Un Barbiere ‘elettrico’
Il Regio apre la stagione con una ripresa del titolo rossiniano caratterizzata dall’ottima direzione di Diego Fasolis, da un cast di cantanti ben assortito e dalla regia di Pierre-Emmanuel Rousseau che immagina un ‘Goya che ha messo le dita nella presa’.
leggi la recensione dell'altra compagnia Torino, Il barbiere di Siviglia, 02/02/2023
TORINO, 31 gennaio 2023 - Per il primo titolo della stagione 2023, dopo l’inaugurazione ufficiale vera e propria affidata in maniera assai originale al Requiem di Giuseppe Verdi, il Teatro Regio decide di puntare sul sicuro con Il Barbiere di Siviglia. Il capolavoro rossiniano è una di quelle opere che non deludono mai. Quando poi il cast è di buon livello il successo è assicurato, complice la risposta all’appello di un pubblico che, in ogni rappresentazione, ha affollato la platea e i palchi fino quasi a esaurimento. Lo spettacolo, firmato dal regista Pierre-Emmanuel Rousseau nell’allestimento dell’Opéra National du Rhin di Strasburgo e in coproduzione con Opéra de Rouen Normandie è all’insegna di una semplicità senza fronzoli risultando allo stesso tempo curato nel dettaglio. Non serve molto di più: la musica del Barbiere è di tale bellezza e inventiva, ha una tal portata scenografica da recare in sé i germi di un’universale rappresentazione teatrale. Semplice non significa sciatto. L’attenzione ai minimi particolari si coglie, oltre che nell’architettura della scenografia, anche nei costumi ideati sempre da Rousseau, ispirati a una Spagna rivisitata da un tocco contemporaneo. E se la coloratissima Rosina non esce troppo dal seminato con un vaporoso abito multicolore, altrettanto non si può dire di Figaro che entra in scena in canottiera e nel corso dell’opera indosserà poi una blusa patchwork di gusto ‘turista del Nord Europa in vacanza’. Di foggia più tradizionale le vesti di Don Basilio, il cui aspetto clericale viene addirittura esaltato in modo quasi caricaturale da un saio che lo avvicina a una sorta di predicatore medievale, del Conte d’Almaviva, di Don Bartolo e degli altri protagonisti, incluse le divise militari dell’ottimo coro che tanta importanza ha nell’introduzione e nei due finali d’atto. L’idea alla base della scelta registica è quella, usando le parole dello stesso Rousseau, di un ‘Goya che ha messo le dita nella presa della corrente’. I costumi dunque ricalcano, ingigantendone con effetto grottesco alcuni particolari, i caratteri principali: Figaro diventa un ‘piccolo delinquente’, senza legami e senza casa, Almaviva un ‘erede cinico e disincantato’, Rosina un ‘personaggio torbido’, senza un reale passato con un’astuzia affilata dal trovarsi rinchiusa, giovane donna, in un ambiente governato da vecchi.
Essenziale e pittoresco è l’ambiente creato sul palco, un cortile chiuso da tre lati e aperto verso il pubblico, che richiama vagamente un antico peristilio, senza colonne ma con una vasca d’acqua centrale intorno a cui nel primo atto si svolge gran parte dell’azione. La spazio non è enorme e, nei momenti di concitazione, per non intralciare le numerose persone in scena si ricorre spesso all’espediente di farle muovere rimanendo sul posto. L’effetto non è inedito, ma produce, applicato al Barbiere, un che di straniante e surreale, aiutato dalle luci di Gilles Gentner, e ricorda l’animazione di certi cartoni giapponesi ‘vintage’ rimasti al loro posto, in un angolo della memoria di chi scrive, dai primi anni Ottanta del secolo scorso. Rossini invece, nella sua onnipotenza artistica, un po’ surreale lo è già nel 1816 e lo dimostrerà bene, per fugare i dubbi degli scettici, nella sua lunga produzione postoperistica con vari brani pianistici e cameristici di geniale bizzarria. Rousseau attinge a piene mani da questa particolare vena del pesarese e, al termine del lavoro, a coronamento dell’amore di Rosina e Almaviva, fa decollare la coppia su un pallone aerostatico che sale lento attraverso un foro praticato sul tetto. L’obiettivo è rifarsi allo spirito settecentesco di Beaumarchais, autore del testo originario da cui Cesare Sterbini trae il libretto, in un secolo dove la mongolfiera stuzzica l’immaginario collettivo con l’obiettivo temerario di far staccare da terra il corpo umano. Il pallone rimarrà cruciale per diversi decenni, almeno fino alla guerra franco-prussiana del 1870-71 che Rossini, scomparso nel 1868, mancherà di due soli anni.
