Fuori dal pentagramma
di Roberta Pedrotti
Il secondo e ultimo concerto lirico sinfonico del Rossini Opera Festival 2023, protagonisti il mezzosoprano Maria Kataeva e il direttore Marco Mencoboni, desta numerose perplessità, fra scelte musicali discutibili e un taglio comico sopra le righe.
PESARO, 20 agosto 2023 - Scorrendo il programma del Concerto lirico sinfonico di Maria Kataeva e Marco Mencoboni qualcosa balza subito all'occhio: due giorni fa il programma di Feola e Quatrini comprendeva la sinfonia di Tancredi, la stessa che apre la scaletta di oggi; solo ieri Teresa Iervolino aveva intonato la sortita di Tancredi e oggi Kataeva esordisce con lo stesso pezzo. I confronti diretti stuzzicano i melomani, ma con tutto il repertorio rossiniano a disposizione non era proprio possibile coordinare una maggior varietà?
Entrati in sala, quando l'orchestra Filarmonica Rossini prende posto, un altro stupore: i contrabbassi sono separati, uno al lato sinistro e due a quello destro del palco, mentre i violoncelli si spartiscono come un Mar Rosso attraversato al centro dalle viole. Strano. Vogliamo immaginare che sia un colpo di genio foriero di seducenti impasti timbrici, ma la realtà ci disillude subito: il debutto (se non consideriamo alcuni concerti collaterali di musica antica) di Marco Mencoboni sul podio del Rossini Opera Festival è tardivo quanto innecessario, il suo concertare piuttosto chiassoso e sbrigativo.
Lascia attonita anche la gestione dei brani scelti, a partire proprio dalla sortita di Tancredi, con l'omissione dell'intero, fondamentale recitativo, per un brusco e inedito incipit direttamente da “Tu che accendi questo core”. Nondimeno, in un festival che rappresenta la summa della poetica del belcanto, eseguire la cavatina di Romeo dai Capuleti e i Montecchi di Bellini (anche qui, recitativo non pervenuto) con la ripresa della cabaletta tagliata fa storcere non poco il naso, senza per forza ricordare che per detta ripresa disporremmo di variazioni di pugno dello stesso Rossini.
Anche al netto di queste considerazioni, dopo la buona prova come Isolier nel Comte Ory dello scorso anno, Maria Kataeva conferma di essere una cantante valida, dotata di vocalità salda e ben proiettata. Non pare, però, artista così interessante da meritare l'onore di uno dei due concerti lirico sinfonici del Rossini Opera Festival. Anzi, semmai si fa notare maggiormente come interprete di altro repertorio, ben più a suo agio ed efficace in Carmen o nella zarzuela che non in Rossini, Bellini e Mozart, come dimostrano alcuni passaggi di coloratura arruffati.
Ad ogni modo, il problema non è solo di tagli, scelte stilistiche e di repertorio: c'è un problema alla base della concezione stessa del recital, che lascia andare senza particolare interesse le arie di Tancredi, Cenerentola e Romeo per poi inserire gag comiche fuori luogo addirittura nell'aulica e aristocratica “Parto, ma tu ben mio” dalla Clemenza di Tito (clarinetto solista Davide Felici). Qui si produce in scambi di ammiccamenti e mossette con il direttore sulle parole “Guardami, e tutto oblio”: l'effetto è quasi grottesco. Non che non si possa scherzare con la musica, ma allora bisognerebbe imbastire uno spettacolo ben calibrato in questo senso e forte di una qualità esecutiva a prova di bomba. Gli esempi positivi non mancano e purtroppo additano ancor più questo tentativo come maldestro, sbilanciato, fuori luogo. Persiste la sensazione sgradevole di un'esibizione sopra le righe, in conflitto con il buon gusto. Si può dire che funzioni meglio quando Kataeva impersona Carmen (Habanera e Chanson Bohème) o si accompagna con le nacchere – per questo, chapeau: lo fa molto bene – in “De España vengo” da El niño judio di Luna, ma anche qui rimpiangiamo l'ironia più sottile e maliziosa che si sarebbe potuta trarre da queste pagine, restiamo storditi dall'eccesso debordante, per di più dopo una prima parte piuttosto sciapa. Il cambio d'abiti – entrambi vistosissimi, oltre i confini del kitsch – e i passi di danza mostrando la schiena al pubblico completano lo show. Siamo, lo ripetiamo convinti che anche un concerto sia uno spettacolo con una sua teatralità, ma il progetto e la scelta del registro espressivo (più serio o più faceto) non possono trascendere la misura della coerenza, del buon gusto e della qualità. C'è differenza fra Monicelli e il cinepanettone, ma non è nemmeno detto che chi fa cinepanettoni non possa svelare più alte doti in diversi contesti, così come Kataeva si puù apprezzare nei ruoli giusti, guidata da direttori e registi adeguati. Si è dimostrata artista generosa ed estroversa, speriamo che sappia trovare collaborazioni giuste e giusta musura.
Un'ultima gag annuncia il bis, un'altra canzone spagnola: un repertorio che evidentemente Kataeva ama e più affine al suo temperamento, ma che non è necessario enfatizzare addirittura con le battute del direttore che si finge stupito e commenta rivolto al pubblico. Questo, ad ogni modo pare divertirsi e se gli applausi per le parti strumentali (sinfonie di Tancredi, I Capuleti e i Montecchi, La clemenza di Tito, prima suite da Carmen, intermedio da La boda de Luis Alonso di Giménez) si affievoliscono via via, il calore per la cantante non manca. Se, però, quel Bu che ci è parso di sentire era davvero tale, sappia l'ignoto scontento che ha tutta la mia solidarietà.