Fra classico e contemporaneo
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia presenta un concerto diretto dal maestro Antonio Pappano. In programma, la prima assoluta di una composizione di Yikeshan Abudushalamu, Repression, vincitrice del concorso “Luciano Berio”, e la Suite n. 3 in sol maggiore op. 55 di Pëtr Il’ič Čajkovskij.
ROMA, 12 marzo 2021 – I concerti trasmessi in live-streaming sul portale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sono, certamente, un eccellente farmaco alla tristezza che assale tutti noi non solo per il rinnovamento delle misure restrittive (il famigerato lockdown, che sa oramai quasi di déjà-vu), ma anche per la consapevolezza dell’ennesima diffusione di una nuova ondata virale, che di tali misure è la causa.
Sul podio siede il maestro Antonio Pappano, che apre il concerto con un pezzo del giovane vincitore del concorso internazionale “Luciano Berio” (2019): Yikeshan Abudushalamu. Di nazionalità cinese e di etnia uigura, Abudushalamu propone un pezzo per orchestra, Repression, che riecheggia la tradizione avanguardistica novecentesca. Un impasto sonoro imprevedibile e mutevole, altalenante fra stati agitati e oasi di maggiore tranquillità, costituisce il nerbo timbrico del brano, che l’autore stesso ha difficoltà a definire e lascia alla libera interpretazione degli ascoltatori. Elemento notevole è il paesaggio sonoro che pervade, cangiante, tutta la composizione, che ha nel sussulto delle emozioni dell’orchestra il suo principale carattere; l’orchestra, appunto, è chiamata a una particolare attenzione ai timbri e alle campiture sonore, compito che porta a compimento con eccellenti risultati. Una mia particolare lettura del brano, però, vorrei offrirla. Comprendo la prudenza elusiva di Abudushalamu nel dare un’etichetta al suo pezzo, ma non riesco a non pensare (anche grazie al titolo) al genocidio uiguro sistematicamente portato avanti dalle autorità cinesi dal 2014. L’andamento angoscioso e sussultorio del pezzo, i timbri ambigui, il titolo Repression mi paiono indizi sufficienti per immaginare che questo brano sia una sublimazione degli orrori perpetrati dal governo cinese ai danni degli uiguri, minoranza musulmana dello Xinjiang. C’è chi ha parlato – a mio avviso giustamente – di un vero e proprio genocidio: campi di concentramento e repressioni sono, infatti, il linguaggio adottato dal regime cinese contro questa minoranza etnica e culturale. Se così fosse, il brano di Abudushalamu avrebbe una densità politica volta alla denuncia della repressione della sua etnia.
Il secondo brano presentato è la Suite n. 3 di Čajkovskij. Pappano, che è uno specialista della produzione tardoromantica e ha sempre mostrato una certa predilezione per la produzione del russo, dirige magnificamente l’orchestra, che spagina ogni sfumatura di una partitura affascinante e accattivante, come tutta la musica di Čajkovskij. L’Elégie e la Valse mélancolique suonano in tutta la loro malinconia, sentimento predominante della prima parte della Suite e, più in generale, della tavolozza emotiva del compositore. Pappano fa cantare i temi, che si colorano di un sentimento chiaroscurale, appunto tipicamente čajkovskiano. La brillantezza del suono orchestrale si coglie tutta nello Scherzo, che spumeggia di ritmi. Il finale, Thème et variations, è un elaborato pezzo basato su un tema accattivante e variato lungamente, con maestria; chiude la Suite una brillante polacca. Sono certo che il pubblico abbia mandato calorosi applausi virtuali.