Quando il cast fa la differenza
Un Teatro del Giglio gremito accoglie Le nozze di Figaro nell’ideazione scenica di Massimo Gasparon. Al cast il merito di aver dato il meglio per la riuscita complessiva dello spettacolo.
LUCCA 28 gennaio 2023 – Dopo il Don Giovanni dello scorso ottobre, il cartellone del Teatro del Giglio di Lucca prosegue con un altro titolo dell’amata trilogia mozartiana, Le nozze di Figaro, qui riproposte nell’allestimento del Teatro Sociale di Rovigo e in coproduzione con i teatri di Livorno e Pisa.
L’ideazione scenica – regia, costumi, scene e disegno luci – porta la firma di Massimo Gasparon, che propone una visione fin troppo essenziale dell’opera: se la scena del primo atto ha degli elementi di interesse, come l’evidente richiamo all’allestimento scaligero di Strehler del 1981, e gli interventi con la bianchissima luce cruda (quasi nel segno di La voix humaine) potevano avere delle applicazioni interessanti, il messaggio che si vuole veicolare al pubblico fatica a decollare. Anche nell’ambito della regia l’obiettivo non è ben centrato; è pacifico che quella del regista debba essere una “mano invisibile”, ma in questo caso le idee sembrano non arrivare a un maturo sviluppo, accontentandosi di un eccesso di gag slapstick che nel teatro mozartiano sono possibilissime, ma devono essere dosate con maggior cura.
Ciò che rende difficoltoso lo spettacolo, tuttavia, è la direzione di Jacopo Sipari di Pescasseroli. Prendendo in considerazione il quadro generale bisogna riconoscere che ci sono in campo delle buone idee e talvolta anche ben realizzate (è il caso dei finali del secondo e quarto atto), ma non sempre è garantito il giusto supporto al canto. L’inevitabile risultato è che si verifichino degli scollamenti tra palco e buca, mai gravi ma numerosi e frequenti. Mozart è un meccanismo micidiale che, se da una parte fornisce comunque una certa libertà di interpretazione, dall’altra ha delle precise regole che non possono essere aggirate. In sintesi il risultato non è malvagio ma solo molto sporco, cosa che può ancora permettere di funzionare a Verdi o Puccini, ma in Mozart dà un certo fastidio. Da segnalare anche alcuni tempi decisamente lenti, come nelle due arie della Contessa o nella seconda aria di Susanna. Le interpreti sono riuscite a sostenere le velocità staccate da Sipari, ma bisognerebbe avere più oculatezza nella scelta dei tempi.
Anche l’Orchestra della Toscana stranamente non sembrava in gran forma: in linea di massima è stata piuttosto adeguata alla situazione, ma si è ritrovata spesso a indugiare in una certa pesantezza poco consona al titolo e a incorrere in imprecisioni di intonazione abbastanza sciocche, ad esempio il do nelle terzine delle trombe alla fine del "Farfallone amoroso". Come prima, non si tratta di nulla di veramente grave, ma dispiace non trovare l’ORT al consueto livello cui ci ha abituati.
Tasto dolente in modo particolare, i tagli. Posto che i tagli in Mozart non siano mai ammissibili né scusabili, bisogna dire che quelli operati ai recitativi tutto sommato hanno funzionato bene a parte qualche taglio selvaggio che ha creato scompensi e svarioni a livello di continuità narrativa; nel caso del recitativo prima della Marcia del terzo atto sono state omesse troppe cose, ad esempio. Il vero dramma sono i tagli ai numeri musicali, operazione che rasenta la follia. Se l’obiettivo era quello di accorciare un titolo fisiologicamente lungo, la risposta non può che essere quella di non dare quel titolo e metterne un altro più breve in cartellone. Ci hanno così lasciato le penne una ripetizione di Cosa sento, tosto andate, la ripresa di "Giovani liete" (dato che il coro lavora già pochissimo in quest’opera, tanto vale dargli il colpo di grazia), l’intero duettino "Aprite, presto, aprite", con conseguente dissesto scenico, tutta la parte delle due contadine con coro – "Amanti costanti" – di cui però viene eseguita la ripresa (?), e così via. Ad ogni modo, nonostante i tagli mortificanti, il Coro Lirico Toscano è riuscito a fornire una buona prova.
