Musica condivisa
di Roberta Pedrotti
Il festival Trame sonore raggiunge i dieci anni di vita e, con la sua quantità impressionante di mini concerti e programmi componibili nei più bei luoghi di Mantova, si conferma un'esperienza da non perdere per immergersi nel senso di comunità della musica e nelle ragioni insondabili che ci spingono a fare e amare l'arte.
Mantova, 1-5 giugno 2022 - Sono dieci anni che a Mantova si intessono Trame sonore, mini concerti (quest'anno centocinquanta, ma forse di più) in genere della durata di circa mezz'ora dislocati nelle sale di Palazzo Ducale, Palazzo Te, Teatro Bibiena, piazza e basilica di Santa Barbara, biblioteche, gallerie d'arte, giardini e palazzi storici anche privati. Una serie di fili conduttori ci conduce in un intreccio che ha come cardine la musica da camera, ma non disdegna l'oratorio, il sacro, il canto anche operistico, la sinfonia, l'antico e il contemporaneo. Alcuni appuntamenti sono a ingresso libero, altri hanno un biglietto specifico, altri ancora sono compresi nell'ingresso ai musei, ci sono formule di abbonamento, pass per i sostenitori, i musicisti, la stampa, i collaboratori (fra cui molti volontari).
Più che descriverlo, però, sciorinando dati, titoli, nomi, cifre, ma per un festival come questo sono altre le considerazioni da fare, perché è l'atmosfera vissuta ciò che conta e trascende perfino l'idea del concerto tradizionale e della recensione specifica. Si tratta, in effetti, di un'immersione quasi bulimica nella musica, assorbita fisicamente mentre le gambe si muovono da un luogo all'altro (la città è piccola e le distanze brevi, ma nel dedalo di Palazzo ducale di possono macinare chilometri), il corpo suda, respira, vibra con i madrigali di Giaches de Wert o con gli esperimenti vocali di John Cage, con i quartetti di Haydn, con le arie di Spontini e Méhul, con Mozart, Brahms, Bartók, Čajkovskij o Šostakóvič. Accostamenti che difficilmente si incontrano, e ancor meno con questa frequenza, con questa presenza fisica completamente libera da sovrastrutture e che quindi ci porta a considerare paralleli, legami, contrasti, affinità magari impensati fino a quel momento. Si entra nella musica, senza pensarci troppo. O spinti a pensare in modo diverso.
Per esempio, ci chiediamo più volte “perché”. Perché tutti questi esseri umani non si sono appagati di nascere, crescere, nutrirsi, ripararsi dalle intemperie, in qualche caso accoppiarsi e talora riprodursi, ma hanno pensato di scrivere musica, di scrivere versi, drammi, dipingere affreschi, edificare palazzi, suonare, cantare, dirigere, elaborare, ascoltare (anche in piedi con temperature tropicali), ragionare, scrivere di musica. Perché? In termini pratici tutto questo non ha senso, non ha utilità, eppure siamo in tanti a non poterne fare a meno e ce ne stupiamo gioiosamente insieme.
Infatti, l'altro elemento fondamentale che s'intreccia alle trame sonore è quello della comunità, dell'unione delle persone che condividono questo bizzarro “perché?”. Come si è evidenziato anche nella candidatura Unesco del Canto lirico come bene immateriale dell'umanità, le arti dei suoni non si limitano a chi questi suoni li produce e a chi prescrive quali suoni debbano essere: la musica è una galassia di rapporti e, francamente, diffidiamo da chi di arrocca su separazioni di ruoli e incomunicabilità fra critica e artisti. Fatta salva l'imprescindibile onestà intellettuale sottesa a ogni rapporto sano, condividiamo la stessa passione, la stessa aria, siamo la stessa comunità. L'artista si esprime per qualcuno, il critico e il pubblico hanno bisogno dell'artista, ma non solo nel momento della performance, chi sul palco e chi seduto dall'altra parte. C'è bisogno di un confronto di punti di vista ed esperienze, facciamo cose diverse per la stessa arte. Qui, dove chi non suona o canta va ad ascoltare i colleghi, dove si frequenta tutti gli stessi luoghi e convivi, si annullano le differenze di ruolo come confini e le si trasformano in fonte di arricchimento, dialogo e complessità. Siedi accanto a un direttore d'orchestra per ascoltare Mozart, segui un master di Alfred Brendel con uno strumentista storicamente informato, pranzi o prendi un caffè con gente di musica, non importa se per lavoro, e quale lavoro, o esclusivo diletto.
