Senza età
di Luigi Raso
Riccardo Muti torna sul podio dei Wiener Philharmoniker per un programma che spazia fra Mozart, Hindemith e Mendelssohn. L'accoglienza è trionfale.
VIENNA, 27 aprile 2023 - Da oltre mezzo secolo il trinomio Wolfgang Amadeus Mozart - Wiener Philharmoniker - Riccardo Muti offre interessanti e personali prospettive interpretative della musica del genio salisburghese. Il maestro napoletano, nel corso della sua duratura collaborazione con la mitica orchestra viennese, ha costantemente intriso di intensa “cantabilità”, di discendenza italiana, l’articolazione del fraseggio delle sinfonie mozartiane: ne sono testimonianza le numerose incisioni discografiche, in particolare le opere teatrali e le sinfonie (purtroppo, non integralmente). Quello di Muti era ed è un Mozart pieno di vigore, eleganza, pulizia formale e incisività; un Mozart declinato secondo l’estetica del canto e della cantabilità italiana, che sublima la propria intrinseca bellezza nella palpitante e carnale articolazione melodica.
E riascoltare in apertura dell’atteso concerto - in un Musikverein sold out, così come per i successivi concerti del 28 e 30 aprile - la Sinfonia n. 35 in re maggiore, K. 385 “Haffner” (1782) ci fa riflettere su quanto la visione che Muti ha di Mozart sia valida e attuale: alieno dai richiami delle sirene delle esecuzioni cosiddette ‘filologiche’, il Mozart di Riccardo Muti e dei Wiener Philharmoniker si dimostra ancora oggi un perfetto esempio di giovanile senilità dell’ottuagenario direttore.
Se i Wiener Philharmoniker impressionano ad ogni ascolto per la struggente bellezza del suono, la levigatezza, la perfezione degli impasti timbrici tra famiglie strumentali, l’intensità delle dinamiche, il fraseggio screziato (tutte doti arcinote, ma che ad ogni ascolto continuano a destare meraviglia e sconfinata ammirazione), Riccardo Muti si impone per la serafica esuberanza senile del suo Mozart.
Da subito l’Allegro con spirito brilla per intensità e vigore, sino a che, rallentando e ammantando di malinconia i colori orchestrali, esso viene immerso da Muti in un ripiegamento interiore. Con il successivo Andante del secondo movimento ad imporsi è il suono vellutato, caldo e pastoso dei Wiener Philharmoniker. Qui il gesto di Riccardo Muti procede per sottrazione: lascia che i Philharmoniker articolino il loro discorso, invita, ammicca: ne esce una pagina di sublime eleganza, una crasi tra la perfezione della trascendenza mozartiana e la palpabilità della cantabilità umana. Sì, più che suonare, i Wiener Philharmoniker sono invitati da Muti a ‘cantare’, e a farcire il ductus melodico di sbarazzina bonomia. Si resta estasiati dal suono degli archi, dell’impasto tra questi e i legni, dal susseguirsi degli accenti, dalle dinamiche articolate che fanno dell’oasi lirica dell’Andante un paradigma del vero spirito e messaggio mozartiano: unire la trascendenza con l’umano, attraverso la genuina e spontanea cantabilità. Incisivo e popolareggiante nel suo andamento danzante è il successivo Minuetto e trio: qui Riccardo Muti lascia respirare e ‘danzare’ i Wiener Philharmoniker prima di condurli nel trascinante Presto finale, staccato con tempo vivido, incisivo nelle dinamiche, dall’articolazione interna serrata, screziata, elegante e dall’ampio respiro.
Questa lettura della Sinfonia Haffner appare il compendio di un capitolo d’interpretazione mozartiana che ha le sue coordinate nella ricerca della bellezza del melos mozartiano e della perfezione delle forme; un Mozart, quello di Muti e i Wiener Philharmoniker, tanto antico quanto valido e attuale.