Fra scollamenti, scene (troppo) vuote e tagli, si riconosca al cast di essersi speso al meglio per garantire un buon esito alla folle giornata. Globalmente si è potuto notare un certo affiatamento tra i solisti, anche fra chi aveva già rappresentato il titolo a Livorno e chi si è aggiunto in corso d’opera. Molto buoni i comprimari Maria Salvini (Barbarina) e Mauro Secci, un Don Curzio dalla voce importante che finalmente ci fa ascoltare il bel fraseggio nel sestetto del terzo atto; meno preciso l’Antonio di Michele Pierleoni.
Francesco Napoleoni è un ottimo Basilio, caratterizzato da una recitazione misurata, da un timbro squillante e sempre perfettamente in tono con la partitura e da un fraseggio ben articolato. Di primo piano anche il Bartolo di Davide Procaccini: dotato di uno strumento brunito e d’impatto che lo rendono molto efficace anche negli insiemi, Procaccini fornisce pure una prova attoriale di grande equilibrio connotando sì il tuo personaggio come buffo ma mai caricaturale. Poco incisiva la Marcellina di Alessandra Rossi, anche se si riserva qualche buon guizzo nel duetto "Via resti servita".
Irene Molinari registra una buona prova: il timbro è un po’ troppo adulto per Cherubino, ma questo non le ha impedito di eseguire le parti affidatele con un ottimo gusto, attenendosi scrupolosamente al testo e corredando il suo paggio con una vitalità attoriale e un fascino notevoli. Sarebbe interessante poterla ascoltare anche in ruoli diversi.
Luca Bruno ha tutte le carte in regola per essere un ottimo conte d’Almaviva. La voce solida e potente è gestita con grande intelligenza musicale, peccato per alcune défaillance nel concertato del secondo atto. Bruno tratteggia il suo conte come personaggio prettamente buffo con venature patetiche, il che con questo tipo di allestimento funziona, ma ogni tanto si vorrebbe vederlo perdere le staffe con il nobile contegno che ha dimostrato di avere. Ben eseguita la grande aria del terzo atto e caratterizzazione centrata nel Contessa, perdono.
Nobiltà e contegno connotano la splendida contessa di Marta Mari, che regala al pubblico un’interpretazione di spessore la cui caratura si rintraccia in un canto ammirevolmente leggero (le quartine di crome in "Susanna, or via sortite") e dall’intonazione pulitissima. Mari si fa anche apprezzare per la disarmante semplicità con cui caratterizza il ruolo, senza mai calcare la mano e, piuttosto, ricorrendo a gesti piccoli ma significativi: il cesellare una frase in un certo modo, un parola sottolineata in modo particolare le bastano per instaurare un legame diretto con la platea.
Dopo il Leporello di ottobre [Lucca, Don Giovanni, 16/10/2022], è un piacere ritrovare Nicola Ziccardi nel ruolo del titolo e con il consueto smalto. Il suo è un buon Figaro con molti spunti interessanti, ma che può essere ancora più centrato. Ben interpretate le tre arie ed efficaci gli insiemi, inoltre si segnala un certo gusto per gesti teatrali contenuti ma che forniscono una bella caratterizzazione del personaggio.
Daniela Cappiello è una Susanna d’eccezione, a cui va senza dubbio la palma: irresistibile nei momenti brillanti, sottile e di grande fascino di quelli più intimisti, fino a rendersi protagonista nel quarto atto di una superba "Deh, vieni, non tardar". Cappiello fa sfoggio di un timbro cristallino e con grande facilità nel registro acuto, dove comunque non perde rotondità di suono, unito a una cura per il fraseggio rimarchevole (un esempio su tutti, le figurazioni caratteristiche in "Venite… inginocchiatevi").
Il cast completo delle recite lucchesi (Courtesy of Irene Molinari, photocredit Massimo Gasparon)