L'ultima volta di Anna Valéry
di Roberta Pedrotti
Anna Netrebko torna all'Arena nella Traviata per dare l'addio a Violetta Valéry con una recita che restituisce un eloquente ritratto attuale della diva russa, ne ribadisce le qualità e il carisma, ma conferma anche la bontà della scelta di abbandonare una parte a cui ha dato e che le ha dato tanto.
VERONA, 9 settembre 2023 - Ultima serata dell'estate areniana e ultima (salvo nuovi contrordini) Traviata per Anna Netrebko. Dopo le recite scaligere del 2017, già annunciate come addio alla parte di Violetta, il soprano russo ha deciso di ripensarci e regalare un'altra serata nei panni che per primi, e forse più di qualsiasi altro, l'hanno consacrata a diva.
Il richiamo è prepotente, l'Arena è strapiena, tanto che devono essere messi in vendita anche dei posti in più rispetto alla capienza consueta; l'attesa è febbrile. I pronostici, le aspettative, i dubbi si sprecano. Così come, nei giorni successivi, fra chi c'era, chi non c'era, chi ha visto un estratto dei filmati della serata si scatena la ridda dei peana e delle condanne. Tutto, si potrebbe dire, da copione quando si parla di figure come quella di Anna Netrebko, che però proprio nella capacità di riempire le arene e di incendiare ogni piattaforma possibile si conferma, piaccia o non piaccia, la vera diva dei nostri giorni.
Diva anche nel poter ottenere un cambio di costumi ed evitare nel primo atto l'abito azzurro – bruttarello assai – imposto alle povere colleghe, indossandone uno bianco e poi a casa di Flora un altro nero. Da notare, per gli amanti della tradizione, che Netrebko ripristina una sorta di legge non scritta per gli abiti di Violetta (che in genere, quando si ambienta l'opera nell'Ottocento, sono, appunto, candidi nella prima festa e rossi o neri nella seconda, in Arena, mentre con i costumi di Maurizio Millenotti, azzurro e poi bianco).
Se la diva è tale anche per come si presenta in scena, la prova fondamentale è quando apre bocca. Qui Netrebko offre un quadro chiaro ed esaustivo della sua attuale forma vocale, ci dice perché dà l'addio a Violetta e perché è comunque una delle più grandi cantanti in circolazione.
Da un lato, fin dal primo “Flora, amici” si percepisce che la parte non è più esattamente nelle sue corte. La voce ha un peso, uno spessore che non si muove più agilmente nella cristalleria della Traviata, quando spumeggia lo champagne e si trilla di gioia in gioia. Nei passi più brillanti prevale la prudenza e lo spazio aperto non risparmia nemmeno a lei qualche titubanza nell'esatta intonazione.
La traviata non è più la casa ideale per la voce di Anna Netrebko, benché una parte così articolata e complessa offra sempre momenti in cui mettere a buon frutto la ricchezza degli armonici, il colore scuro, la densità del canto. Là dove molte Violette lirico leggere o patiscono o devono puntare su altre armi, Netrebko si trova avvantaggiata e conferisce rilievo non comune a molti passaggi del secondo e del terzo atto, forte anche di una confidenza con la parte che si traduce in un fraseggio partecipe e ispirato.
Poi, a compensare i momenti di cautela e non perfettamente definiti, ecco che arrivano le zampate della grande artista: nella cadenza finale di “Ah, fors'è lui” sale al do acuto, filato, legatissimo, con una mezzavoce piena e sonora. Già solo questo potrebbe valere la serata, dirci che Anna Netrebko potrà non essere più la Violetta che era quindici anni fa, che l'evoluzione della sua voce presenta inevitabili difetti insieme con i pregi, ma che resta una delle più grandi cantanti in attività, una delle poche a magnetizzare l'attenzione e saper sferrare tali colpi da maestra e volpe del palcoscenico.
Quasi come in una beneficiata d'altri tempi, tutto ruota intorno a lei, tuttavia non si possono né si devono dimenticare i compagni d'avventura. Freddie De Tommaso è un Alfredo gagliardo che, per spessore e colore, ben si affianca all'attuale Violetta di Netrebko; Luca Salsi, poi, ha cantato tante e tante volte al fianco del soprano russo che anche balzando direttamente in un'unica recita il loro duetto fila benissimo, in piena comunione d'intenti. Il temperamento del baritono parmigiano, del resto, si conferma affine alla linea interpretativa che si sviluppa intorno a una Violetta più lirica che leggera, più drammatica che virtuosistica. Ben a fuoco il coro e gli artisti che completano il cast: Sofia Koberidze (Flora), Yao Bohui (Annina), Matteo Mezzaro (Gastone), Nicolò Ceriani (Barone), Jan Antem (Marchese), Giorgi Manoshvili (dottor Grenvil), Giuseppe Francesco Cuccia (Giuseppe), Stefano Rinaldi Miliani (commissionario e servo di Flora).
Sul podio dell'orchestra areniana, Marco Armiliato – che subentra ad Andrea Battistoni, concertatore per le recite precedenti – si conferma più duttile accompagnatore, capace di mettere sempre a proprio agio le voci. Anche al netto di qualche sbavatura d'insieme, prevale un senso di morbido equilibrio al servizio del palcoscenico, lasciando ai cantanti il compito di interessare il pubblico.
Del resto, risulta pure trovare qualcosa d'interessante in una produzione che resta in piedi per la gloria del nome di Zeffirelli come scenografo postumo, ma che sul piano registico consiste quasi solo nello smistamento del traffico all'interno di uno spazio non dei più felici ideati dal maestro fiorentino, con numerosi richiami a produzioni precedenti o al film con Stratas e Domingo (la festa di Flora, a metà fra il ricevimento imperiale e il party a Las Vegas). Una perla resta comunque, al di là della coreografia non troppo significativa di Giuseppe Picone, la performance di Timofej Andrijashenko e Nicoletta Manni.
Grande successo, trionfo per la protagonista. Sarà sempre così in Arena? Può darsi, anzi, senz'altro è facile che il fascino del luogo, l'attrattiva dei titoli, il senso di festa giochino spesso a favore di un'accoglienza calorosa, ma quando ci sono artisti che fanno la differenza lo si avverte anche nell'intensità della risposta finale.