempi più recenti, Norma messa in scena da Hugo De Ana originalmente in Giappone e rappresentata al Teatro Filarmonico di Verona per due volte, nel 2004 e nel 2017. A proposito, pure De Ana spostò la faccenda nell’Ottocento, ma senza appellarsi all’immaginazione del pubblico: si trattò dell’epoca napoleonica e nel finale del primo atto il tenore apparì con la corona del celebre ritratto dell’imperatore di Francois Pascal Simon Baron Gérard. Fu un allestimento bellissimo, ma puramente decorativo: il designer-regista argentino giocò a rievocare l’epoca dell’Impero, ma lasciò stare il dramma umano.
Per la nostra fortuna, la versione di Nicola Berloffa riesce a trovare l’equilibrio tra la veste ottocentesca scelta per Norma e la vicenda drammatica dei personaggi. Le scene eleganti di Andrea Belli ci portano in una città europea dove i vinti sono costretti a vivere in un elegante palazzo semidistrutto il cui ingresso è ostruito dalle macerie; dentro il palazzo c’è l’appartamento privato dove vive Norma riuscendo a nascondere i figli che in questo caso sono maschio e femmina, molto meglio dei soliti due maschietti piccolissimi. Pochi elementi architettonici, colori sobri e sbiaditi: una cornice piacevole e per nulla ingombrante; in linea sono i costumi disegnati da Valeria Donata Bettella e suggestive e taglienti le luci di Marco Giusti.
Angela Meade, venuta ad impersonare Norma nel paese dove nacque, ha una voce grandissima, bellissima e lucente. Sarà azzardato usare anche il termine “consolante”? Noi abbiamo avuto questa impressione, la voce è consolante per il timbro e per una tecnica strepitosa. Poche, come lei, o, forse, nessuna potrebbero intonare "Casta diva" sfoggiando un legato infinito e colorature morbide e precise. Poche o, forse, nessuna, canterebbero senza fatica, come degli uccelli celesti. Con tutti questi pregi vocali, c’è una certa mancanza della capacità di creare un personaggio indimenticabile: molte cose sono perfette, doti naturali, tecnica, fraseggio, è dignitosa la recitazione, tuttavia il tocco personale lascia desiderare.
L’eccellente soprano americano è circondato sul palcoscenico del Teatro Comunale di Modena da un buon cast, non ideale, ma degno d’ammirazione sotto molti aspetti. A fianco della Meade Paola Gardina nei panni di Adalgisa: un’attrice sensibile, capace di disegnare il personaggio anche attraverso le movenze, e una cantante bravissima, anche se in questo caso vocalmente non del tutto adatta alla parte scritta per soprano. I suoi pregi, la voce dal timbro mieloso e dall’emissione morbida, il fraseggio raffinatissimo, la capacità di “sussurrare” in modo che si sentano ogni sillaba e ogni respiro, l’arte di duettare; la sua difficoltà, le note sopracute intonate con evidente fatica.
Stefano La Colla è molto credibile come Pollione disegnato con intelligenza: rude e vigliacco, “tutto di un pezzo”, alla fine rivela una certa sensibilità e mostra il coraggio. La è voce bella e di buon squillo, ma la resa vocale risulta danneggiata da una tecnica non sufficiente per la parte difficile: risulterebbe sicuramente più convincente in ruoli tenorili nelle opere della seconda metà dell’Ottocento. Nella cavatina di sortita gli acuti sono “sparati” fino al punto di far venire in mente le risate dell’imperatrice russa Anna Ioannovna che facevano trasalire e alzarsi su due zampe i cavalli nel maneggio.
Michele Pertusi è un Oroveso da manuale, dignitoso e ieratico. La parte per lui non ha alcun segreto, intona gli assoli con una disinvoltura estrema dovuti all’intelligenza e una lunga militanza. Scappa qualche nota leggermente affaticata nella zona acuta.
Si fanno notare gli interpreti dei ruoli di contorno, soprattutto Didier Pieri – Flavio brilla per il timbro bello e lucente e la dizione scultorea, e Stefania Ferrari disegna una Clotilde nobile dalla voce piacevole e l’accento espressivo.
Non solo apprezzabile, ma autenticamente coinvolgente la bacchetta di Sesto Quatrini che alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana propone velocità più elevate del solito e rende la partitura più drammatica e nervosa. Sostiene bene i cantanti e presta l’attenzione amorevole agli strumenti che parlano dei sentimenti dei personaggi, valorizza gli archi e i legni. Se quel che vediamo sul palcoscenico è “dignità”, quel che sentiamo dalla buca d’orchestra è “ardore”: e fanno una coppia perfetta. Il Coro del Teatro Municipale di Piacenza preparato da Corrado Casati, rappresenta in modo credibile i vinti e si distingue dalla bellezza del suono.
Applausi a non finire e supponiamo che dopo la Norma in giro per l’Emilia Romagna, Angela Meade verrà chiamata semplicemente “Angela”.