Una primavera…tardo-romantica
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, per il penultimo dei suoi concerti di primavera finalmente aperti al pubblico, presenta un programma tutto tardo-romantico: Johannes Brahms, Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 77 e Antonín Dvořák, Sinfonia n. 8 in sol maggiore op. 88. A dirigere i complessi di Santa Cecilia è Jakub Hrůša, già ospite della prestigiosa istituzione romana; il concerto di Brahms è eseguito dal violinista Sergey Khachatryan. La serata è un successo.
ROMA, 5 giugno 2021 – La ventata d’aria primaverile (in senso soprattutto metaforico) che i concerti dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia hanno saputo donare al suo pubblico più affezionato pervade tutta la sala dell’Auditorium Ennio Morricone. I due pezzi di Brahms e Dvořák, del resto, sono turgidi di melodie e si lasciano sinceramente apprezzare. Se, poi, ad eseguirli sono due artisti del calibro di Jakub Hrůša e Sergey Khachatryan, il risultato è assicurato.
Il primo pezzo è il Concerto per violino di Brahms. Hrůša attacca il maestoso preludio, l’orchestra risponde bene. A un certo punto, però, si cominciano a sentire piccole esplosioni, come di lampadine rotte, che vanno aumentando, fino a che le luci in sala non si spengono. Orchestrali, violinista e direttore lasciano la sala, in attesa di notizie migliori. Ci vogliono diversi minuti per mettere a posto il sistema elettrico della sala Santa Cecilia, ma poi si può ricominciare. Si incomincia di nuovo da capo; e, dunque, il pubblico può apprezzare nuovamente l’impasto maestoso, compatto, tipicamente brahmsiano dell’attacco dell’Allegro non troppo. Poi, Hrůša disegna con composta nettezza il tema principale. Ecco, se dovessi descrivere la cifra della direzione del ceco, direi proprio composta, senza sacrificare i vari accenti del pezzo, ma composta. L’ingresso di Khachatryan è energico, vigoroso; il violinista armeno disegna sùbito il tema del violino e prosegue in melismi che dimostrano la sua abilità nel dosare il volume della linea del violino. Nel II movimento, l’Adagio, che si apre con un’atmosfera così placidamente pastorale, che l’orchestra sa delibare in particolare nei timbri dei legni, Khachatryan, sotto il velo orchestrale opportunamente stesogli da Hrůša, disegna una languida melopea, donando al pubblico momenti di assoluta estasi sonora, mediante il sapiente impasto di un gioco timbrico che si fa più acuto nei momenti di verticalizzazione della linea melodica. Hrůša attacca con polso il III movimento, l’Allegro giocoso; ecco che Khachatryan si diverte a imprimere carattere e piglio all’energica e virtuosistica linea melodica, dal sapore zingaresco, del pezzo. Il concerto si chiude negli svolazzi del violino rafforzato dall’orchestra: il pubblico applaude caloroso.
<palign="JUSTIFY">Il concerto si conclude con l’esecuzione dell’Ottava di Dvořák. Hrůša riesce a comunicare ai complessi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia la sua idea di Dvořák: far risaltare al meglio le linee melodiche, facendo attenzione ai colori, in particolare, al risultato del vario miscelarsi delle compagini strumentali. L’Ottava di Dvořák, infatti, è tutta un opulento melodiare: ricchissima di temi, di bei motivi. Fin dall’intervento del flauto, che scioglie l’impasto lievemente incerto dell’attacco del I movimento (l’Allegro con brio), fino al finale sostenuto, una serie di eleganti variazioni di un tema (l’Allegro), passando per il sognante Adagio (II) e il malinconico valzer dell’Allegretto grazioso (III), Hrůša risalta tutte le gemme, i ritmi variegati, che affollano la sinfonia. Gli applausi finali suggellano un’ottima serata di musica.