Fuoco di gioia
di Luca Fialdini
Applauditissima prima di stagione al Municipale con un Otello dove spicca il trio Kunde-Micheletti-Dotto.
PIACENZA, 17 dicembre 2023 – È il (non) Moro di Venezia a fare gli onori di casa per l’apertura dell’odierna stagione lirica al Municipale di Piacenza registrando un entusiastico successo con il nuovo allestimento dell’Otello verdiano in coproduzione con il Comunale di Modena, il Municipale di Reggio Emilia, il Coccia di Novara e il Sociale di Rovigo.
La produzione si segnala per un’ideazione scenica – quella del regista Italo Nunziata – che si focalizza sulla drammaturgia e intorno a questa disegna un percorso lineare, non privo di eleganza, dove i costumi dal taglio tardo ottocentesco di Artemio Bassi sono immersi nella sospensione temporale fornita dalle scene di Domenico Franchi, ben completate dalle luci di Fiammetta Baldiserri. Curiosamente si sceglie di eliminare il trucco di scena per il personaggio di Otello, riducendo la decisione di Shakespeare e Verdi a elemento opzionale, ma in qualche modo si sottintende ancora l’equivalenza dove i colori chiari richiamano la sfera negativa e i colori cupi quella positiva (ad esempio, nel secondo atto, quello del Credo, Iago veste toni più luminosi mentre Otello veste sempre in scuro o ancora persino in alcuni dei momenti più drammatici si preferisce avere una scena molto illuminata in cui dominano ancora le tinte chiare). Questa se vogliamo è una delle cifre della regia di Nunziata: il rispetto non verso la didascalia del libretto o l’indicazione in partitura, ma verso lo spirito dell’opera e le intenzioni dei suoi (tre) autori.
C’è molta pulizia visiva perché, volendosi concentrare sui meccanismi drammaturgici, Nunziata decide di mantenere in scena solo ciò che è vitale; ragionamento doppiamente corretto se si considera anche la particolare operazione di Verdi che in questo titolo inizia quello scavo cameristico che condurrà poi al Falstaff. Bene la gestione delle masse ma in particolare delle scene che propongono contemporaneamente azioni su piani diversi, ad esempio nel finale del secondo atto.
Notevole la direzione di Leonardo Sini, chiamato ad affrontare una prova così impegnativa poco più che trentenne. Il podio procede nella medesima direzione della regia dando massima importanza alla dimensione teatrale e lo fa attraverso la scelta di tempi senz’altro coerenti con le indicazioni del compositore, ma che danno la libertà di lavorare sia sulla parola sia sul gesto scenico, con sensibilità per i silenzi. Sini con gesto chiarissimo ha pieno controllo dell’orchestra e garantisce un bell’equilibrio tra buca e palco, peraltro con un’accortezza alle intensità in relazione con lo spazio del Municipale. L’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini risponde bene in termini coloristici – la tinta è veramente giusta – e di intenzione: il piglio è quello opportuno e non solo in termini di fracasso della tempesta o del concertato del terzo atto, ma proprio in riferimento alla natura stessa di un’opera che tanto in Verdi quanto in Shakespeare è il dramma che si genera e si consuma senza un vero scopo (al di là di un astio personale di Iago per Otello non c’è nulla a giustificare le sue azioni). Riusciti e di buon effetto anche i passi orchestrali più scoperti, come “Fuoco di gioia”, la Canzone del salice e il memorabile solo dei contrabbassi del quarto atto. Ottima la formazione composta dal Coro del Teatro Municipale di Piacenza e dalle Voci Bianche del Conservatorio Nicolini, preparati rispettivamente da Corrado Casati e Giorgio Ubaldi.
Il cast si propone non solo affiatato e con una bella coesione ma anche di alto livello in tutte le sue parti, a cominciare dai comprimari Eugenio Maria Degiacomi (Un araldo), Alberto Petricca (Montano) e Andrea Galli (Roderigo), ben centrati e convincenti; nei ruoli di contorno merita una menzione speciale l’Emilia di Carlotta Vichi per intensità nell’interpretazione e perizia nel canto.
Più che maiuscole le prove dei tre personaggi principali. Francesca Dotto è una Desdemona di rara raffinatezza, capace di coniugare intelligentemente un timbro dal colore argenteo con una gestualità scenica contenuta. In questa – solo apparente – semplicità tratteggia una Desdemona eterea ma che al contempo cattura lo sguardo dello spettatore a ogni ingresso. C’è l’aura di dignità della vittima incolpevole, ma Dotto non si ferma a questo primo livello andando più a fondo: senza clamore e senza pesantezza si accennano altre dimensioni all’interno del personaggio, come quella della sensualità ma anche della passione (in senso carnale quanto cristologico). Da un punto di vista strettamente vocale si ammira l’accuratezza del lavoro svolto sulla linea vocale, l’attenzione per il fraseggio, il gusto per messe di voce collocate in momenti specifici, tutti elementi che la mettono al centro della scena in ogni momento in cui è presente e non solo nel terribile splendore del quarto atto.
Dopo quattro anni Luca Micheletti torna a vestire i panni di Iago e dimostra una notevole evoluzione nel personaggio. La base è quella esplicitamente richiesta da Verdi nelle disposizioni sceniche, cioè un personaggio che si muove in modo sottile, non alzando quasi mai la voce, ed è qui che Micheletti va oltre tessendo sfumature impalpabili che impreziosiscono la parte e rendono il suo Iago più seducente e ricco di imprevedibilità. Il timbro brunito può così fare mostra delle sue molte possibilità in relazione alle diverse necessità della partitura, passando dalla discrezione del politico alla tremenda affermazione del “Credo”, da intensità contenutissime – ma sempre ben appoggiate e proiettate – a un impiego più generoso dello strumento vocale. In breve, lo Iago di Micheletti possiede una serie di elementi che oltre a renderlo memorabile lo portano alla pari di Otello.
La produzione propone nel ruolo del titolo uno degli interpreti che più ha legato il suo nome a quello di Otello e basta il primo atto per comprendere quanto Gregory Kunde abbia scavato nel proprio personaggio. È evidente che per Kunde il ruolo di Otello sia completamente assimilato e che dietro al singolo gesto ci sia un’approfondita motivazione drammaturgica, un dato che si traduce nell’intensa umanità della sua caratterizzazione: umanità nell’amare e nell’esultare, ma anche nell’essere fragile e nel farsi rodere internamente da sentimenti negativi che non avrebbero ragione d’esistere. Se la zona acuta inizia a non essere solidissima e la linea non è sempre nitida, è pur vero che Kunde fa sfoggio di un carisma straordinario e la familiarità con il palco gli consente di uscire indenne da qualsiasi situazione, regalando anche momenti in cui è bello lasciarsi travolgere dallo strumento vocale come la stretta “Sì, pel ciel marmoreo giuro!”.
Lunghissimi applausi e vivo entusiasmo da parte del pubblico non solo a fine recita ma anche tra un atto e l’altro, con tanto di «Viva Verdi!» gridato dal loggione.