Il canto del cigno
di Lorenzo Cannistrà
Gradito ritorno alla Scala di Gianandrea Noseda, che ha magistralmente guidato Orchestra e Coro del Teatro in un programma non “facile” e in parte poco frequentato, ma denso di bellezza ed espressività
Il programma del mese di maggio del Teatro alla Scala è fitto di appuntamenti prestigiosi, specialmente per la musica sinfonica. Oltre ai concerti con Chailly e Muti (con annesse scintille) e in attesa di Daniel Harding il Teatro alla Scala ha ospitato in cartellone anche Gianandrea Noseda, impegnato in un raffinatoprogramma che propone l’arco viennese Mozart/Beethoven/Brahms. Dei primi due, al posto di brevi sinfonie o ouvertures, troviamo lavori tanto interessanti quanto raramente eseguiti, mentre di Brahms viene proposta la monumentale Quarta Sinfonia. Si tratta di opere che, come sottolinea lo stesso Noseda nell’ “intervallo” del concerto (trasmesso in streaming), riflettono l’ultimo periodo creativo dei tre compositori, una sorta di “canto del cigno” in cui la meraviglia musicale è nascosta nelle pieghe di una profondità di pensiero non esibita ed è sorretta da sapienza compositiva e perfezione tecnica inarrivabili.
L’aria mozartiana Per questa bella mano K 612, per voce di basso, contrabbasso obbligatorio e orchestra composta nel 1791 poco prima del Flauto magico, è considerata da taluno l'unica composizione di un grande maestro della Vienna classica per contrabbasso solo (se si esclude tal Concerto per contrabbasso di Haydn, datato 1763, su cui però non si hanno notizie certe ed è attualmente irreperibile). Curiosamente, nella prima edizione, oltre alla parte del contrabbasso, era inclusa una parte del violoncello; il motivo potrebbe non essere stato solo la maggiore “commerciabilità”, ma anche lo scetticismo sul livello tecnico-musicale dei contrabbassisti dell'epoca. Non solo, ma pare che anche nella prassi esecutiva di fine Ottocento la parte venisse eseguita solo con il violoncello, considerando la destinazione al contrabbasso sostanzialmente un errore. Come che sia, al contrabbassista di questa serata, l’ottimo Giuseppe Ettorre, è toccato l’arduo compito di districarsi trale fitte trame intessute intorno alla linea melodica del cantante. A ciò si aggiunga che la parte è resa ancora più difficile dal fatto che i bassi per archi oggi sono accordati in modo diverso dal modo in cui erano accordati nella Vienna di Mozart. Di conseguenza, le note non si trovano nello stesso punto dello strumento come avrebbero fatto per il contrabbassista di Mozart, rendendo necessari enormi salti e posizioni scomode per la mano sinistra di un musicista moderno.
L’altra aria, Mentre ti lascio, oh figlia K 513, su un libretto musicato da vari autori fino alla fine del secolo (anche se l'ambientazione di Mozart si dimostra direttamente ispirata al modello di Paisiello) raggiunse una grande popolarità grazie ai più famosi tenori dell'epoca.
In entrambe le arie Ildebrando D’Arcangelo (che già diversi anni fa ha registrato queste ed altre arie mozartiane proprio con Noseda e l’Orchestra del Teatro Regio di Torino) esibisce una voce timbricamente e stilisticamente assai appropriata, oltre a trovarsi a proprio agio in particolare nei salti di registro che caratterizzano la tormentata scrittura della prima aria.
Di pregevole fattura l’esecuzione di Noseda e del coro preparato da Bruno Casoni per i rari Elegischer Gesang op. 118 per coro e archi e Meeresstille und glückliche Fahrt op. 112, cantata per coro e orchestra, di Beethoven, due brani sinfonico-corali che hanno in comune, oltre al periodo di composizione, anche un carattere di fondo, intimo e raccolto, basato su testi che trattano temi profondi come il presagio della morte e lo sgomento che produce la visione della immensa vastità del mare. Nell’op. 118 il timbro affettuoso dell’incipit è stato giustamente accostato da qualcuno alla dolcezza del movimento finale dalla sonata op. 90. Dal canto suo l’op. 112 si presenta come un dittico sinfonico, in perfetta (forse non casuale) simmetria con la seconda aria mozartiana, in cui il Larghetto iniziale, caratterizzato dal canto malinconico del solista, cede poi il passo ad un Allegro che è un dialogo tra gli strumenti a fiato e la voce.
La seconda parte del concerto porta l’ascoltatore nel fantastico, profondo, ultrasensibile universo brahmsiano della Quarta Sinfonia, probabilmente il vertice del sinfonismo tedesco (e non solo) nel secolo diciannovesimo.
Noseda ha fatto un lavoro pregevolissimo con i professori dell’Orchestra del Teatro alla Scala, che peraltro conosce molto bene. La sua gestualità è vivace, “atletica”, a volte convulsa, ma il gesto è sempre impeccabile, mai vago. Il famoso attacco della sinfonia, il “respiro” evocato dalla cellula tematica iniziale costituita da due note, ha un bellissimo riverbero malinconico e nostalgico: è impossibile, anche non conoscendo il pezzo, sentire qualcosa allo stomaco dopo poche battute. Tutto il movimento è costruito sull’assenza sostanziale di contrasti tra i vari temi che si susseguono in un fluire apparentemente ininterrotto, e tuttavia in questa interpretazione la chiarezza tra le varie sezioni è tale da far intuire la forma senza difficoltà. Molto suggestivo nella sezione di sviluppo il dialogo serrato tra archi e legni che precede la ripresa. Appare poi ben restituito nella sua bellezza e poesia il secondo movimento, in cui gli scoppi orchestrali di terzine accentate lasciano subitaneamente il posto a lunghe frasi condotte dagli archi, dalle commoventi modulazioni. Nel terzo movimento (Allegro giocoso) viene esaltato il carattere “robusto”, rustico, più che quello vivace. Sentiamo qui tutta la corposità dell’orchestrazione brahmsiana (appena smorzata dalla “giocosità” del triangolo) ma non si avvertono mai rudezza o volgarità. Infine il grandioso finale in forma di ciaccona, in cui Noseda appare ispiratissimo, non dando tregua all’ascoltatore se non nell’onirica parentesi riservata al flauto e nelle variazioni più lente, mentre la stretta finale è esemplare per l’equilibrio con cui viene sapientemente preparato il climax.