Il serto del Belcanto
di Antonino Trotta
Anna Bolena va in scena al Teatro Carlo Felice di Genova con un cast strepitoso che schiera cantanti del calibro di Angela Meade, John Osborn, Sonia Ganassi, Nicola Ulivieri e Marina Comparato: ottima la direzione di Sesto Quatrini, essenziale lo spettacolo di Alfonso Antoniozzi.
Genova, 27 febbraio 2022 – Ci sono occasioni in cui le ordinarie trasferte operistiche si trasformano in veri e propri pellegrinaggi capaci di riunire sotto lo stesso tetto melomani e addetti ai lavori provenienti da tutta la penisola: l’Anna Bolena del Teatro Carlo Felice è una di queste. A spiegare l’eccezionalità dell’evento si fa presto: cast migliore si fatica onestamente a immaginare.
In questa fetta di repertorio indicabile, così per coniare un’altra insulsa definizione, come belcanto drammatico – si pensi a Ermione, Norma, Il pirata, Lucrezia Borgia, le regine di Donizetti, ad esempio – Angela Meade «come il sol rival non ha». Ella è una macchina da canto che altalena tra il miracoloso e il portentoso: il tonnellaggio vocale equamente distribuito tra gravi rotondi e robusti – che nella tessitura di Bolena sono una vera dannazione – e acuti scagliati come prorompenti tuoni – dopo il do in chiusura del duetto con Percy, la signora seduta accanto a chi scrive ha esclamato «Oh mamma mia!» –, le agilità scolpite ovunque con eccitante intensità drammatica, i fiati e i legati lunghissimi che sottendono un canto capace di pianissimi e mezze voci ad ogni altezza sono solo alcune di quelle qualità che ogni volta inducono all’ascolto a bocca aperta, specie qui dove tutto concorre a una lettura quanto mai azzeccata del personaggio. Perché Anna Bolena non è né Stuarda né Elisabetta, è donna ancor prima che regina; la consapevolezza della corona si stempera nella fragilità di chi è costretta a fare i conti con sé stessa e la scrittura incendiaria cede sovente il passo all’involo patetico e malinconico: Meade eccelle nell’una e nell’altro. John Osborn come Riccardo Percy è l’altra punta di diamante del cast, degna risposta dell’universo tenorile a cotanta primadonna. Fluido, morbido, squillante, con un fraseggio ricco di colori sostenuto da un’emissione pressoché perfetta e da un virtuosismo sempre governato da contezza di stile e sovrana eleganza, Osborn affronta il difficilissimo ruolo creato da Rubini da autentico fuoriclasse qual del resto è. Su Sonia Ganassi, Giovanna Seymour veterana, c’è poi ben poco da dire: vocalista e interprete oggi si spalleggiano a vicenda cosicché la rivale possa imporsi al pubblico in tutti i suoi tormenti. Ottimo anche Nicola Ulivieri che con voce statuaria, disciplinata, nobile nell’emissione e perentorio nell’accento porta in scena un Enrico VIII arcigno e imponente. Fa benissimo Marina Comparato come Smeton, a cui giustamente si ripristina l’aria. Lodevole infine Roberto Maietta come Lord Rochefort. Manuel Pierattelli, Sir Hervey, completa infine il cast. Molto valida la prova del Coro del Teatro Carlo Felice istruito dal maestro Francesco Aliberti.
Alla guida dell’Orchestra Teatro Carlo Felice, Sesto Quatrini offre una bellissima concertazione che si sofferma e valorizza il sottotesto onirico del dettato musicale senza però rinunciare allo slancio marziale e pugnace dei momenti più concitati. Ci son però tanti taglietti, apportati molto probabilmente per evitare al pubblico una sovraesposizione alle meraviglie del Belcanto.
Lo spettacolo firmato da Alfonso Antoniozzi, con costumi di Gianluca Falaschi, scenografie di Monica Manganelli e luci di Luciano Novelli, è funzionale: se non funzionale al dramma, certamente funzionale alla fruizione della musica perché ci offre i cantanti – in questo caso, si ribadisca, che cantanti! – su un piatto d’argento, che poi è il proscenio. Della trilogia Tudor ideata da Antoniozzi, in effetti, Anna Bolena sembra la meno riuscita: la simbologia di cui è innervata la lettura registica, pur comprensibile in una narrazione dove accade poco e nulla, si vede ma non aggiunge nulla; la recitazione dei cantati, poi, è spesso ridotta ad avanti-indietro-avanti tra aria e cabaletta. Ma in un momento dove prove e recite sono ancora funestate dalla piaga del Covid – la locandina originale è stata stravolta tant’è che l’indistruttibile Meade ha cantato tutte le sere, arrivando a tenere anche 3 recite in 48 ore – il mancato lavorio attoriale è quasi comprensibile, per cui non ci crucciamo.
Resta, questa, un’Anna Bolena assolutamente memorabile.