E non si tratta solo di vivere la musica così liberamente e dall'interno, ma di vivere anche i luoghi d'arte. Palazzo Te e Palazzo Ducale (come le altre sedi delle Trame) infatti non ci appaiono più come musei da visitare con calma e reverenza, ma come luoghi abitati. Addirittura, attraversiamo a lunghe falcate, come corridoi di casa, le sale affrescate, fra un Rubens e un Giulio Romano, per raggiungere in tempo la sala del prossimo concerto; oppure, se c'è più tempo, ciondoliamo pigri con priapi, ninfe, satiri, eros ammiccato ed esplicito di una signoria gaudente, con le raccolte archeologiche ereditate da nobili e collezionisti.
E, tuttavia, il lettore avrà ben ragione di voler sapere cosa abbiamo ascoltato in queste folli giornate, meritano di essere citati gli artisti, lo si deve anche a chi ci ha fornito il pass stampa (va bene la comunità, va bene che il nostro è un lavoro meraviglioso, però, non è una vacanza!). Ecco dunque la nostra folle carrellata. Il primo giorno, 1 giugno, si è tenuta una tavola rotonda coordinata da Angelo Foletto sul nuovo disegno di legge per i lavoratori dello spettacolo (da citare l'intervento di Gemma Bertagnolli per le piccole realtà), a seguire le variazioni anche vocali sulle Variazioni Goldberg da parte del Duo Dragonfly (Danusha Waskiewicz, viola, e Naomi Berrill, violoncello) e l'Ode per il giorno di Santa Cecilia di Händel nella rielaborazione di Mozat con un eccellente trio vocale (Giulia Bolcato, Leonardo Cortellazzi e Mauro Borgioni). Per la Festa della Repubblica, Alexander Lonquich ci propone un vero tour de force sopperendo anche come solista all'assenza di Ian Bostrindge, risultato positivo al Covid. Suona Schumann, ma anche un bei programmi fra Nadia Boulanger e Samuel Barber con il violoncellista Nicolas Altstaedt, fra Saint-Saëns e Brahms con il figlio Tommaso. Il tenore Blagoj Nacoski tiene due recital liederistici (uno dedicato a Reynaldo Hahn e uno ai testi di Goethe) con Luca Ciammarughi al pianforte. Fra l'uno e l'altro c'è tempo per ascoltare musica sacra alternando Monteverdi e Pärt con Anna Simboli, soprano, Francesco Moi, organo, e il coro Ricercare Ensemble. Riccardo Pisani, in serata, ci darà modo con Giovanni Bellini alla tiorba e Francesco Cera al cembalo di godere del repertorio di Francesco Rasi, primo Orfeo di Monteverdi proprio in queste stesse sale di Palazzo Ducale. Nulla di meglio, poi, che chiudere la giornata con Bela Bartók e il Kelemen Quartet nella torrida Rotonda di San Lorenzo, con brindisi a seguire – per la cronaca, nonostante l'ora e il clima, il novantunenne Alfred Brendel è ancora lì in prima fila!
