L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Humanitas

di Roberta Pedrotti

Udito, vista, gusto, olfatto, ma soprattutto incontri di persone e idee: il festival Settenovecento di Rovereto è anche quest'anno un'occasione per riflessioni ed esperienze che vanno oltre il singolo concerto o la sola visita a mostre e musei.

ROVERETO 22 e 23 giugno 2023 - A Rovereto ci sono molte cose da fare. Innanzitutto riempirsi i polmoni di quest'aria profumata d'alto Garda e prime Alpi, di erbe e fiori, di vini e distillati, funghi, carni, canederli e formaggi. Naturalmente, subito dopo, assaggiare, gustare, senza trascurare il riflesso del sole attraverso un buon bicchiere. Bisogna, sì, anche guardare: la luce e il Marzemino o le correnti dell'Adige e del Leno, le rocce delle cime e tutti i verdi di prati e boschi.

Si ammira il paesaggio, il centro fitto fitto di targhe a memoria di una storia di terra di confine e di passaggi, luogo d'incontri e di conflitti. Sulla cima – e val la pena farsi questa passeggiata – ce la ricorda la Campana dei caduti, la Maria Dolens fusa dai cannoni delle nazioni partecipanti alla Grande Guerra e oggi patrona di un santuario della pace, del dialogo e dell'integrazione, parco, spazio aperto dove si tengono anche concerti, piccolo museo d'arte contemporanea con il filo conduttore della difesa della convivenza e dei diritti.

Nel pieno centro di Rovereto si torna pure sempre volentieri per vedere il Mart, il museo d'arte moderna e contemporanea che merita un passaggio anche solo per la bellezza della struttura ideata da Mario Botta e il suo armonizzarsi delle ampie vetrate con il profilo dei monti nel cielo terso. Poi, anche se capitiamo in un momento in cui ufficialmente alcune mostre sono appena terminate e altre non ancora inaugurate, riusciamo a essere fortunati: ecco una piccola esposizione dedicata ad Arturo Benedetti Michelangeli, con scatti di Enrico e Luca Pedrotti (che non sono parenti della sottoscritta) e ritratti di Livio Conta; ecco che la mostra Klimt e l'arte italiana è stata prolungata di qualche settimana. I pezzi forti sono senz'altro la Giuditta III e Le tre età del maestro viennese, del quale non bisogna trascurare alcuni notevolissimi schizzi. Si intrecciano, fra opere di diversa destinazione e ambizione, piatti, vasi, oggettistica, arazzi, elementi d'arredo, dipinti monumentali o quadretti di piccole dimensioni, le suggestioni che Klimt colse nei suoi viaggi in Italia, ma soprattutto l'influenza che esercitò al di qua delle Alpi, fra sviluppi interessanti e imitazioni pronte a sfociare in ben altra retorica rispetto alle sottili e profonde implicazioni intellettuali del modello. Da un lato la mostra raccoglie una rete di rapporti e una panoramica della sensibilità del tempo assai interessante, dall'altra si sarebbe potuta auspicare, al di là dell'accostamento di alcuni tesori di punta con un'ampia selezione di associazioni più o meno dirette (uno dei Leitmotive della direzione artistica del Mart, che senz'altro garantisce una certa risonanza “pop”), un più stimolante approfondimento critico (anche questa ci pare una costante della linea attuale, che difatti privilegia periodi storicizzati rispetto alla contemporaneità), dato che anche l'audioguida sembra concepita per blocchi didascalici a sé stanti.

