L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

All'ombra del Vesuvio

di Luigi Raso

Torna al Teatro di San Carlo la produzione di Così fan tutte firmata da Chiara Muti, questa volta con la direzione musicale di Dan Ettinger. Se regia e concertazione danno adito a qualche distinguo, la serata è godibile e il cast risulta ben assortito con punte di eccellenza.

Napoli, 23 marzo 2022 - Dramma giocoso inafferrabile, enigmatico malgrado l’apparente astrazione geometrica del proprio abito; opera tesa fino allo spasimo che nel finale si scioglie in un liberatorio quanto amaro sorriso di (auto)commiserazione, ogni riproposizione di Così fan tutte costituisce l’occasione per interrogarci: sull’opera, su quel raffinato teorema in musica di Da Ponte e Mozart e, soprattutto, su quella umanissima “religione del perdono” che vede in Mozart il suo Pontifex Optimus Maximus.

L’ultima opera della trilogia Da Ponte - Mozart ritorna al San Carlo nell’allestimento firmato da Chiara Muti, che debuttò inaugurando la Stagione lirica 2018 - 2019. La ripresa ci induce a riflettere, riesaminando, alla luce del tempo trascorso, alcune impressioni che esprimeremmo nel 2018 (qui la nostra recensione).

Se la napoletaneità del Così fan tutte - quel sublime e malcelato omaggio che il salisburghese rende all’opera buffa partenopea - della messinscena firmata da Chiara Muti non è da ricercare nei giustamente non presenti riferimenti oleografici, ma semmai negli elementi scenografici di Leila Fteita che a Napoli rimandano, l’imago dell’ambientazione la rinveniamo nella presenza del mare, dei gozzi e nel richiamo a una collocazione en plein air, irradiata dalla luce mediterranea e animata da un vulcanico turbinio di movimenti tipico della metropoli alle falde del Vesuvio.

A riprodurre in scena quella inestinguibile vitalità caotica di Napoli (una premessa: chi scrive è napoletano, orgoglio di esserlo, pertanto anche nell’era della suscettibilità manifesta e conclamata nella quale viviamo non può essere tacciato di razzismo e/o di ogni altra nefandezza all’occorrenza invocabile!) vi sono mimi che affiancano e raddoppiano/triplicano i protagonisti, ma che, alla lunga, generano un senso di palpabile e superflua confusione nei movimenti. Questa preponderanza in scena di figuranti, il ricorso eccessivo a gag, frizzi e lazzi sono aspetti sui quali in occasione della messinscena del 2018 non ci eravamo soffermati, o perché ci avevano colpito di meno, o perché erano espressi in misura e intensità minore. L’interrogativo che ci ha accompagnati nel corso della serata alla fine resta tale. Tuttavia, non v’è dubbio che il riempire l’aspetto registico di mimi e gag punti a colmare l’assenza di trovate registiche originali e a compensare una drammaturgia scontata.

Questo Così fan tutte resta, ad ogni modo, uno spettacolo complessivamente godibile, che si giova delle belle scene di Leila Fteita, degli elaborati costumi settecenteschi di Alessandro Lai, dove tutto viene irradiato dalle luci di Vincent Longuemare che ben rendono le silhouettes riflesse sulla velo bianco del siparietto, come ombre uscite dalla lanterna magica. E proprio Lanterna Magica Chiara Muti definisce nelle note di regia la scena immaginata per questo Così fan tutte: un impianto scenografico dal quale promana un moto perpetuo. Un movimento continuo, con il connesso abuso nella duplicazione tra personaggi e mimi che in taluni momenti - come accade durante l’Aria di Fiordiligi "Come scoglio immoto resta" - si vorrebbe fermare o quantomeno rallentare.

Speculare alla propulsione vitalistica in scena è la concertazione di Dan Ettinger, dal prossimo anno Direttore musicale del San Carlo.

Se in occasione della Carmen proposta nel giugno del 2021 in Piazza del Plebiscito (qui la nostra recensione) ci colpì la sua lettura serrata e trascinante del capolavoro di Bizet, tuttavia, non mancammo di notare il compiacersi per alcune sonorità eccessivamente truculente. Impressione, quella di alzare l’asticella del volume orchestrale, che si ripropone in occasione di questo Così fan tutte.

