L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Quindici Do e due Re; sul comò

di Francesco Lora

La fille du regimént è spettacolo da tutto esaurito, al Teatro La Fenice, con la regìa, le scene e i costumi di Barbe & Doucet, la direzione di Stefano Ranzani e la recitazione di Maria Grazia Schiavo, Armando Noguera, Natasha Petrinsky e Marisa Laurito. Protagonista assoluto si conferma il John Osborn già ascoltato a Bergamo nei medesimi panni di Tonio.

VENEZIA, 16 ottobre 2022 – La fille du regimént di Gaetano Donizetti andata in scena al Teatro La Fenice, dal 14 al 22 ottobre, ha un bel difetto nella regìa, nelle scene e nei costumi di André Barbe e Renaud Doucet. È fatta per sembrare a tutti gli effetti, e dunque per essere davvero in superficie, uno spettacolo divertente, brillante, surreale, leggero, comico; però pone intorno al testo, con mano lieve, senza voler fare la morale, non per questo rinunciando al sorriso, anche un punto di vista più profondo. Sicché durante la recita in teatro si ride, ma tornati a casa ci si commuove un po’. Questa l’idea: la storia di Marie la franca vivandiera, del reggimento che le fa da papà, del paesano Tonio che si arruola per lei, della Marquise de Berkenfield che si finge zia arcigna ma è poi la mamma perduta, ecco, tutta questa storia diviene il flashback di una vecchia bisnonna, la quale si è fatta da vivandiera la seconda guerra mondiale e oggi riceve la visita di figli, nipoti e bisnipoti nella camera della casa di riposo; ella racconta ai più piccoli – o vorrebbe raccontare loro – la propria giovinezza, avendo come teatro dei ricordi il ripiano del comò: lì sopra ci sono la casetta souvenir tirolese, il quadretto con la veduta alpina, la madonnina protettrice, le medicine per i malanni della terza età, la foto grigia del marito soldato, il carillon con la ballerina; lì sopra prende vita l’azione, per chi ha la pazienza di farsela raccontare dalla vecchia bisnonna che si è fatta da vivandiera la seconda guerra mondiale e che ora passa, annoiata, l’essere creduta noiosa. Ecco il bel difetto di uno spettacolo da tutto esaurito lungo le sue cinque recite: un merito per ragioni non solo acutamente teatrali ma anche forbitamente musicali.

Innanzitutto a Venezia s’è ascoltata l’opera nella nuova edizione critica a cura di Claudio Toscani, la stessa inaugurata l’anno scorso al Festival Donizetti di Bergamo: quanto basta a conferire una nuova coerenza, chiarezza e luminosità alla partitura. Qualcuno rimprovererà al direttore Stefano Ranzani di fare un gran trambusto scatenando militarmente l’orchestra: ma il carattere di buona parte della musica consiste letteralmente in questo, accentuato forse dai risonanti strumenti odierni della scalpitante orchestra della Fenice, e comunque controbilanciato da luoghi lirici trattati con la dovuta tenuità. Protagonista assoluto si conferma il John Osborn già sacrosantamente idolatrato a Bergamo nei medesimi panni di Tonio. Il melomane sagace sa che l’interprete – tenore e attore – si misura più dalla toccante romance nell’atto II che dalla cavatine nel Finale dell’atto I; basti però dire che la girandola dei nove Do sopracuti, in quest’ultima, tra interpolazioni e variazioni frutta alla fine ben quindici Do e due Re, il tutto moltiplicato per due col bis a furor di popolo; e si dica soprattutto che nei cieli alti del pentagramma Osborn non fa il divo ma rimane artista genuino, generoso, complice, giocoso, che stupisce con lo squillo senza dimenticare l’immediatezza del porgere e il primato delle sfumature: che meraviglia, allora, sarà la romance! Spigliata Marie è a sua volta Maria Grazia Schiavo, ideale in peso e timbro benché tenuta ad aprirsi qualche rete di sicurezza nei passi di bravura. Disinvolto e anzi consumato il mestiere del fare commedia nel Sulpice di Armando Noguera e ancor più nella Marquise di Natasha Petrinsky, fino all’autoironico cammeo di Marisa Laurito quale Duchesse de Crakentorp.


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