I numeri di MITO
di Antonino Trotta
Il recital liederistico di Ian Bostridge e Brad Mehldau, Filippo Gorini con i Cameristi della Scala, l’infuocato duo Conunova-Pace, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino diretta da Pablo Heras-Casado: ecco il racconto di alcune tra le serate più accattivanti dell’edizione 2021 di MITO SettembreMusica.
Torino, settembre 2021 – 126 concerti in due settimane e mezza di programmazione, oltre 1400 artisti presenti in cartellone, 26.900 spettatori nelle due città coinvolte. I numeri parlano chiaro: la seconda edizione in tempi di pandemia segna un aumento, in termini di pubblico, di quasi il 50% rispetto ai dati dell’anno passato. Se da un lato l’aumento delle capacità delle sale – pur col distanziamento, si salutano finalmente i ridicoli 200 posti dell’anno scorso in una platea dalla capienza di 1500 persone – ha agevolato una più agile e ricca scansione delle serate, dall’altro il ritorno dei numeri uno tra solisti, direttori e orchestre sinfoniche sembra aver maggiormente incentivato la comunità di MITO a partecipare alle liturgie di un festival che mai rinuncia alla propria identità. Tra grandi capolavori del repertorio e le consuete prime esecuzioni, ecco il resoconto di alcuni dei concerti che hanno caratterizzato l’edizione 2021 di MITO SettembreMusica.
L’arte del Lied
Desiderio, 10 settembre – A MITO concluso lo si può ben dire, il concerto di Ian Bostridge e Brad Mehldau si è dimostrato uno degli appuntamenti più interessanti dell’intera rassegna. Il repertorio liederistico richiede un talento decisamente particolare: più che di una voce, più che di una tecnica, e ogni volta che se ne ha una valida occasione l’ascolto lo conferma, l’artista chiamato al cimento cameristico abbisogna innanzitutto di superbe doti d’interprete, di capacità di scoprire filigrane e spigolature tanto nei testi quanto nella partitura, di dominare la prosodia della lingua che nella lettura del lieder diviene, quando non caratteristica peculiare, certamente dettaglio prezioso dell’esegesi musicale.
Ascoltando Ian Bostridge, tenore inglese che del repertorio liederistico ha fatto il proprio terreno d’elezione, voce e soprattutto tecnica appaiono onestamente modeste: il timbro è anonimo, l’emissione poco ortodossa, il canto sul fiato una chimera. Eppure all’auditorium della RAI si rimane col fiato sospeso per oltre un’ora e quaranta, incollati alla poltrona dalla forza magnetica che il canto di Bostridge è capace di esercitare. Ancor prima che nel Dichterliebe op.48 di Robert Schumann, Bostridge stravince già nel ciclo liederistico The Folly of Desire – su testi di Blake, Yeats, Shakespeare, Brecht, Goethe, Auden, Cummings – composto per lui da Brad Mehldau, compositore e superbo pianista accompagnatore. Venati da sfumature e soluzioni che attingono alla poetica del jazz, The Folly of Desire esaltano le eccezionali qualità espressive dell’interprete: dalle inquietudini di Blake che associa la rosa alla malattia al desiderio bruciante e alla pazzia del Sonetto 147 Shakespeare, passando per lo sconvolgente stupro di un angelo raccontato da Brecht (Über die Verführung von Engeln), Bostridge coglie nel testo prospettive e angolature che valorizzano le altalenanti emozioni descritte. Si assiste così a una prova in cui il fraseggio studiato, ragionato, indubbiamente intellettuale per l’analisi scientifica condotta sul materiale letterario, non risulta mai algida o cerebrale, anzi, si rivela febbrile, concitato, carico com’è di accenti e effetti che sì minano l’ordine della linea vocale, ma offrono una tavolozza di colori e vibrazioni dallo spettro impensabile.
L’eco di Mozart
I rimbalzi di Mozart, 10 settembre –A MITO SettembreMusica non mancano i giovani talenti: Filippo Gorini, giovanissimo pianista tra i più interessanti della sua generazione, è protagonista di un concerto, ospitato dall’Auditorium del grattacielo Intesa Sanpaolo, insieme ai Cameristi della Scala che racconta l’eco di Mozart in partiture ottocentesche come Souvenir de Florence di Čajkovskij.
