Colori russi
di Luca Fialdini
Dopo tre anni l’Orchestra di Santa Cecilia torna sulle sponde del lago di Massaciuccoli, con la direzione di Gianandrea Noseda
TORRE DEL LAGO (LU) – Dopo il concerto dell’agosto 2020, l’edizione odierna del Festival Puccini vede nuovamente la presenza dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sulle rive del lago di Massaciuccoli. Se tre anni fa alla guida dell’orchestra c’era Antonio Pappano, oggi la bacchetta è quella di Gianandrea Noseda, a cui viene assegnato il 54° Premio Puccini con una contenuta cerimonia prima del concerto stesso e alla presenza del presidente del Festival e delle autorità cittadine.
Quello proposto nell’occasione è un programma senz’altro adatto anche a un vasto pubblico ma non scontato negli abbinamenti e i tre nomi coinvolti – Ottorino Respighi, Sergej Rachmaninov e Nikolaj Rimskij-Korsakov – presentano delle interessanti connessioni tra loro (Respighi fu allievo di Korsakov, mentre quest’ultimo e Rachmaninov collaborarono almeno in un’occasione ossia nella prima rappresentazione del Mozart e Salieri). Particolarmente apprezzata la presenza della Burlesca di Respighi, pagina gradevolissima ed esemplare nell’orchestrazione che non si ascolta spesso in concerto; l’esecuzione di questa fa presentire in nuce alcuni tratti che avrebbero caratterizzato l’intera serata: una lettura tanto appassionata quanto lucida, aderentissima alla partitura, permeata dal suono inconfondibile e perfettamente coeso dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia.
Se di base Torre del Lago offre una microfonazione non eccelsa, nel caso del Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di Rachmaninov c’è stato qualche disequilibrio in più proprio attorno allo strumento a tastiera, lievemente sottotono nel primo movimento, più pronunciato ma non ben amalgamato con l’orchestra nei due successivi.
In ogni caso l’ottimo Alessandro Taverna non ne viene scalfito, forte di una tecnica solida e di un’articolazione cristallina che invitano ad osservare Rachmaninov da altre prospettive, innervando il patetismo tardoromantico senz’altro di lirismo ma investendo molto anche sulla percussività dello strumento in senso pre-stravinskijano. Pregevole il fraseggio limpido preservato anche nell’Allegro scherzando finale (avrebbe potuto avere una tacca o due di metronomo in più, ma il compromesso tra velocità e nitore del fraseggio raggiunge un equilibrio notevole). Dal canto suo Noseda si focalizza con intelligenza sui colori, così importanti in una partitura che evoca un paesaggio in continuo mutamento: per il primo movimento il direttore lombardo riesce a creare uno sfondo monocromatico cupo su cui vengono aperte sporadiche crettature che lasciano presagire gli sconvolgimenti emotivi imminenti, fino al terzo movimento in cui con grande eleganza riesce a far coesistere sia i nuovi materiali tematici sia quelli che trasversalmente attraversano l’intera partitura.
Taverna, prima di prendere congedo dal pubblico, si è esibito anche in un breve ma apprezzato bis che chiama in causa nuovamente Rachmaninov, il delicato Preludio in sol maggiore op. 32 n. 5.
L’amata Shéhérazade, il «racconto orientale» Rimskij-Korsakov che sfocia nell’edonismo dei glissandi delle arpe e dei soli del violino, è l’occasione per ammirare le molte frecce all’arco dell’Orchestra di Santa Cecilia e del suo direttore. Oltre alla straordinaria ricchezza timbrica di cui l’orchestra è in grado di ammantare queste pagine, bisogna rilevare anche la non comune aderenza alle indicazioni in partitura: a titolo di mero esempio, non è così frequente ascoltare il solo di fagotto all’inizio del “Racconto del principe Kalender” che rispetta l’andamento «capriccioso, quasi recitando».
Il risultato è un opulento affresco arabeggiante (beninteso, così ideale da essere quasi onirico) dove regna incontrastato il colore dell’orchestra, ma Noseda e Santa Cecilia sanno porre il giusto accento anche sul profilo ritmico – gli incisi concitati della «Festa a Bagdad» – e sulle molte preziosità del fraseggio che i maestri dell’Orchestra di Santa Cecilia sanno rendere in modo unico. Un plauso particolare va alla spalla Carlo Maria Parazzoli, che in questa densa suite orchestrale riveste un ruolo di primo piano.
Più in generale all’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia va riconosciuto non solo di essersi prodotta in un concerto di altissimo livello, ma di averlo saputo fare in condizioni non ottimali vuoi per l’acustica (che all’aperto non sarà mai come in una sala) vuoi per un’umidità davvero elevata a fronte della quale la pulizia d’intonazione dell’orchestra ha del miracoloso. Ci si augura solo di non dover attendere altri tre anni per poter riascoltare un’orchestra d’eccellenza come quella di Santa Cecilia a Torre del Lago.