L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lucia, Lucie, Emma, Lu

di Roberta Pedrotti

Nonostante l'indisposizione del soprano titolare e qualche incidente di percorso, la riproposta della versione francese di Lucia di Lammermoor, immortalata anche nelle pagine di Madame Bovary, è un altro momento di grande interesse e uno spunto per riflessioni e connessioni del programma del festival Donizetti Opera.

Bergamo, Il diluvio universale, 17/11/2023

Bergamo, Alfredo il Grande, 19/11/2023

BERGAMO, 18 novembre 2023 - Non è una prima particolarmente fortunata, quella di Lucie de Lammermoor al teatro Sociale di Bergamo. Ci si mettono anche da fuori a disturbare e ci si chiede che volume dovessero avere le casse di un locale dei dintorni che faceva arrivare la sua musica fin dentro la sala, durante l'opera. Ci si mettono anche i mali di stagione: Caterina Sala, protagonista designata, fa di tutto per portare avanti la recita pur annunciando indisposizione, ma nell'intervallo deve mollare. Arriva Vittoriana De Amicis, cover convocata in tutta fretta da Milano che intona la pazzia con il leggio da un lato del palco. Certo, spiace per l'economia della serata non aver potuto godere di una protagonista unica, completa e in piena forma, ma in una visione più ampia è chiaro che Sala avrà tutte le opportunità per farsi valere in una bella carriera, ché le qualità ci sono e l'indisposizione è solo un umano incidente (semmai l'esperienza potrà aguzzarle l'ingegno nel gestirla); parimenti, è stato un piacere constatare ancora una volta le qualità anche di De Amicis, che alla solidità del canto accompagna, perfino in una situazione così estrema in cui qualche difficoltà nemmeno va considerata, belle intenzioni espressive. Bisogna dire pure che la bacchetta di Pierre Dumoussaud non si è mostrata troppo collaborativa e, anzi, se gli altri problemi sono fatalità occasionali, la mancanza di una buona concertazione è stata il limite maggiore del secondo titolo del festival orobico. Il giovane francese arriva con un curriculum trionfale, ma nei fatti si mostra poco autorevole, poco interessante, poco attento, non in grado di spronare e innervare un'orchestra – Gli Originali – che questa sera appare deconcentrata e in difficoltà, specie nei fiati che la partitura tanto sollecita (ahi, il corno, ahi, il fagotto).

Peccato perché la scelta di un Edgar lirico leggero, quasi delicatamente mezzo carattere qual è quello del tenore Patrick Kabongo – sempre preciso e puntuale, anche nella maledizione – avrebbe meritato di essere iscritto in una lettura confezionata ad hoc, invece di soccombere quasi di fronte allo squillante sposino Arthur di Julien Henric. Spicca, invece, sempre l'Henry Ashton di Vito Priante, con il suo ottimo francese, il suo canto nobile, la proprietà e l'autorevolezza del fraseggio in un personaggio che in questa versione appare quasi bipolare, passando da una crudeltà fine a sé stessa (il contesto storico nella Lucie parigina è quasi annullato, la componente politica assai smussata) a inaspettati slanci di empatia verso la sorella. E se, cancellando la figura di Alisa, qui Normanno diventa Gilbert e acquista peso nella prima parte dell'opera, lo fa non come uno Jago, ma come un intrigante Don Gaspar della Favorite, ben reso da David Astorga; viceversa, la parte di Raimond viene assai ridimensionata e il contributo di Roberto Lorenzi è ridotto nella quantità ma non nella qualità. Del resto, anche il coro dell'Accademia della Scala preparato da Salvo Sgrò è un po' meno impegnato rispetto alla versione napoletana originaria a cui siamo abituati.

