L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Notti di fuoco

di Antonino Trotta

Ospiti dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, Vincenzo Milletarì e Valentina Lisitsa si incontrano per un elettrizzante concerto votato al repertorio russo.

Milano, 16 gennaio 2022 – Giunta alla ribalta dalla porta laterale del web, Valentina Lisitsa è una pianista pressoché unica nel suo genere: virtuosismo sfrenato e potenza propria di chi il sacro fuoco dell’arte l’alimenta a suon di legna siberiana, Valentina Lisitsa si muove in un repertorio che va da Bach a Einaudi con una musicalità all’apparenza sempre spontanea, in cui talvolta l’istintività si trasforma in impulsività, il tecnicismo in sfrontatezza; una musicalità capace ora di dar luogo a momenti di grandissima finezza, ora di perdersi i passaggi licenziati senza troppa importanza. A distanza di sette anni da quel secondo concerto di Prokof'ev che qui suonò diretta da Zhang Xian, Valentina Lisitsa ritorna ospite – in sostituzione della prevista Lilya Zilberstein – dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, diretta da Vincenzo Milletarì – anch’egli in sostituzione di John Axelrod –, per affrontare il celeberrimo primo concerto per pianoforte e orchestra di Čajkovskij – a cui Lisitsa ha dedicato, in occasione del 125° anniversario della morte, l’integrale delle opere per pianoforte, edito Decca –.

Tra le mani della pianista ucraina Čajkovskij risuona imponente, percezione questa che s’impone fin dalle prime battute d’apertura. Su quel gran coda targato Fabbrini che chiede clemenza – salta pure qualche corda, a metà del primo movimento e a metà del secondo – Lisitsa affonda gli accordi d’apertura all’Allegro non troppo e molto maestoso con potenza inaudita – in generale accentuata anche da una pedalizzazione non centellinata –, quasi sovradimensionata rispetto all’incedere regale che qui si vorrebbe. Superata la cadenza iniziale, dissipata a onor del vero tra note sporche e sonorità esplosive, il virtuosismo marziale di Lisitsa instrada il resto del primo movimento verso una lettura di Čajkovskij autoritaria che poco spazio concede a sdolcinate divagazioni, anche là dove la scrittura si intenerisce e attenua. Così le ottave, per velocità e potenza, suonano come autentiche folgori, la sezione dell’Allegro con spirito procede perentoria nei suoi marcatissimi accenti, gli arabeschi della cadenza non illanguidiscono il taglio vigoroso del concerto e, così come s’è aperto, il movimento si chiude con un’arringa d’accordi di carattere militaresco. Nell’Andantino semplice Lisitsa gioca le sue carte migliori: se da un lato il tocco conserva ancora tratti di spigolosità nell’affermazione di quel canto onirico e ispirato, con un suono venato da lame metalliche e mai rotondissimo, dall’altro la superlativa fluidità d’articolazione, messa ora a servizio di un pianismo in punta di fioretto, leggiadro e fulmineo, dà lei modo di creare, nel Prestissimo, un caleidoscopio di colori e effetti che rende alla parte dello Scherzo i migliori onori. Pagine sventolanti marchiate “con fuoco” stanno alla Lisitsa come un drappo rosso dinnanzi a un toro: ecco allora che il movimento conclusivo avanza inarrestabile e tumultuoso, con Lisitsa che divora vorace tutto il margine di respiro concesso dal direttore Vincenzo Milletarì alla guida di laVerdi. Tra le forze in gioco c’è qui un’elettrizzante alchimia, come se l’uno consegnasse all’altra un’idea non da riproporre identica, ma da arricchire e sviluppare. Succede, ad esempio, col secondo tema, che Milletarì scandisce con fare delicato e trasognante; Lisitsa lo accoglie e lo rinvigorisce con disincantata euforia, poi l’orchestra rientra come un fiume in piena, per un Allegro con fuoco conclusivo letteralmente al fulmicotone. Trionfalmente festeggiate, Valentina Lisitsa concede anche tre bis: l’intensissimo preludio op.3 n.2 di Rachmaninov, quindi la brillante trascrizione di Il desiderio della fanciulla di Chopin-Liszt e il valzer op. 34 n.1 di Chopin.

Non meno applaudito, il giovane Vincenzo Milletarì, alla guida dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi in eccellente spolvero, si rivela bacchetta interessante e matura. Nell’ouverture su temi popolari russi e circassi di Šostakóvič sfoggia, oltre a un ottimo controllo dei complessi, un ampio spettro di dinamiche e colori che, pur nello slancio ritmico serrato con cui i frammenti danzerecci dell’ouverture sono scanditi, permette lui di conservare il sapore folkloristico e “locale” di queste pagine. Istrionica, viva, non eccessiva e mai priva di senso drammatico è infine la suite da L’oiseau de feu di Stravinskij, nella versione del 1919. Quella di Milletarì è una direzione spigliata, sempre attenta alle suadenti alchimie timbriche, grandiosa e tonitruante sì nell’attesissima Danza infernale, ma anche capace di imprimere all’orchestra immateriale leggerezza – nelle Variazioni, ad esempio – e debordante lirismo così da esaltare la beltà delle perle melodiche – come l’ipnotica Berceuse che poi conduce direttamente al luminosissimo finale – racchiuse nella partitura.

Lo straordinario viaggio di un violoncello di ghiaccio che per incanto suona. Lo strumento, realizzato dallo scultore Tim Linhart, attraversa l'Italia per interagire al Teatro Politeama con l'Orchestra Sinfonica Siciliana nella prima esecuzione mondiale di una partitura originale per Ice-cello e orchestra d'archi, opera di Giovanni Sollima.


 

 

 
 
 

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