Musica tedesca, animo giapponese
di Stefano Ceccarelli
All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia Kazuki Yamada dirige un pregevole e apprezzato concerto con musiche di Franz Schubert (Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore D 485) e Felix Mendelssohn-Bartholdy (Sinfonia n. 2 in si bemolle maggiore op. 52, “Lobgesang”).
ROMA, 27 novembre 2022 – Già da un primo ascolto i più attenti fra il pubblico avranno notato che Kazuki Yamada incarna l’erede perfetto della scuola giapponese di Seiji Ozawa; portamento austero, simpatia cordiale ma formale (così tipicamente giapponese), gesto elegante e composto della bacchetta. Yamada è uno dei migliori risultati di quell’attenzione vigile che l’Estremo Oriente ha nei riguardi della musica classica; interesse testimoniato dalla grande quantità di ottimi musicisti giapponesi o cinesi che si notano sempre di più fra le fila delle maestranze musicali europee.
Gli autori scelti da Yamada mettono decisamente in risalto le sue qualità naturali come direttore. Yamada possiede una notevole sensibilità per la purezza del suono orchestrale, unita a un buon senso agogico, che non sacrifica la freschezza del ritmo per una mera ricerca estetica sonora. Quello che voglio dire è che Yamada, oltre a badare a che i passaggi emergano tersi e limpidi, sa anche imprimere il giusto ritmo all’orchestra; non si tratta, certo, di un direttore irruento o ‘muscolare’, ma nemmeno di un esteta che ricerca una sonorità quasi fine a sé stessa. Tali caratteristiche sono perfettamente evidenti nella Quinta di Schubert. Sinfonia ‘cameristica’ per strumentazione e sonorità, la Quinta è un tripudio di melodie dolci e suadenti, come nel I movimento, l’Allegro, dove Yamada mette in risalto il dialogo zampillante fra archi e legni, conducendo lo sviluppo con raffinatezza. Placido scorre l’Andante, che ha il carattere di un corale protestante. Energico, dinamico il Menuetto, all’interno del quale Yamada scontorna un trio etereo; il finale Allegro vivace mostra quel talento ritmico di cui si diceva prima: Yamada dà prova di saper anche slanciare l’orchestra.
La seconda parte del concerto è dedicata alla Seconda di Mendelssohn, il “Lobgesang”, sinfonia corale, pubblica, monumentale, un tripudio alla cristianità riformata. La prima parte della Seconda, quella puramente orchestrale, è diretta da Yamada con agogica ieratica, atta a valorizzare il tema dal sapore profondamente religioso, che ne pervade la trama musicale fino alla fine. Lo sviluppo è condotto con energia, rigore e limpidezza sonora. Splendido l’Adagio religioso, che prelude all’ingresso del coro, “Alles, was Odern hat”, magnifico, sublime – e il coro dell’Accademia darà prova della sua bravura per tutta la serata. Le voci cantano imperiose le lodi divine e preludono all’ingresso del soprano I, parte qui sostenuta da Masabane Cecilia Rangwanasha, che con voce angelica, purissima, con emissione limpida e squillante, esegue un indimenticabile “Lobe den Hern”, dove la dolcezza eterea della sua voce incarna bene l’afflato del fedele a lodare il suo Dio. La Rangwanasha si distingue anche negli altri suoi interventi, cioè il duetto con Anna Hallenberg e quello con Werner Güra; splendida – val la pena notare – la sua messa di voce sulla frase a conclusione della prima aria del tenore, quando annuncia che “Die Nacht ist vergangen” (“la notte è passata”). La parte del tenore, appunto, è sostenuta da Werner Güra, che vanta una voce squillante e nerboruta, lievemente brunita: l’interprete canta “Stricke des Todes” con trasporto, sfumando la voce con trepidazione; il duetto con la Rangwanasha (“Drum sing’ich mit meinem Liede”) riesce, del pari, assai bene, di una drammaticità che si stempera nella dolcezza melodica. È Anna Hallenberg a sostenere la parte del soprano II, incantando la platea assieme alla Rangwanasha in un duetto di placida delicatezza. Il coro esegue la sua parte con intensità, ma anche dando prova di tocchi eterei, come nell’ingresso ‘a cappella’ di “Nun danket alle Gott mit Herzen”; monumentale il potente finale “Ihr Völker!”.
Il concerto è un successo, mercé anche l’eccellente performance orchestrale, la quale si dimostra fra le più valenti al mondo; il pubblico non può che applaudire calorosamente.