Sì, perché al netto di difficoltà e incidenti, il maggior richiamo di questa serata risiede proprio nel titolo che, come accennato, offre l'occasione di ascoltare una delle opere più note e fortunate di Donizetti nella rara revisione francese. Una revisione approntata per il Théâtre de la Renaissance e che dunque compie un percorso inverso rispetto a molte riscritture parigine: quando dai teatri italiani si riadattava per l'Opéra arrivavano danze, cori, sfarzi scenici; qui i mezzi più ridotti impongono invece un passo indietro rispetto alle proporzioni sancarliane. Tutto si asciuga, si stringe, ma cambia anche l'evoluzione della trama, non solo perché, come detto, l'aspetto storico e politico quasi scompare, ma perché con esso si sfumano anche tensioni e colpi di scena: il fidanzamento fra Lucie e Arthur è cosa nota dall'inizio, così come la passione di lei per Edgar, che non parte di nascosto per sostenere la causa degli Stuart, ma viene inviato ufficialmente in missione dal ministro padre di Arthur. Questi non è più il baldanzoso potente che appare nella scena delle nozze, ma un buon giovanotto che fin dall'inizio si fa avanti premuroso per sincerarsi della libertà dei sentimenti di Lucie. La medesima storia – lei ama un uomo, il fratello la costringe a sposarne un altro, lei impazzisce e uccide il marito prima di morire e anche l'innamorato si suicida – viene raccontata in modi diversi, seppure quasi con la stessa musica. Questo è già un motivo di interesse, così come gli interventi di adattamento o di semplificazione nelle strutture. Quel che però più conta in quel modo diverso di raccontare la storia è che quello è il modo immortalato da Flaubert nel celeberrimo capitolo di Madame Bovary tendenzialmente storpiato da traduttori digiuni di musica. Il tratto meno tragico, più borghese e domestico del contesto, con uno sposino più premuroso che arrogante, è quello che fa supporre a Emma che sia il primo il vero amante della protagonista e il secondo il suo persecutore, poi la fa infiammare e alla fine le provoca quasi repulsione per l'eccesso della follia, presagio del melodrammatico suicidio della moglie del rispettabile medico di campagna. È in Lucie che Emma si identifica, e si spaventa, non in Lucia: riflettere sulla recezione sociale e letteraria dell'opera e delle sue forme accresce l'attrattiva, accende perfino nuove emozioni. Non è poi così lontano nemmeno LuOpeRave, lo spettacolo Off che aveva fatto da anteprima al Festival, storia di un giovane che prende consapevolezza della sua identità femminile ma deve scontrarsi con la famiglia che lo vuole maschio, cerca di “curarlo”, impone un matrimonio, finché Lu, che solo nell'opera e in Lucia di Lammermoor aveva trovato una forma di conforto, si suicida. Allora come oggi, l'opera non è solo un piacevole passatempo, ma una vera educazione sentimentale, uno specchio del mondo e di noi stessi che non parla solo al tempo e nel tempo in cui è stata creata.

In tal senso si colloca perfettamente lo spettacolo di Jacopo Spirei, che rispetta in maniera trasparente tutti i rapporti e i caratteri delineati nel libretto, specie nei dettagli in cui Lucie differisce da Lucia, senza perderli di vista nemmeno nei momenti d'assieme. Le scene di Mauro Tinti, i costumi di Agnese Rabatti e le luci di Giuseppe Di Iorio caratterizzano bene un degrado vero, concreto, quotidiano, non un eccesso fine a sé stesso, ma la banalità di un vuoto violento incapace di percepire i sentimenti altrui, forse anche i propri. La tragica coincidenza della scoperta del corpo di Giulia Cecchettin in giorno stesso della prima, e la conseguente dedica dello spettacolo, enfatizza ancor più l'eterna attualità di un dramma che continua a raccontare le tragedie del tempo a cui si rivolge: il contrasto fra dovere familiare e desideri personali, fra ordinaria maschera borghese e passione bruciante, fra possesso e libertà.

Vedere un tenore in jeans provoca automaticamente qualche mugugno in parte del pubblico, ma la recita si conclude comunque nel generale apprezzamento, con giusto affetto per i due soprani e qualche generosità per direttore e orchestra.


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