Sogno americano
Al Regio di Parma, dopo Don Giovanni, il Settecento è ancora di casa con una fresca produzione del Matrimonio segreto di Cimarosa.
PARMA 10 febbraio 2023 – Il dramma si addice ai parmigiani; sembra sempre che per essere presa sul serio nelle aspettative locali un'opera debba essere di Verdi (meglio se nella rosa delle più popolari) o almeno faccia scorrere sangue copioso. Il buffo si guarda con sospetto e si guadagna d'ufficio diminutivi e vezzeggiativi in -ina e in -etta che sembrano atti più a diminuire che a vezzeggiare. Si scherza, naturalmente, ma con un fondo di verità, se si guarda alla sala del Regio non esaurita (nemmeno vuota) e si intercetta qualche bisbiglio prima della prima. Poi, però, è tutta gioia, applausi, sorrisi. Ce n'è ben donde perché Il matrimonio segreto torna nel Massimo cittadino dopo sessant'anni e lo fa con una produzione fresca e godibile che rende piena giustizia a uno dei più grandi capolavori dell'opera buffa. Perché, fa sempre bene ricordarlo, di questo si tratta, di quello che dovrebbe essere – e a fasi alterne è stato – grande caposaldo del repertorio. Tant'è che dispiace un pochino che tale pietra miliare tutta finezze, spirito, ironia sia sovente ripresa non sfoderando il lusso concesso alle sorelle rossiniane e donizettiane, quanto piuttosto come palestra per giovani e giovanissimi. Come se fosse semplice cantar Geronimo, Carolina o Paolino. Per fortuna non è sempre così e personalmente ho avuto la fortuna di vedere alle prese con Cimarosa Enzo Dara, Paolo Bordogna, Roberto De Candia; soprattutto, basta scorrere la cronologia di recenti matrimoni segreti per non trovare solo camei preziosi per Geronimi e Fidalme, ma anche bacchette e voci giovani ed eccellenti.
Va bene anche a Parma, dove non ci sono veterani, ma i nomi nuovi ed emergenti son tutti scelti con cura e soprattutto complici di un bel gioco di squadra. Il che, ricordiamocelo, è sempre la cosa più importante: Una frase un po' meno timbrata, un attacco un po' sporco possono capitare a tutti, al debutto come dopo lustri o decenni di carriera: non è questo che fa l'artista. L'artista lo fa la capacità di dare un'impronta lavorando nella musica, nella parola, nel testo e nel teatro insieme ai colleghi. È la recita nel complesso che conta, non la singola nota.
Ogni buona squadra ha bisogno di bravi capitani e qui non sono mancati. Lo spettacolo di Roberto Catalano è una coproduzione fra Tenerife, Palermo e Parma che si gusta con la leggerezza di un sogno. Dominano le tinte del rosa e del verde acqua con un ventaglio di sfumature a cui solo Pierluigi Pizzi (oltre allo scenografo Emanuele Senisi e alla costumista Ilaria Ariemme) saprebbe dare un nome: a noi basta che questa atmosfera pastello ben illuminata da Fiammetta Baldiserri delinei il sogno americano di Geronimo, pasticcere di successo a Brooklyn, e di Carolina, che colleziona poster di Gene Kelly e ama il musical (come, del resto, pare fare anche la troupe dei dipendenti, infervorata nelle azzeccate coreografie di Sandhya Nagaraja). Recitazione spontanea, leggerezza, narrazione chiara senza rinunciare alle controscene di collaboratori e clienti, come la vecchietta impicciona (ma comprerà mai qualcosa?) che poi si rivela lo stesso Kelly in incognito per il frizzante finale danzato.
A Davide Levi siamo grati soprattutto di una cosa: non corre. Il ritmo frenetico che va tanto di moda spacciato per drammaticità o brio, a seconda dei casi, ma spesso solo effetto senza causa qui non ha cittadinanza. Anzi, nel primo atto Levi sembra quasi prendersi il rischio di lasciar spazio alla parola con un pizzico di calma in più, ma nell'arco della serata la sua scelta agogica e dinamica si rivela vincente: dopo un inizio un po' guardingo il finale – parente stretto dell'ultimo atto delle Nozze di Figaro e modello dell'epilogo della Scala di seta – si dipana nella giusta atmosfera e con il giusto ritmo, né perdiamo una sillaba o un'intenzione.
Con questi punti di riferimenti, la squadra si muove bene, in buca e sul palco. L'orchestra Cupiditas offre una buona prova complessiva; di fornte alla comprovata esperienza di Hana Lee al cembalo ci si può solo rammaricare che non si sia voluto nemmeno in questa occasione affiancare un violoncello al continuo, come prassi vorrebbe. In scena Giulia Mazzola è una Carolina deliziosa: mai un lamento, mai una leziosaggine o un sentimentalismo fuori posto, bensì un bel canto sul fiato, capace di legare e sfumare senza perdere la rotondità del timbro e, di conseguenza, un sano pizzico di pepe e spirito volitivo. Il bello è che Marilena Ruta, Elisetta, non le fa il verso come una petulante sorellastra,(sorella lo è a tutti gli effetti, ma il tipo potrebbe ricordare molto le rivali di Cenerentola) e si fa valere pure lei senza che quella punta di aggressività e metallo che giova al ruolo incrini l'emissione e la musicalità. Né si fa caricatura la Fidalma di Veta Pilipenko con la sua voce ben timbrata, brunita e limpida, e la sua cofana di ricci rossi che ci fa pensare ad Anna Mazzamaruro/Signorina Silvani; solo che si tratta di una bella ragazza truccata da signora severa, ancora piacente ed elegante, ma troppo convinta di poter piacere a un giovanotto assai più giovane e assai impegnato. Fa ancor più tenerezza il Paolino pacioccone di Antonio Mandrillo, chiaro e ben proiettato: risolve la sua parte con disinvoltura, mette il giusto trasporto nella sua aria e potrà senz'altro affinare legato e sfumature.
Sono parimenti convincenti, sciolti e spiritosi il Geronimo di Francesco Leone, imprenditore rampante ma anche ingenuo e in fondo bonaccione, e il conte Robinson di Jan Antem, due voci che partono da ottime premesse per musicalità pulita, dizione chiara, colore mai artefatto e impostazione solida e da cui, data la giovane età per di più nei registri gravi, è lecito aspettarci una bella maturazione.
Il pubblico parmigiano prende man mano confidenza con l'opera – che a sua volta cresce nel corso della serata – e alla fine applaude divertito. Non si vive di solo Verdi, drammi e tragedie. Anzi, già che si parla di leggerezza, ironia e sogno americano, a due passi dal Regio, a palazzo Tarasconi, c'è una mostra dedicata a Roy Lichtenstein, inaugurata proprio poco prima della prima del Matrimonio segreto. Val la pena di fare un salto.