Nel concerto per pianoforte e orchestra n. 12 in la maggiore KV 414 di Mozart, che apre l’appuntamento pomeridiano, Gorini si dimostra fin dall’Allegro iniziale capace di trovare la giusta dimensione di suono in questa versione eseguita non con orchestra ma con sestetto d’archi. Pianista sensibile, di tecnica scaltra e musicalità pronunciata, Gorini affronta la partitura con gusto cameristico, attento a porre in risalto i dettagli di una partitura così viva, le eco tra il pianoforte e gli archi, la brillantezza di una scrittura che non invoca mai il virtuosismo fine a sé stesso ma lo filtra secondo i canoni tipici della poetica mozartiana. Particolarmente di pregio l’Andante centrale, dove Gorini sviluppa e commenta con aristocratica eleganza e spiritualità quasi religiosa il tema tratto da La calamità de’ cuori di Johann Cristian Bach. Se nel concerto di Mozart i Cameristi della Scala s’impongono per morbidezza di suono, tutt’altra temperatura si registra dalla lettura di una partitura come Souvenir de Florence op.70 di Čajkovskij, eseguita a “parti reali”, dove il sestetto d’archi brilla per il tecnicismo spericolato e il mordente che elettrizzano l’intera esecuzione.
Beethoven in fiamme
Passioni, 25 settembre – Alexandra Conunova non è nuova al pubblico torinese: qualche mese fa, esattamente il 26 maggio, si esibiva nello stesso auditorium del Conservatorio “Giuseppe Verdi”, ospite dell’Unione Musicale, con un programma che tra la altre cose prevedeva proprio la “Kreutzer” di Beethoven, presente nuovamente nell’impaginato di Passioni per MITO SettembreMusica. Allora il pianista accompagnatore era David Kadouch, oggi Enrico Pace, e la “Kreutzer”, che segue la sonata n. 2 in fa op. 6 di Enescu,è cambiata radicalmente. Al pianoforte Enrico Pace è un motore diesel, una macchina dalla propulsione incessante e travolgente, una molla che tiene in perenne tensione una sonata che, specie nell’Adagio sostenuto-Presto iniziale, di per sé è un concentrato di eccitazione. Conunova si trova a rivaleggiare col più sontuoso degli strumenti consegnato alle mani di un virtuoso di razza: ella spinge al massimo la sonorità del suo strumento, forte com’è di una tecnica agguerrita che le permette un’esecuzione al fulmicotone, producendo anche qualche suono oggettivamente metallico, brutto: viene meno la pulizia della linea vocale del violino, ne guadagna decisamente l’ardore del dramma. Dopo questo Beethoven in fiamme c’era solo bisogno dei pompieri.
I bagliori del Regio
Progresso, 25 settembre – Serate come queste mettono sempre un po’ in crisi – per questioni inutili, tra l’altro – noi torinesi o sedicenti tali: quando si è convinti che la migliore orchestra sinfonica sabauda sia quella RAI, ci si ritrova poi ad ascoltare i ruggenti complessi del Teatro Regio di Torino in un repertorio sinfonico così impegnativo e ogni convinzione inizia a vacillare. L’Orchestra del Teatro Regio di Torino, la penultima formazione a sfilare sulla passerella di MITO SettembreMusica, condotta da Pablo Heras-Casado al cimento con la prima Sinfonia in do minore op.68 di Brahms – dopo Aventures di Magnus Lindberg, una sorta di divertissement su temi pescati dalla letteratura musicale più popolare –, si presenta all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto in forma smagliante, maestosa nella qualità del suono che è stata in grado di produrre, virtuosa nella cura e nel cesello con cui ogni idea musicale della sinfonia è stata presentata.
Dopo l’Un poco sostenuto incoativo dal gesto ampio e dall’atmosfera irrequieta, Heras-Casado imprime al primo movimento della Prima un carattere iracondo, drammatico, dall’incedere marziale scandito ora dalle violente sferzate degli archi, ora dalle fatalistiche figurazioni degli ottoni che non danno adito a rilassamenti nemmeno nel momenti in cui assumono toni più rassicuranti. Anche negli interlocutori intermezzi, ora scanditi mesti pizzicati, ora da attonite pause di sospensione, Heras-Casado non perde di vista il fuoco della narrazione e mantiene ben appuntito il calamo che scrive il racconto. Dopo l’ira furente del primo movimento, l’Andante sostenuto e l’Un poco allegretto e grazioso centrali instradano i complessi del Regio verso la ricerca di sonorità più gentili, vaporose, in cui poter ammirare il canto solistico dell’oboe che si staglia sul caldo velluto dei corni nel secondo movimento o il melodiare del clarinetto, supportato da fagotti e violoncelli nel terzo. Quindi l’Adagio – Allegro non troppo, ma con brio conclusivo, che in un moto quasi inarrestabile e irruento cavalca l’onda di un energizzante crescendo per giungere all’ebrezza di quel tema che ricorda tanto l’ultimo movimento della Nona e invoglia il pubblico a tributare un trionfo di applausi.