Respirare, gustare, osservare. E, abbiamo accennato, incontrare. Non è un caso che il sottotitolo del Festival Settenovecento sia Incontri musicali a Rovereto. Incontri di due secoli che musicalmente hanno molto da dirsi e che con la città hanno ben a che fare, se non altro per la visita di Mozart da un lato, la nascita di Fortunato Depero dall'altro. Soprattutto, però, oggi, incontri di artisti e di persone. Ormai quelli dello staff della Azienda del Turismo e del Festival sono volti amici che fa piacere ritrovare – non solo per lavoro, ma anche per un caffé o un brindisi in buona compagnia – e una chiacchierata con i direttori artistici resta un'occasione di interessantissime riflessioni. Sì, perché qui la direzione artistica è una e trina e se due anni fa ci eravamo intrattenuti con Klaus Manfrini, violista a capo della Filarmonica di Rovereto [festival Settenovecento, 18/06/2021], oggi incontriamo Federica Fortunato e Angela Romagnoli, musicologhe e rappresentanti la prima del centro studi Riccardo Zandonai (altro roveretano illustre) la seconda del WAM Festival W. A. Mozart di Rovereto. Sembra inevitabile chiedere come si sviluppi questa direzione a sei mani e la risposta è proprio nell'incontro di esperienze e professionalità diverse: musicologhe e musicista, l'orchestra con la sua componente formativa, la ricerca nel Settecento e nel Novecento. Si tratta non solo di unire le competenze, ma che le forze, di convogliare le energie in un progetto comune perché, si sottolinea, “è molto facile disperdersi in mille rivoli, farsi concorrenza a vicenda” oppure, capita spesso che le collaborazioni si traducano in scambi per interessi personali. Costruire insieme, facendo tesoro anche delle differenze e delle discussioni, senza che i rispettivi campi d'azione si trasformino in compartimenti stagni. Tutto si sviluppa intorno a un tema portante che non vuole essere solo musicale, ma abbracciare diverse discipline, suggerire più ampie riflessioni: il viaggio, la natura, quest'anno l'Humanitas, nel 2024 il rapporto con l'Arte.

Una caratteristica del Festival, ci spiegano, è proprio il costruire programmi originali legati a questo fil rouge, sicché non si incontreranno, nei cartelloni di Settenovecento, tappe di tournée di grandi nomi che propongono scalette prestabilite. Gli ospiti illustri non mancano, ma non sono l'obbiettivo del festival, o, meglio, non lo sono in quanto nomi, ma lo sono in quanto artisti di qualità che possono portare un valore aggiunto soprattutto interagendo con colleghi più giovani. Un altro aspetto che, infatti, merita di essere sottolineato è quello della presenza in orchestra – ma non solo – di ragazzi affiancati da prime parti più esperte, non come stage o masterclass, ma come vero e proprio inserimento professionale retribuito. Insomma, l'anello spesso mancante fra lo studio e la carriera.

Si parla dell'ottimo rapporto con le istituzioni musicali locali e con tante realtà pronte a collaborare, dell'importanza del pubblico locale e turistico in relazione non solo con l'evento musicale, ma anche con i luoghi storici e artistici (molti concerti si svolgono in spazi non facilmente visitabili altrimenti), con la natura circostante e con l'enogastronomia. Si parla dell'apporto inestimabile dello staff e di tanti volontari innamorati del festival e, per contro, delle endemiche difficoltà finanziarie che colpiscono ormai anche nelle regioni autonome.

Si parla anche con franchezza del modo di fruire della musica e dei concerti, che qui si vuole sereno e informale e non per slogan o luogo comune. La riflessione che si apre è più profonda: “oggi si seguono ancora delle convenzioni borghesi ottocentesche, che non sono più in linea con la società contemporanea. Una persona che ha lavorato tutto il giorno ha il diritto di essere stanca la sera, di faticare a concentrarsi, molti anziani sono più riluttanti a uscire, soprattutto dopo cena Non dobbiamo scandalizzarci per questo” sottolineano Fortunato e Romagnoli “anzi, dobbiamo riflettere su date e orari, su tempi e programmi adatti per diversi tipi di pubblico”. Viceversa, sotto certi aspetti, si potrebbe tornare indietro e recuperare usanze del passato: Romagnoli pensa, per esempio,al tempo in cui il teatro era vissuto anche con le piccole cucine e dispense dei retropalchi, ma si parla anche del rigore con cui oggi si guarda agli applausi fra i singoli movimenti di una sinfonia, che all'epoca di Beethoven o Brahms erano prassi e, anzi, misura del successo. Quel che piacerebbe alle direttrici artistiche è proprio che Rovereto fosse considerato un salotto artistico, un luogo in cui non si insegue il nome da copertina, ma dove anche l'interprete celebrato può venire volentieri per l'ambiente amichevole e la condivisione di un progetto. È quello che abbiamo visto.

