Fra Purcell e Mozart
di Daniele Valersi
Grigory Sokolov rende omaggio a Benedetti Michelangeli con un recital memorabile.
RABBI, 8 agosto. Artista unico, non classificabile in alcuna categoria, Grigory Sokolov riafferma il suo primato nel recital pianistico con un programma inconsueto, che pochi saprebbero svolgere in modo soddisfacente senza riserva alcuna, che solo lui sa ricreare trasformandolo in qualcosa che va oltre l’interpretazione. Ospite del festival Omaggio all’arte pianistica di Arturo Benedetti Michelangeli in uno dei luoghi che furono particolarmente cari all’eccelso maestro, la chiesa di San Bernardo a Rabbi (TN), il grande pianista russo riservava la prima parte del suo recital a lavori per tastiera di Henry Purcell, la figura più alta tra i compositori genuinamente inglesi, optando così per un genere che ben poco può usufruire delle vaste potenzialità che offre la sofisticata meccanica di uno Steinway, mentre troverebbe invece la sua opportuna e perfetta realizzazione attraverso un clavicembalo o un virginale. Scegliendo tra le partiture per cembalo o organo, meno note rispetto alla musica vocale per il teatro di Purcell, Sokolov ha messo insieme tre Suite e alcuni brani singoli, suonando il tutto come si trattasse di un’unica, complessa Suite terminante con una Chacone; nella parte centrale erano situati brani fondati su temi di marce militari e melodie popolari, irlandesi e scozzesi. Si ascoltavano, in quest’ordine, A Ground in Gamut Z645, Suite n. 2 Z661, A new Irish Tune (Lilliburlero) Z646, A New Scottish Tune Z655, Trumpet Tune “Cibell” ZT678, Suite n. 4 Z663, Round O ZT684, Suite n. 7 Z668, Chacone ZT680. È facile intuire come le peculiarità di queste musiche abbiano potuto stuzzicare la curiosità e l’interesse di Sokolov: nel panorama musicale inglese dell’epoca, Purcell fu colui che diede alla Suite una forma regolare, fu lui anche l’autore di Lilliburlero, una marcia diventata popolarissima tra i militari (e non solo) nel contesto del conflitto che oppose il cattolico Giacomo II a Guglielmo III d’Orange (la Gloriosa Rivoluzione), che si fonda (e ne trae il suo titolo) sulla cantilena di un motivo popolare irlandese (leir-o, leir-o, lillibu, leir-o); tuttavia c’è chi vi vede piuttosto un’allusione all’astrologo del XVII secolo William Lilly. Alle radici della variazione si trova il Ground, dove lo sviluppo non avviene a partire da un tema dato, ma su un basso ostinato, mentre il Round altro non è che una delle forme del canone, solitamente a tre voci. Curiose le origini del genere Cibell, basato su di un ritmo binario, di gavotta, che ebbe vasta popolarità trovando nella tromba il suo strumento solista di elezione: l’intitolazione deriva dall’opera Athys di Jean-Baptiste Lully, dove il coro invoca a dea Cibele. Sokolov, che, come è sua consuetudine, porta questo unico programma in tutte le tappe che toccherà quest’anno, non si limita a quella che sogliamo chiamare un’interpretazione, ma si appropria di questi brani organizzati in sequenza e li ricrea in una forma grandiosa, che solo attraverso la sua genialità e la sua cultura consegue coerenza e unicità. E la tecnica è studiata e fine, con accentazione e fraseggio che alludono al pizzicato, il timbro raffinato ad arte attraverso molte ore di pratica sullo strumento, le dinamiche controllate con acribia e scrupolosamente dosate. Mozart era protagonista della seconda parte del concerto, con la Sonata n. 13 K333 (315c) e l’Adagio K540, di non frequente esecuzione: anche una pagina largamente conosciuta come è questa Sonata mozartiana ha un risvolto emozionale inaspettato, agli antipodi del già sentito, trasformata con una creatività sempre sorprendente. Un programma come questo, lontano dai canoni, trovava la sua degna conclusione nel poco frequentato Adagio, appartenente all’ultimo periodo della produzione mozartiana e rimasto come brano isolato per ragioni tuttora ignote. Come buona parte della musica del Mozart maturo, questo ha un carattere ineffabile, inafferrabile; le implicazioni metafisiche ne sono sottolineate dalla coda nella tonalità di Si maggiore, che, innestata sull’impianto tonale di Si minore, esprime una verticalità in senso ascensionale. Ogni concerto di Sokolov si distingue anche per una ritualità che ha le sue costanti in un atteggiamento sobrio, una presenza scenica controllata e austera, fatta di movimenti limitati all’indispensabile, che intensifica ulteriormente il carisma di questo gigante del pianoforte, un tratto che lo accomuna a Benedetti Michelangeli. A Rabbi Grigory Sokolov ha suonato a scopo benefico, stabilendo con ciò un altro punto di contatto ideale con l’indimenticabile ABM e facendo riscontrare un afflusso eccezionale di pubblico. Anche la grande generosità per quanto riguarda i brani fuori programma è una costante dei suoi recital e, in questa occasione, i bis concessi sono stati sei: Tambourin di François Couperin, Preludio n. 15 op. 28 di Fryderyk Chopin, Les Sauvages di Jean-Philippe Rameau, una Mazurka, il Preludio n. 20 op. 28, seguito da un’altra Mazurka di Chopin.