Esodo, oggi
Moïse et Pharaon a Lione vanta un ottimo cast internazionale di rossiniani provetti e la regia accurata e intelligente di Tobias Kratzer.
Lione 22 gennaio 2023. Ci sono poche possibilità di ascoltare alcuni titoli di Gioachino Rossini, come di altri compositori: quindi, se si presenta l'occasione, non si dovrebbe perderla. L'Opéra de Lyon ha svolto negli ultimi anni un lodevole lavoro per recuperare questi e offrirli sul suo palcoscenico e successivamente, e in versione da concerto, principalmente sui palcoscenici della città dianche a Parigi. A questo lungo elenco possiamo aggiungere Moïse et Pharaon ou Le passage de la Mer Rouge, opera in quattro atti rappresentata per la prima volta nel 1827, che è l'adattamento francese di Rossini di Mosè in Egitto, rappresentato per la prima volta a Napoli nel 1818 e che Stendhal citò e lodò nel suo libro La Vie de Rossini. Per la versione parigina, Rossini era accompagnato da Étienne de Jouy (futuro librettista di Guillaume Tell, titolo che è andato in scena anche recentemente in questo teatro) che si è basato sul testo di Andrea Leone Tottola, mutando, tra l'altro, alcuni nomi come Aronne, che qui divenne Éliézer o Elcia che cambiò il suo nome in Anaï. L'ampliamento della partitura e la sua revisione include, con brani nuovi, anche pagine da opere precedenti come Bianca e Faliero e Armida.
L'evidente difficoltà di mettere in scena titoli come questo è testimoniata dalla sua lunghezza, dalla difficoltà di formare cast che rendano giustizia a personaggi che offrono poche soddisfazioni solistiche (qui possiamo evidenziare come notevoli l'aria virtuosa di Anaï o quella accorata di Sinaïde) e un'azione per lo più corale. Nel riprendere la vicenda dell'uscita degli ebrei dall'Egitto, Rossini si è addentrato ancor più, dopo Le siège de Corinthe e prima di Guillaume Tell, nello stile "alla francese", approfondendo temi politici su larga scala e cercando di introdurre innovazioni musicali e drammatiche. È proprio in questo approccio politico che il regista tedesco Tobias Kratzer - che qui ha messo in scena Guillaume Tell nel 2019- ha sviluppato la sua idea scenica, chiedendosi se gli esili e le migrazioni si sono davvero fermati dal tempo mitico dell'esodo. O è un dramma perenne che si sta attualmente vivendo? I costumi e le scenografie di Rainer Sellmaier collocano la scena nel nostro tempo all'interno di un palazzo, con un palcoscenico diviso in un campo profughi da un lato e opulenti uffici di uomini d'affari e politici nell'altro: realtà diverse. La figura di Mosè che compare sulla scena è un personaggio d'altri tempi, capo e guida spirituale dei profughi - o israeliti - e inizia così l'interazione, a distanza tra questi due mondi, un'idea ben realizzata e lavorata per Kratzer, complice l'utilizzo di trasmissioni audiovisive, social network, schermi televisivi con notizie e scene di distruzione per fenomeni naturali, una sorta di messaggio sui problemi climatici che minacciano il mondo, ideato da Manuel Braun. Gli ampi balletti, immancabili in un grand-opéra, erano in stile contemporaneo con movimenti e coreografie eleganti e attraenti di Jeroen Verbruggen; buona l'illuminazione scenica di Bernd Purkrabek. Due scene molto ben realizzate dal punto di vista sono state l'imbarco degli ebrei con giubbotti arancioni e lo squarcio del Mar Rosso realizzato su un sipario con un effetto di grande impatto e ingegno. Non si può non menzionare il contributo dei membri del coro dell'Opera di Lione per la loro performance vocale, così importante in un'opera come questa, e per la loro partecipazione attiva durante tutta l'opera. La scena e il coro finale si svolgono in sala coinvolgendo il pubblico, idea non nuova ma davvero suggestiva.
Il cast vocale è stato guidato dal basso Michele Pertusi, che si è distinto per esperienza, padronanza dei suoi mezzi e di questo repertorio. Il basso-baritono Alex Esposito incarnava un Pharaon energico e malvagio con una voce profonda e potente. Da parte sua, il mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaya è piaciuto per la sua performance, il colore cupo della sua voce, la sua presenza scenica e la delicatezza con cui si è mossa con la sua aria accorata. Il soprano Ekaterina Bakanova ha fornito la flessibilità e la pirotecnica vocale richieste da Rossini e una buona performance recitativa. Il tenore Ruzil Gatin ha reso con naturalezza il suo Aménophis, come fosse fatto per il suo tono e timbro vocale, di gradevole colore e qualità che ben si adatta allo stile del canto rossiniano. Corretti erano il tenore Mert Süngü nei panni di Eliézer, così come Alessandro Luciano nei panni di Aufide e Laurène Andrieu in quello muto della principessa siriana Elégyne. Non si può prescindere dal contributo dell'affidabile basso baritono Edwin Crossley-Mercer e del mezzosoprano Géraldine Chauvet che ha contribuito e mostrato la sua esperienza vocale e recitativa e la loro radiosa presenza quale Marie: questi, gli unici cantanti francesi del cast, in un grand opéra e in un teatro francese di primo livello.
A guidare l'orchestra era Daniele Rustioni, direttore musicale del teatro, che ha mostrato maestria e perizia nel concertare la partitura, trovando coesione tra tutte le forze musicali, con drammaticità e quel particolare gusto che emana dalla musica di Rossini, anche dalle sue opere serie e drammatiche .