Gli incontri, infatti, sono anche, se non soprattutto, i concerti. Piccoli appuntamenti all'ombra di vezzosi arboscelli che han più foglie che frutti si abbinano quest'anno alla possibilità di un piatto e un calice en plein air. Un'ottima idea che forse deve ancora attecchire pienamente nel pubblico, ma che deve essere ripresa senz'altro anche il prossimo anno: si ottimizzano i tempi con l'opportunità di amabili conversazioni e sana socialità. O, ancora, l'idea di intitolare “Serenate al balcone” un concerto in seconda serata lusinga un pubblico più vasto che forse si sarebbe spaventato leggendo in programma i nomi di Monteverdi e Caccini e invece resta poi incantato dalla bella prova del tenore Mauro Cristelli e della cembalista Costanza Leuzzi.

Nei due giorni che passiamo a Rovereto, però, i programmi di punta sono quelli delle 21:45 e si guardano idealmente allo specchio: il 22 giugno al teatro Zandonai c'è la Rovereto Wind Orchestra diretta da Andrea Loss con Alessandro Carbonare ospite d'onore; il 23 nella sala Filarmonica gli archi dell'Orchestra Settenovecento con la concertazione della spalla Filippo Lama. Per i fiati tutta contemporanea e per gli archi due grandi classici russi preceduti da un omaggio a Bruno Bettinelli, grande didatta di intere generazioni di musicisti e compositori (fra i quali mi piace citare il caro e indimenticato Azio Corghi).

Echoes of San Marco dell'olandese Johan de Maij (classe 1953) condivide con Leyendas per clarinetto e orchestra dello spagnolo Oscar Navarro (nato nel 1981) l'effetto di un eclettismo ricco di riferimenti. Nel primo caso si va dall'ovvio richiamo ai Gabrieli e a Monteverdi fino a un tripudio alla John Williams, passando per echi pucciniani e musorgskijani; nel secondo pure compaiono le ombre di grandi russi (da Rimskij-Korsakov a Šostakóvič) senza trascurare Nino Rota. L'ensemble di fiati – corroborato da qualche arco – si muove benissimo, con intonazione e controllo impeccabili, in felice equilibrio con gli interventi di Carbonare (un vero e proprio personaggio, suonante e narrante in Leyendas). La sua è, sì, una lezione continua di tecnica (visto da vicino, il suo bis solistico è un vertiginoso saggio di respirazione circolare), ma soprattutto un'inebriante, coinvolgente esplosione di pura gioia nel far musica insieme, senza mai rubar la scena ai colleghi.

La sera seguente, dopo le due Invenzioni per orchestra d'archi di Bettinelli, la Sinfonia 110a di Šostakóvič (versione di Bashai del Quartetto n. 8) e la Serenata per archi di Čajkovskij costituiscono un dittico ideale. Prima, il dolore lancinante, il compianto, la danza spettrale di fronte all'orrore della guerra; poi, l'apparente serenità del tempo passato, il tempo di danza, la dolcezza che cela e sublima la malinconia profonda di un'anima inappagata e tormentata nell'intimo. Sotto la guida di Lama e degli altri tutor ai primi leggii (Manfrini per le viole) i ragazzi si confermano gruppo di qualità, duttile e compatto, pieno d'energia ma ben concentrato. Fra di loro si riconosce già qualche volto applaudito in altre formazioni, anche cameristiche. E non possiamo fare altro che tornare ad applaudirli. Per la loro bella prestazione e per un programma che sintetizza come meglio non si potrebbe, fra colta ma non sterile elaborazione stilistica (Bettinelli), orrore e dolore cosmico e autobiografico (Šostakóvič) e idealizzato anelito di serenità (Čajkovskij) tutta la complessa Humanitas che dà il titolo al Festival di quest'anno.

L'appuntamento, imperdibile, ora è per il 2024.


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