La concertazione di Ettinger si mostra indubbiamente fascinosa nel suo procedere serrato; interessante sin dalla Ouverture, nella quale il direttore israeliano dilata la cesura agogica tra l’Andante introduttivo e il Presto che ne segue: l’alternanza tra tempi indugianti e altri estremamente sostenuti è una costante che ritroveremo nel corso dell’intera interpretazione. In definitiva, quella di Ettinger, è una lettura sicuramente suggestiva e originale, che fa ricorso anche a sonorità secche, chiaro riferimento a prassi esecutive filologiche, ad affondi fonici di ottoni e timpani che si stemperano nella levigatezza del Quintetto "Di scrivermi ogni giorno" e del Terzettino "Soave sia il vento"; tuttavia, la contrapposizione netta tra tempi eccessivamente indugianti (viene in mente il tempo estremamente rilassato staccato in "Per pietà, ben mio") e altri serratissimi (il Finale dell’Atto I e dei concertati in generale), l’accentuazione del carattere caricaturale del Quintetto "Sento, o Dio, che questo piede" attraverso l’uso di un tempo estremamente dilatato sono fattori che rischiano di slabbrare l’unitarietà del discorso musicale e drammaturgico dell’intera opera.

Ancora una volta sorprende, per pulizia, precisione e versatilità, l’Orchestra del Teatro San Carlo, perfetta nel creare quelle sonorità secche e fragorose che non rientrano nel novero dei colori tipici di un’orchestra consacrata al repertorio lirico e sinfonico. Una prova di grande affidabilità, dunque da parte dell’Orchestra e dalle sempre puntuali e raffinate prime parti (in particolare, primo clarinetto di Luca Sartori, primo flauto di Silvia Bellio, primo oboe di Hernan Garreffa). Benché la partitura gli riservi interventi limitati, la prova del Coro del Teatro di San Carlo diretto da José Luis Basso si contraddistingue per la consueta precisione e corposità vocale, per il bel colore dell’insieme, finendo così per impreziosire con i suoi apporti l’eccellente resa musicale della rappresentazione.

Molto bene assortito, e composto da cantanti-attori, è il cast vocale schierato in palcoscenico.

La Fiordiligi di Mariangela Sicilia si impone per qualità, colore e spessore dei propri mezzi, che le consentono di delineare una quindicenne psicologicamente già donna. Affronta con sicurezza le due meravigliose arie che la parte le riserva, incantando per ricchezza di armonici, appoggio sul fiato e dominio dell’emissione, doti tecniche che le consentono di scolpire una Fiordiligi carnale, moderna e sempre credibile.

Voce ben timbrata, intensa, dal volume ragguardevole e dalla linea di canto corretta sono gli attributi che incoronano la prova di Serena Malfi, impegnata nella parte di Dorabella: una dizione non del tutto scolpita e un fraseggio non troppo analitico le impediscono tuttavia di delineare una figura sensuale e lepida.

Alessio Arduini è un Guglielmo credibile e gagliardo, dal buono squillo vocale e interprete attento al fraseggio.

Il Ferrando di Maxim Mironov coniuga la perizia tecnica con una misurata dose di ardore mediterraneo da parte del tenore russo, italiano d’adozione. Mironov mostra la consueta linea di canto, limpida, stilisticamente sempre appropriata, farcendola di accenti e di fraseggio intarsiato da colori e nuances. Il peso specifico del volume vocale a tratti appare esiguo, ma la perfetta fonazione permette alla voce di viaggiare nella vasta sala del San Carlo.

È un vulcano di spiritosaggine e arguzia la Despina effervescente di Damiana Mizzi,ben cantata e, soprattutto, ben recitata.

Sacerdote sacro a Talia è Paolo Bordogna, il quale nel vestire i panni del puparo Don Alfonso ancora una volta ci dimostra cosa significhi essere attore-cantante (rigorosamente in quest’ordine!). Recita e canta, Paolo Bordogna, e muove i fili del finto peccato d’amor.

Le quasi quattro ore di durata dello spettacolo (intervallo incluso) non spengono il calore e l’entusiasmo del pubblico che, benché non numeroso, al termine decreta un successo convinto per tutti gli artefici dello spettacolo.Napoli, Cos' 


 

 

 
 
 

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