La bacchetta di Diego Fasolis si destreggia con eccellente scioltezza tra i meandri di una partitura insidiosa proprio in virtù della sua popolarità che mette anche il semplice appassionato in grado di fare confronti con modelli di difficile replica. Ne sortisce una varietà timbrica inusuale, evidente fin dall’applauditissima sinfonia, abbinata a una scansione ritmica precisa e pungente ottenuta grazie all’ottima prova dell’orchestra del Regio, coadiuvata con intelligenza dagli interventi del maestro al fortepiano Carlo Caputo. I tempi comodi scelti dal maestro svizzero portano la durata del primo atto a quasi un’ora e tre quarti ma non sono un handicap per un’opera che in giro per il mondo viene invece di frequente eseguita di corsa e male. Piccoli tagli riguardano i recitativi mentre nel secondo atto, nel rispetto di una prassi esecutiva che trova tanti estimatori quanti detrattori, vengono omessi i numeri 17 e 18 poco prima del finale, vale a dire la grande aria di Almaviva ‘Cessa di più resistere’. La tavolozza dei colori e la qualità del fraseggio melodico, il sostegno ai cantanti mirato secondo le caratteristiche di ognuno di essi contribuiscono a rendere maiuscola la concertazione di Fasolis, confermandone l’autorità in quel repertorio fra Settecento e primo Ottocento che gli rimane particolarmente e felicemente congeniale.
Nico Darmanin è un Almaviva brillante e gagliardo, tenore dalla voce non infinita ma dalla dizione limpida e dall’intonazione sicura, a partire dalla cavatina ‘Ecco ridente in cielo’, dotato di un bagaglio di risorse utile e gradevole pure sul versante comico come dimostra, nel ruolo del finto maestro di musica nel duetto con Bartolo ‘Pace e gioia sia con voi’. Applauditissima durante e dopo la recita, e non solo per la celeberrima ‘Una voce poco fa’, è la Rosina del mezzosoprano José Maria Lo Monaco. Tecnica sicura e agguerrita, grazia nella linea del canto, dominio del mezzo espressivo tanto nel registro più scuro quanto nella salita verso l’acuto sono i punti di forza della cantante siciliana, che conferma ottime doti di belcantista e conquista il pubblico con una personalità spumeggiante in grado di renderla autentico motore della vicenda e di tener testa in modo trionfale ai quattro uomini che le ronzano intorno.
Figaro è impersonato da John Chest, baritono versatile e dall’ampia e variopinta estensione vocale, ottimo attore fornito della giusta ‘spacconeria’ scenica per svettare non solo nei pezzi di insieme e duettare con Rosina nell’impegnativo ‘Dunque io son… tu non m’inganni?’, dall’affascinante mélange fra certe ruvidezze involontarie nell’emissione e il timbro cristallino della partner.
Buona è la prova di Guido Loconsolo nella parte di basso di Don Basilio, a cui Rossini riserva una sortita di sicuro effetto con l’aria della calunnia, che forse meriterebbe, nonostante il vigore della declamazione, maggior verve nel crescendo finale destinato a scoppiare nel proverbiale colpo di cannone. Altrettanto a suo agio nel dipingere il personaggio di Don Bartolo nel giusto colore rossiniano è Leonardo Galeazzi che ha il momento in ‘A un dottor della mia sorte’ con la sezione finale ‘Signorina, un’altra volta’ dove, sia pur parzialmente coperto dall’orchestra, mantiene un’ammirevole riserva di fiato nel vorticoso turbinio di sillabe scatenato da Rossini.
Applausi per Rocco Lia, nel duplice ruolo del servitore Fiorello e di un ufficiale, e per la Berta di Irina Bogdanova, che convince e raggiunge punte di espressività da soprano lirico di razza giocando nel modo migliore la carta dell’unica sua aria ‘Il vecchiotto cerca moglie’.
Mirabile la prova del coro del Teatro Regio guidato da Andrea Secchi, altra pedina fondamentale del successo di questo godibile e fresco Barbiere, cui il pubblico subalpino riserva un’accoglienza non men che trionfale e che fa ben sperare per il prosieguo della stagione, con titoli molto attesi (Aida, Flauto magico, Madama Butterfly limitandoci a citarne alcuni) e quindi doppiamente insidiosi.