L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'iride danzante

di Roberta Pedrotti

Sofisticato, intelligente e appagante, il Concerto per la Città di Parma del Festival Toscanini ha come protagonisti Anna Caterina Antonacci e Alessandro Bonato, salutati da acclamazioni e standing ovation. Entusiasmo anche per il bis della sola parte strumentale, la mattina seguente, come inaugurazione del Parma Pride.

PARMA, 16 e 17 giugno 2023 - Cielo terso, clima amabile, volo di rondini, i marmi romanici di Duomo e Battistero accolgono la seconda edizione del Concerto per la Città di Parma, nel cartellone del Festival Toscanini. Dopo la serata un po' interlocutoria dello scorso anno, sembra proprio che si sia corretto il tiro per colpire dritto al bersaglio. All'amenità del luogo risponde innanzitutto un progetto di amplificazione degno del nome di camera acustica virtuale. La piazza è splendida, specie dell'imbrunire, ma l'acustica non lo è altrettanto e un aiuto è necessario: per fortuna uno staff tecnico proveniente dall'Accademia di Santa Cecilia ha approntato un sistema che sostiene l'ascolto con naturalezza, quasi non si sente (dalla terza fila appena appena quando inizia il canto), ma fa sentire bene tutto quel che conta. E poi c'è il programma: un impaginato che appaga i palati più fini ma non manca di coinvolgere un pubblico più vasto, in cui si sussurra poesia e ci si abbandona alla danza, si scoprono rarità e si ritrovano temi celeberrimi, tutto con un preciso filo conduttore dedicato all'eterno femminino in Italia e Francia, a cavallo fra XIX e XX secolo, ma inizia affondando le radici nel mito con l'ouverture dalla Médée di Cherubini.

Protagonista non poteva che essere lei, la più sofisticata e carismatica delle dive, timbro dal fascino arcano, venato di seducenti ombreggiature, senso sovrano della parola e del recitar cantando: Anna Caterina Antonacci. Pochi sanno dire e colorire la musica come lei, che entra con ispirazione quasi esoterica, eppur semplicissima, nei versi di Shelley musicati da Respighi nel poemetto lirico per voce e orchestra d'archi Il tramonto. Fra l'onirico, il simbolico, l'allucinato, la nobiltà e la dolcezza di Antonacci sono la cifra di una chiarissima e consapevole articolazione non solo della parola, ma di tutto il testo nella dimensione del verso poetico e della prosodia, del senso e del suono. Che sia Il combattimento di Tancredi e Clorinda o un recitar cantando di due secoli dopo, l'arte non cambia, soggiogante, dotta e teatralissima, ma si adatta come un guanto al significato più intimo di musica e poesia. E il discorso si può fare identico per la Chanson perpétuelle per soprano e orchestra di Ernest Chausson in cui la voce dà forma a ombre vespertine e soffuse malinconie, pensieri amorosi. Il colore per natura sottilmente sensuale plasma un francese scandito, articolato, sentito come è raro perfino fra i madrelingua e ne abbiamo prova con il fuori programma, l'Habanera della Carmen. Ecco che l'opéra-comique è veramente comique perché richiede, oltre che una cantante, una vera comédienne, un'attrice. “L'amour est un oiseau rebelle” attacca quasi parlato, un sussurro insinuante che man mano si anima nel ritmo serpentino della danza esotica, acquista corpo, timbro, si assottiglia e cresce di nuovo, seguendo le pieghe perturbanti dell'eros. Si resta soggiogati dall'arte, che è la forma di seduzione più alta, si dissolvono nella memoria rispettabilissime schiere di mezzosoprani fors'anche più rigogliosi e opulenti in meri termini vocali.

È chiaro che questi risultati non si possono ottenere senza la sintonia con una grande bacchetta. Chi pensa che, di fronte a un grande solista, basti assecondare e accompagnare, pensa una solenne castroneria. Alla guida della Filarmonica Toscanini, Alessandro Bonato stende il prezioso manto dell'orchestrazione di Respighi e di Chausson con sensibilissima cura del suono, delicata partecipazione alle dinamiche del canto, plastica adesione al testo e alla poetica impregnata di simbolismo. Il rapporto dialettico con Anna Caterina Antonacci nell'Habanera si realizza con un abilissimo gioco di piani e pianissimi in cui freme sottopelle l'impulso ritmico, come a intrecciarsi con le parole cesellate dalla primadonna. Poi, quando lo stesso brano si ripropone in versione solo strumentale nella miscela fra le due Suite da Carmen, l'approccio non cambia, ma cambia la prospettiva, scontornando le frasi solistiche con un abbandono al canto sapientemente accarezzato in una danza sensualissima. Tutta la sequenza (Aragonaise, Habanera, Les Toréadors, La garde montante, Entr'acte, Danse bohème) ammalia per la lucidità del controllo e per la cura affettuosa con cui procedono di pari passo la definizione del carattere teatrale, della situazione, del colore specifico di ogni momento nella drammaturgia dell'opera e, nel contempo, la qualità e l'autonomia sinfonica del dettaglio e del disegno complessivo. Seduzione, tenerezza, turbini travolgenti ma mai esagitati ed effettistici sono la cifra di queste suggestioni da Carmen che ci fanno sognare la concertazione dell'opera completa. Nondimeno, la raccolta gemella di episodi dalle due suite dall'Arlésienne sempre di Bizet (Ouverture, Menuetto, Adagietto, Farandole) aveva già esposto con eloquenza la maestria nel dosare il libero respiro di un'orchestra in gran spolvero e l'esattezza dell'insieme, la chiarezza della lettura, lo spirito delle danze d'estrazione aristocratica o popolare. E, a proposito di aristocrazia, l'ouverture di Médée è un esempio preclaro di come la nobile semplicità e la quieta grandezza della tragedia neoclassica possano bruciare intimamente di una tensione autentica e non abbandonata alle sole corse del metronomo. In parallelo, il fuori programma con cui anche l'orchestra chiude in gloria la seconda parte di programma, sembra un manuale di come si debba interpretare Verdi – nobile, partecipe, vivo – e di come tecnicamente si debba gestire un crescendo. Gusto, ispirazione, scienza e cuore: scatta la standing ovation. La qualità non è freddezza, l'emozione non è approssimazione e ce ne rendiamo ben conto in serate come questa.

Si esce dalla piazza felici, anche se si sarebbe voluto che il concerto non finisse mai. Siamo, in realtà, parzialmente accontentati: del programma completo con Anna Caterina Antonacci è già previsto un bis a Bologna il 27 settembre (segnatevi la data: da non perdere), mentre una sintesi della parte strumentale (Bizet e Verdi) si ripete subito nella mattina del 17 giugno per l'inaugurazione del Pride di Parma. Lodevole l'impegno della Toscanini e scelta musicale azzeccatissima: Nabucco è un inno alla libertà in senso lato, L'Arlésienne al desiderio impossibile e Carmen all'autodeterminazione al di là di ogni imposizione e convenzione. Nello spazio raccolto – e acusticamente assai pregevole – della Sala Gavazzeni del Centro Produzione Musicale Toscanini, si gode ancor di più la prova davvero notevole dell'orchestra con la concertazione di Bonato, tanto che nessuno in sala accenna ad andarsene finché non si concede un bis: la Farandole dall'Arlésienne, ebrezza all'ascolto, perfetto controllo e sano entusiasmo nell'esecuzione, festa e pensiero come anche il contesto richiede.


 

 

 
 
 

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