Il mattino seguente, per la conversazione all'aperto con caffè che apre ogni giornata, il previsto Francesco Maria Colombo ha un contrattempo e si risolve allora con un brillante duetto fra Alberto Mattioli e Gemma Bertagnolli. Poi, via, subito a Palazzo Te, ché il soprano Judith van Wonroij propone un programma imperdibile (per noi amatori del genere) di rare arie francesi a cavallo fra Sette e Ottocento. Lì conviene fermarsi, perché il RossoPorpora ensemble di Walter Testolin offre un programma di madrigali di Wert, Marenzio e Monteverdi che promette molto ma mantiene anche di più (Tasso musicato dal fiammingo è davvero abbacinante). Poi c'è Haydn con il giovane Moser String Quartett e tre pezzi incompiuti (ancora Haydn, poi Webern e Schubert) con l'ottimo QuartettOCMantova. Rientrando in centro, alla Biblioteca Baratta, Sono Takuda al violino e Stefano Marcocchi alla viola combattono con successo per rendere Stamitz e Mozart nonostante l'umidità (sta piovendo, siamo nel chiostro) e il caldo che complicano assai la vita alle corde di budello. Difatti, il giorno dopo, quando i due tornano con gli stessi autori e il fortepiano di Francesco Moi nel palazzo d'Arco dove Mozart fu ospitato, sul finire del Trio Kagelstatt K 498 una corda del violino decide di abbandonarci con fragoroso botto. Il bello della diretta, si sarebbe detto una volta: si cambia la corda e si riprende il movimento, bis imposto ma graditissimo, ché l'esecuzione è ottima e il pezzo splendido. Venerdì sera, frattanto, ci eravamo divertiti con le sorprendenti associazioni proposte da Laura Catrani e dal cembalista Claudio Astronio, da Barbara Strozzi fino al pop inglese degli ultimi anni. Quindi, tutti in piazza, perché Umberto Benedetti Michelangeli dirige un bel concerto con l'Orchestra da Camera di Mantova con un brano di Maria Bonzanigo e l'Incompiuta di Schubert.
Sabato si prende il caffè d'apertura con Luca Ciammarughi, per discutere dell'importanza dei dati biografici, della personalità (e quindi di quanto concerne anche la sfera sessuale) degli artisti in rapporto alla loro arte, specie quando questo aspetto della vita è nascosto, oggetto di pregiudizi e limitazioni sociali. Quindi, saltiamo ancora da Takuda, Marcocchi e Moi, poi ancora da Catrani, questa volta a cappella da Hildegard von Bingen ai giorni nostri di fronte (e la reazione calorosissima del pubblico commuove l'artista). Il tempo di una doccia – una delle tante che il clima di questi giorni impone quotidianamente – e siamo ad ascoltare il giovane e interessantissimo Quartetto Werther confrontarsi con Alfred Brendel sull'interpretazione di Schumann. Poi, in una sala di Manto affollata e arroventata, l'Ottetto dei Berliner Philharmoniker fa furore con Schubert; di passaggio assaggiamo in piazza le Quattro stagioni di Vivaldi alterate in un progetto di denuncia dei cambiamenti climatici (eh sì, non ci sono più le mezze stagioni, e nemmanco quelle intere...) per poi buttarci con decisione su Veress e Kodály suonati da Reto Bieri (clarinetto), Barnabás Kelemen (violino), Lawrence Power e Katalin Kokas (viola) e Nicolas Altstaedt (violoncello). Ancora una splendida conclusione. Domenica, ahimé, il faut partir. Ma c'è tempo per un salto al Palazzo Ducale per un bel quintetto di Šostakóvič con Riccardo Lui e Tim de Vries (violino), Álvaro García Ros (viola), Alejandro Viana (violoncello) e Cesare Pezzi (pianoforte). Quindi, prima di correre in stazione, al Teatro Bibiena per i violini di Ilya Gringolts e Barnabás Kelemen, la viola di Lawrence Power e il violoncello di Nicolas Altstaedt fra Veress e Schönberg.
Si sarebbe voluto non finisse mai, ma è anche giusto così. Appuntamento all'anno prossimo, per essere comunità, per chiederci insieme perché.