Si procede verso un mondo diverso con il successivo brano in programma, Konzertmusik für Streichorchester und Blechbläser, op. 50 (1930) di Paul Hindemith: qui domina un vigore imperioso, che, seguendo la struttura e l’organico strumentale della composizione – nota anche come ‘Sinfonia di Boston’, in quanto scritta per la Boston Symphony Orchestra - si impone per blocchi, per sontuosi pannelli. Sonorità vigorose, virili, corrusche dominano la composizione: i Wiener Philharmoniker, seppur limitati agli archi e agli ottoni, offrono un saggio di precisione e compattezza sbalorditiva. Si resta sorpresi nell’ascoltare dinamiche serratissime, un suono così tornito, spesso e corposo, così lontano da quello di velluto e levigato ascoltato soltanto poco prima in Mozart: versatilità, florilegio sonoro e perfezione tecnica dei mitici Wiener! Della Konzertmusik für Streichorchester und Blechbläser Riccardo Muti dà un’interpretazione che mette in evidenza l’architettura del brano: si ha la sensazione che il grande direttore italiano disegni l’ordito strumentale con nitidi tratti di inchiostro di china, demandando al suono dei Philharmoniker di riempire il disegno stesso. E all’interno di questo poderoso impianto musicale dalla chiarezza formale sbalzata, nel fitto contrappunto fugato, come magma, serpeggia e si sprigiona una vigorosa energia, ora tenuta a bada, ora enfatizzata da Riccardo Muti, ma pur sempre nel rispetto dell’equilibrio interno della composizione.
Chiude il concerto la Sinfonia n. 5 in re maggiore, op. 107 “La Riforma” (1830) di Felix Mendelssohn-Bartholdy, composta per celebrare il trecentesimo anniversario della Confessione di Augusta (1530). In linea con la sua fisionomia severa, l’interpretazione di Riccardo Muti e dei Wiener Philharmoniker esalta la solennità del discorso, l’empito del contrappunto, la bellezza dei temi, a cominciare, in chiusura dell’introduzione, da quello del cosiddetto ‘Amen di Dresda’, figura musicale luterana ripresa, quale tema del Graal, successivamente anche da Wagner in Parsifal.
Tutta la Sinfonia, nel dipanarsi tra l’Andante. Allegro con fuoco del primo movimento e il Corale dell’ultimo movimento, diventa un inno solenne e vivido, che trova nello scintillio strumentale dei Wiener Philharmoniker, nella sontuosità dei suoi ottoni, nell’intensità degli archi, nel sostegno dei timpani e nei colori dei legni i suoi magnifici cantori. Ma, per chi scrive, la gemma musicale e interpretativa è lo struggente Andante del terzo movimento: all’interno di una sinfonia celebrativa, austera, Mendelssohn-Bartholdy incastona una malinconica ‘romanza senza parola’: il fraseggio impresso da Muti all’orchestra esalta il lirismo e l’intensa suggestione. Qui, la melodia, di perfezione mozartiana, nell’allontanarsi dal clima generale della Sinfonia, crepuscolare e chiaroscurale per colore, traluce di bellezza: cos’è l’innesto del flauto, nella ripresa del tema, sul tappeto di velluto sonoro steso dagli archi! Il fraseggio, articolato e screziato di Muti, i rallentando acuiscono il senso di struggimento interiore dell’intero movimento. L’orchestra respira e sospira durante questa breve oasi sonora, prima di reimmergersi nel clima solenne, severo e contrappuntistico del trionfale Corale finale. Qui Muti dà fuoco alle polveri della vigorìa musicale, staccando un movimento finale incandescente, nitido nelle sonorità, che nell’esaltazione delle forme del contrappuntisto trova la catarsi dell’energia che sprigiona.
Al termine, accoglienza trionfale da parte del pubblico Musikverein: prolungati e calorosissima applausi per i magnifici Wiener Philharmoniker e Riccardo Muti.