Nonostante la Storia
di Mario Tedeschi Turco
Grande successo a Verona per un concerto d'intensissima densità poetica con Strauss e Beethoven diretti da Daniele Gatti sul podio dell'Orchestra Mozart.
VERONA 30 settemrbe 2022 - Terza tappa della tournée in corso, dopo Ferrara e Salerno l’Orchestra Mozart giunge a Verona per il «Settembre dell’Accademia», come sempre al Teatro Filarmonico. Il programma ha proposto Metamorphosen di Richard Strauss nella prima parte e l’Eroica di Beethoven in chiusura, in rapporto intertestuale di gemmazione invertito, com’è evidente, secondo un’idea certo non inedita, ma che negli attuali tempi di tragica tensione internazionale ha risuonato con una plastica, drammaticissima aura espressiva. La serata veronese ha ribadito l’eccellenza della compagine dell’Accademia bolognese, che con questa serie di concerti tra l’altro principia un’integrale delle Sinfonie beethoveniane che si concluderà nel settembre 2024: eccellenza di strumentisti di primo livello, certo, che nelle parti reali del brano di Strauss hanno potuto spiccare con rilievo scultoreo, ma altresì compagine di esemplare compattezza e affiatamento anche con l’espansione di organico necessaria per la Terza, laddove legni e ottoni hanno celebrato autonomi trionfi vuoi nell’esattezza degli attacchi, vuoi nel nitore delle linee di contrappunto, ovvero nella resa complessiva dell’intenzionalità sonora, estremamente varia nei colori, nelle escursioni dinamiche, nella contrapposizione dialettica dei diversi volumi architettonici della monumentale campitura. Alla guida del complesso, Daniele Gatti ha ribadito ancora una volta le sue doti di concertatore e direttore: dotato di uno dei gesti più belli che si possano vedere oggi, fatto di anticipo costante, complessione ritmica ferrea, eleganza suprema nei suggerimenti espressivi, Gatti ha messo in rilievo, in Strauss, il tratto evolutivo dei materiali musicali, scandendo il contrappunto con un carico di pathos sempre controllato, che di tra gli echi wagneriani e le autocitazioni palesi o riposte, sempre fanno ritorno al frammento della Marcia funebre di Beethoven, scelta dal compositore quale vettore di senso fatale che scandisce la fine della Germania e di un’idea di Europa e civiltà al tramonto definitivo. La qualità dell’orchestra, come detto, ci mette del suo, i 23 archi totalmente assorbiti dalle volute sonore, lo sguardo fisso nei segni cifrati dalle braccia e dal volto del direttore, che domanda e ottiene più distensione elegiaca nella sezione centrale, e invece il massimo della tensione nel Sol acuto dei violini, un attimo prima del precipitare nella tenebra del finale. Un’esecuzione ideale da ogni punto di vista, che ha lasciato il pubblico veronese visibilmente scosso, al termine, in un modo che solo l’ascolto collettivo, dal vivo, può davvero ottenere. Vito Levi ha scritto che in questo dolentissimo brano si ode tuttavia lo slancio di Strauss per una bellezza che allieti anche i sensi, ma nell’interpretazione di Gatti – in modo non dissimile da quanto aveva fatto Klaus Tennstedt a New York, in un concerto del 1983 disponibile in rete - ha risuonato assai più lo struggimento sofferente, senza consolazione possibile.
L’Eroica nella seconda parte della serata è giunta dunque come l’eco di un’epica un tempo possibile, di uno slancio vitalistico, diresti, nonostante la Storia. Gatti l’ha inteso proporre specialmente con il vigore del conflitto ritmico binario/ternario sulle vaste esposizioni accordali in controtempo (nell’Allegro con brio), con la tensione dinamica tra i pianissimo e i fortissimo nel secondo movimento, in generale con l’accuratezza dello sbalzo motivico che è stato fraseggiato come in una serie di scene teatrali, passando dagli archi ai legni, dal pizzicato alla fanfara, dettando gli sforzando solo dove necessari, trovando sempre un’orchestra attentissima alle sollecitazioni diverse di un raccontare, con la musica, le tensioni psichiche che soprattutto le variazioni mercuriali dell’ultimo movimento mettono in testo con tellurica forza espressiva. Un Beethoven forte, assertivo, in un’esecuzione di nobilissima tradizione che persino il corpo di Daniele Gatti ha reso grave di classico vigore. Si capisce dunque come al termine del concerto l’orchestra abbia tributato un calorosissimo applauso al suo direttore, che l’ha accolto non senza commozione: nessun bis, come più che giusto dopo una tale densità poetica.