L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il dissoluto punito

di Stefano Ceccarelli

L’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) apre la stagione 2022/2023 con Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart in forma di concerto.

ROMA, 17 ottobre 2022 – L’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) apre la stagione in maniera ambiziosa: un Don Giovanni in forma di concerto, con maestranze che, pur non essendo di grido, donano una vivida lettura della partitura. Il direttore è il giovanissimo e talentuoso Enrico Saverio Pagano, che guida la ‘sua’ Orchestra da camera “Canova”, da lui stesso fondata. Caratteristica di direttore e corpo orchestrale è quella di essere, anagraficamente, giovani: una realtà fresca e intellettualmente vivace.

La direzione di Pagano è di quelle che rimangono impresse. Accelerazioni improvvise, energia vivida, quasi un galoppo, tutte caratteristiche che conferiscono alla partitura di Don Giovanni una freschezza seducente. Tutti questi elementi appaiono già nell’esecuzione dell’ouverture, dove Pagano esalta i contrasti mozartiani, le accelerazioni, giocando sui passaggi fra una struttura e l’altra con grande disinvoltura. Già dall’ouverture, peraltro, sembra di essere immersi quasi in un concerto barocco: la “Canova”, infatti, è essenzialmente un’orchestra barocca nei numeri, fornendo una resa inevitabilmente ‘baroccheggiante’ della tessitura orchestrale del Don Giovanni, tale che se ne possono cogliere particolari usualmente meno nitidi in esecuzioni a grande orchestra. Tornando a Pagano, la sua lettura è coinvolgente e trascinante, specialmente nei momenti corali come il finale del I e del II atto. In particolare, ben riuscita è l’esecuzione del complesso passaggio poliritmico del finale I, dove si sovrappongono nella partitura ritmi di danze differenti, espediente atto a suggerire l’incipiente catastrofe, cioè il tentativo di stupro ai danni di Zerlina perpetrato da Don Giovanni. Unica pecca della direzione di Pagano è proprio l’essere troppo irruento, il non saper rallentare ove necessario, in alcuni punti dell’opera; mi riferisco soprattutto ai passaggi maggiormente eterei, come il terzetto delle maschere che precede il finale I («Protegga il giusto cielo»). Al netto di ciò, in ogni caso, Pagano dona una lettura personale, concertando piccoli passaggi dal sapore barocco nei recitativi, che donano un’accattivante vitalità a questa versione del Don Giovanni, sostanzialmente basata sull’edizione praghese.

Vittorio Prato interpreta un Don Giovanni vocalmente pieno e centrato in tutta la gamma del registro; la voce, squillante e brunita, è quella opportuna per il ruolo, che necessita di sensualità e virilità, senza obliare una vitalità luciferina. Fra i momenti migliori citerei il duetto con Zerlina, «Là ci darem la mano», la spumeggiante aria «Fin ch’han dal vino», la dolce canzone «Deh vieni alla finestra, o mio tesoro!» e il finale II, dove Prato si mostra stentoreo e deciso. Se proprio si deve guardare, come si suol dire, il pelo nell’uovo, forse Prato si affida troppo a una maniera di interpretare Don Giovanni – con tutti i vezzi vocali annessi – che, oggi, potrebbe essere rivista e personalizzata. Giacomo Nanni canta un Leporello dal fraseggio splendido, ricco di sfumature, le più varie; il suo problema è il volume della voce, che gli impedisce di svettare nei momenti in cui il ruolo lo impone, come taluni interventi nei concertati. Ciononostante, Nanni scontorna un Leporello riuscito, soprattutto nell’originalità delle soluzioni e nei colori vocali, i più vari che si possano immaginare. In tal senso, Nanni regala momenti indimenticabili come la celebre aria «Madamina, il catalogo è questo» o l’attacco della scena della statua («O statua gentilissima»). La Donna Anna di Sabrina Cortese ha nel volume vocale e nel fraseggio il suo punto di forza; peccato, però, l’emissione nel registro acuto, sovente troppo dura. Della sua performance, che cresce d’intensità nel corso della serata, è bene ricordare il momento probabilmente migliore, l’aria «Non mi dir, bell’idol mio», meglio eseguita rispetto alla più energica «Or sai chi l’onore», dove la Cortese eccede troppo, forse, nella potenza vocale; negli assiemi, invece, fa sempre bene. Il Don Ottavio di Marco Ciaponi, dotato di una voce chiara, squillante e centrata, si scopre soprattutto nella sua aria, «Il mio tesoro», che canta a fior di labbra, con fraseggio sicuro, colori e potenza vocale, tanto da meritarsi l’applauso forse più sonoro dell’intera serata. Michela Guarrera canta una Donna Elvira vocalmente centrata, ma lievemente incolore in qualche passaggio; come nel caso della Cortese, anche la sua performance cresce d’intensità nel corso della serata, regalando momenti interessanti, soprattutto nei passaggi in fraseggio e negli assiemi. Smagliante, centrata, accattivante la Zerlina di Giulia Bolcato. La cantante può far leva su una voce argentina, intonatissima, facile ai passaggi di registro, che le consente di leggere vivacemente la parte di Zerlina. Basti, in tal senso, citare l’interpretazione dell’aria «Batti, batti, o bel Masetto» o di «Vedrai, carino», ambedue ricche dei colori di smaliziata sensualità, consoni al carattere. Il Masetto di Matteo Mollica è buono, soprattutto nell’interpretazione, anche se forse il ruolo non rientrerebbe nella sua naturale tessitura; momenti in cui si lascia apprezzare, comunque, ci sono, come nella stizzita «Ho capito, signor sì!». La cavernosa voce di Salvo Vitale rende assai bene, soprattutto, la parte del fantasma del Commendatore. Infine, il coro del Gruppo Polifonico Josquin Desprez canta bene quel poco di parte prevista da Mozart.

In conclusione, la IUC proporne al suo pubblico un’apertura fra le più interessanti degli ultimi anni; un’operazione pienamente riuscita, che trova nella lettura del direttore e nell’interpretazione di alcune voci i maggiori meriti artistici.


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